Il bambino silenzioso di Sarah Denzil, edito in Italia il 29 gennaio 2018 da Newton Compton, è un thriller che ha riscosso un notevole successo negli Stati Uniti. Vediamo la trama di Il bambino silenzioso e un estratto dall’incipit del romanzo.
Il bambino silenzioso: trama del libro
Nell’estate del 2006, Emma Price era lì quando fu ritrovato il cappotto rosso del suo bambino di sei anni, lungo il fiume Ouse. Fu la tragica storia dell’anno: il piccolo Aiden era sparito da scuola durante una terribile alluvione, era caduto nel fiume e poi annegato. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Dieci anni dopo, Emma è riuscita finalmente a riacquistare un po’ di serenità. È sposata, incinta e le sembra di aver finalmente ripreso il controllo della sua vita quando… Aiden ritorna. Troppo traumatizzato per parlare, non risponde a nessuna delle infinite domande che gli vengono rivolte. Solo il suo corpo racconta la storia di una sparizione durata dieci lunghi anni. Una storia di ossa spezzate e ferite che testimoniano gli orrori che Aiden deve aver subito. Perché Aiden non è mai annegato: è stato rapito. Per recuperare il contatto con il figlio, ormai adolescente, Emma dovrà scoprire qualcosa sul mostro che glielo ha portato via. Ma chi, in una cittadina così piccola, sarebbe capace di un crimine tanto orrendo? È Aiden ad avere le risposte, ma ci sono cose troppo indicibili per essere pronunciate ad alta voce.
Approfondimenti sul libro
Ho sentito dire che puoi controllare solo te stesso e il modo in cui tu ti comporti in un determinato contesto. Non puoi mai controllare le circostanze attorno a te. Non puoi controllare come reagiscono le altre persone: solo come agisci tu. È la grande tragedia della vita. Un attimo prima ogni cosa è perfetta, l’istante successivo il tuo mondo è a brandelli, e solo a causa delle circostanze che accadono tutt’intorno a te. E cosa dovresti mai pensare quando ti viene portato via tuo figlio? Che era destino? Il volere di Dio? La sfortuna? Come ci si aspetta che tu vada avanti?
Nella lotteria della vita, io ho avuto un colpo di fortuna. Sono nata nel classico ambiente di leggiadria bucolica che ti culla nel pensiero che non ti accadrà mai niente di brutto. Armi e violenza possono inquinare i notiziari, ma niente del genere succede mai a Bishoptown-on-Ouse. Siamo annidati nell’arioso panorama di un quadro di John Constable, con lunghe distese di verdi pascoli ondeggianti e muri a secco. Eravamo al sicuro. Almeno così pensavo.
Il 21 giugno del 2006, alle due del pomeriggio, indossai un impermeabile e un paio di stivali alti di gomma, e mi infilai nella peggiore inondazione che Bishoptown-on-Ouse avesse visto dal 1857. La villetta che dividevo con i miei genitori e il mio bambino di sei anni, Aiden, era un po’ indietro rispetto alla strada quieta. Quando misi piede fuori casa quel giorno la corrente d’acqua mi colse di sorpresa per la sua potenza. Mi inzuppò gli stivali e mi schizzò fin sul cavallo dei pantaloni. Il mio cuore aveva già accelerato i battiti, ero preoccupata, non sapevo come raggiungere la scuola. Gli insegnanti avevano fatto un giro di telefonate a tutti i genitori, chiedendo loro di andare a prendere i figli visto che a scuola la pioggia stava entrando attraverso il tetto, e c’era il pericolo che l’Ouse esondasse. La pioggia torrenziale era prevista, ma nessuno aveva immaginato una cosa del genere. L’acqua cadeva dal cielo compatta come un muro, infradiciandomi inesorabilmente e battendo con violenza sul cappuccio della mia giacca a vento.
L’Ouse serpeggiava attraverso il nostro minuscolo villaggio come un boa constrictor in un recinto di sabbia per bambini. Era una vista notevole e pittoresca, quel fiume troppo grande per la nostra minuscola cittadina. Bishoptown aveva due pub, un B&B, una chiesa, una scuola, e una popolazione di quattrocento abitanti circa. Era il secondo villaggio più piccolo di tutta l’Inghilterra, e il più piccolo in assoluto nello Yorkshire. Nessuno se ne andava da Bishoptown e nessuno ci si trasferiva. Se una casa veniva messa in vendita era perché qualcuno era morto.
