Dog Medicine, il bestseller di Julie Barton, arriva in Italia con il titolo di Felice come un cane. Il romanzo, che sarà pubblicato il 18 luglio 2017 da Piemme con un prezzo di copertina di 18,50 euro, acquistabile qui con il 15% di sconto, arricchirà la categoria dei romanzi con cani pubblicati in Italia – categoria che, a nostro giudizio, non è mai abbastanza ricca. Ecco la sinossi del primo libro di Julie Barton.
Felice come un cane: trama del romanzo
Un cane può essere una medicina clinica ed esistenziale? Julie, la protagonista di questo romanzo, non ha dubbi. Il golden retriever Bunker nasce in una cucciolata in una fattoria dell’Ohio. Al contempo, la ventenne Julie si ritrova a sprofondare nella depressione nel suo appartamento di New York. Poco dopo, bisognosa di aiuto, Julie torna dai suoi genitori, sola e disperata, e pensa di adottare un cane. E a quel punto, come potete immaginare, Bunker e Julie si incontrano, e la capacità di vivere il presente e godere della felicità del momento del cane lasciano subito un segno nella ragazza. E nei momenti più cupi, Julie avrà una certezza del tutto nuova: quella di poter incrociare lo sguardo di un vero amico, di un amico che non la abbandonerà mai e che crederà sempre in lei.
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Anteprima del romanzo: il prologo
Credo che, nel momento della sofferenza più profonda, l’universo abbia inviato un cane a guarirmi. Alcuni trovano questa idea ridicola, pensano che sia infantile, strana o assurda. Va bene. Altri annuiscono e sanno esattamente cosa intendo.
Ho trascorso gli ultimi anni scrivendo del mio amato Bunker. Questo libro vuole condividere parte della sua saggezza, che per me è stata davvero una medicina.
Grazie di aver accettato di farvi condurre in questo viaggio. Che il vostro amico sia un cane, un gatto, un cavallo o qualsiasi altro animale, spero che vi riconosciate in questa storia. È la mia storia, ma scommetto che se avete preso in mano questo libro assomiglia molto anche alla vostra.
Punto di ebollizione, New York City
16 aprile 1996
Dalla fermata della metropolitana al mio appartamento bisognava camminare solo per sei isolati, ma non ero sicura di farcela. Mi concentrai su dove mettevo i piedi: il pavimento rigato della linea numero 4 della metropolitana, i gradini costellati di gomme da masticare che salivano fino all’86th Street, la pozzanghera scura all’angolo fra la Lexington e l’85th. Mi ero trasferita a Manhattan da quasi un anno, una settimana dopo essermi laureata in Ohio. E avevo trascorso quell’anno lavorando nella redazione di una casa editrice di SoHo. Il mio nome appariva nei ringraziamenti di due libri. Il mio capo diceva che ero la migliore redattrice che avesse mai avuto. Riuscivo a guadagnare abbastanza da pagare in tempo affitto e bollette. Avevo amici affettuosi, genitori amorevoli che desideravano solo il meglio per me. E stavo per crollare.
A un paio di isolati dalla fermata della metropolitana, ecco i soliti pensieri maledetti: Attraversa la strada a quel taxi che accelera su Lexington Avenue. Buttati sotto l’autobus. Non erano voci nella mia testa. Erano pensieri, pensieri terribili che non sapevo come controllare.
Se mi aveste incrociata, vi sarei apparsa come una ventenne stanca. Avreste pensato che forse ero reduce da una sbornia o che non mangiavo verdura da mesi: ipotesi, quest’ultima, piuttosto fondata. Sono alta e di solito mi vestivo con una camicia sformata, una lunga gonna nera e un paio di logore Doc Martens con la punta d’acciaio. I capelli, che una volta portavo lunghi e biondi, ora erano tagliati sotto le orecchie ed erano sbiaditi in un marrone che nel riflesso delle vetrine sembrava quasi grigio: il risultato dell’imprudente acquisto di una tinta al supermercato.
Svoltai l’angolo sulla 82nd Street, superai le case in arenaria con le loro finestre a bovindo e i pesanti portoni, oltrepassai la scuola P.S. 290, dove raramente incrociavo qualche alunno. Salii i gradini davanti al mio appartamento, aprii due porte blindate, poi altre tre serrature e mi infilai dentro, finalmente sola. Chiusi la porta dietro di me. C’era puzza di polvere e latte rancido. Come primo appartamento dopo la laurea non era male: due stanzette collegate da una ripida scala di legno. Di sopra, una piccola cucina d’angolo guardava un muro di mattoni a vista. Sotto, erano riusciti a ricavare abbastanza spazio per un bagno e una camera da letto, sempre bui e umidi, con le finestre a un metro e mezzo dal pavimento, che lasciavano intravedere i piedi e le gambe di chi passeggiava sul marciapiede.
Nel soggiorno non c’erano mobili, solo il mio stereo, quello che avevo sin dai tempi del liceo. Accanto erano sparpagliati cd e cassette di Van Morrison, Ani DiFranco, Tori Amos, Big Star, Ella Fitzgerald, Metallica. I compagni delle mie ore più buie, quando mi sparavo la musica nelle orecchie, perché nel silenzio avrei sentito solo i pensieri che mi frullavano nella testa. Pensieri che comparivano all’improvviso e che non riuscivo a mettere in dubbio, pensieri che dicevano che non valevo niente, che ero stupida, brutta e debole. Sbagliata. Troppo sbagliata per continuare a vivere…
Felice come un