Ci conoscevamo tutti. Eravamo cresciuti insieme, avevamo vissuto insieme e tirato su i nostri figli insieme. Quindi quando il telefono squillò e Amy Perry – un’insegnante delle elementari nonché mia vecchia amica di scuola – mi disse di andare a prendere Aiden, capii che la situazione era grave. Altrimenti, Amy avrebbe riaccompagnato tutti i piccoli a casa, uno per uno. Sì, ci fidavamo gli uni degli altri così tanto.
Avevo sentito la pioggia tamburellare sulle finestre, ma ero persa nel mio mondo, per l’ennesima volta. Guardavo su MySpace le foto dei miei amici di scuola che avevano frequentato l’università e che da allora erano andati in giro per il mondo. Avevo ventiquattro anni. Mi ero diplomata con Aiden nella pancia e avevo visto i miei amici partire per l’università con il mondo ai loro piedi mentre io rimanevo a casa dei miei. Alcuni di loro erano volati verso nuovi pascoli mentre io fissavo la fermata del bus dalla finestra di camera mia, con una mano sul ventre rigonfio. Da quel momento, avevo speso una quantità di tempo decisamente poco sana a cercare su Google i miei amici, aprendo foto della Thailandia e di Parigi mentre tiravo su un bambino.
Con quel tempo era assolutamente escluso mettersi alla guida, e di tutti i membri della mia piccola famiglia la più vicina a scuola ero io, così decisi di andarci a piedi. Rob – il padre di Aiden – stava lavorando in un cantiere fuori York. Anche i miei genitori erano a lavoro. Troppo lontani per essere d’aiuto, intrappolati dal maltempo. Non chiamai nessuno di loro lì per lì perché non pensai di avere bisogno di una mano. Bishoptown era un posto piccolo, da casa a scuola era una camminata di dieci minuti. Ma era anche sull’altra sponda dell’Ouse, il che effettivamente mi preoccupava un po’. Se l’acquazzone era davvero così brutto come dicevano i notiziari, il fiume avrebbe potuto superare gli argini.
Arrancai sulla strada fendendo l’acqua piovana con il cuore che mi batteva così forte che mi pareva che mi si fosse tatuato contro le costole. La pioggia scendeva obliqua, era difficile tenere gli occhi aperti. Abbassai la testa e strinsi il manico della borsa sulla mia spalla, con le mani già zuppe e fredde fino all’osso.
«Emma!».
La voce era a malapena udibile sopra il martellare della pioggia sull’asfalto. Mi voltai e vidi la mia amica Josie che gesticolava verso di me mentre si affrettava su per la collina. Era una contabile nella piccola azienda dove lavoravo part-time come segretaria. Mi turbò vederla così scombinata, con i capelli disordinati e incollati al viso e il trucco che le colava giù sulle guance. Non aveva cappotto né ombrello. La gonna a matita era fradicia.
«Jo! Gesù, riparati».
«Emma, ho appena attraversato il ponte. Gli argini stanno cedendo. Va’ a casa».
«Cazzo. Devo andare a prendere Aiden a scuola».
«Lo terranno al sicuro», disse lei. «Ma se il fiume straripa e sei vicina al ponte potresti annegare». Mi fece cenno di andare verso di lei ma io rimasi dov’ero.
«Devo andare a prendere Aiden», ripetei, scuotendo la testa. La scuola era troppo vicina al fiume. Se la pioggia stava già entrando dal tetto, in che condizioni si trovava la struttura?
«Fa’ attenzione. Ho sentito che stanno mandando i soccorsi ma non c’è quasi nessuno vicino al fiume in questo momento, niente poliziotti e roba del genere, e la situazione sembra brutta, Em. Non tornare indietro attraverso il ponte, va bene? Vai verso il White Horse o un posto così. Almeno lì puoi prenderti uno Chardonnay, giusto?». Fece un gran sorriso per la sua stessa battuta ma si vedeva che era nervosa. Era scossa, sul serio. E non era per niente da lei.
Per ulteriori informazioni sull’autrice rimandiamo i lettori al sito ufficiale di Sarah Denzil.
La forza di una mamma supera ogni immaginazione……..soprattutto per recuperare un rapporto con il proprio figlio scomparso dieci anni prima e traumatizzato dalle esperienze del bunker dove gli era stata sottratta la sua infanzia.
Appassionante thriller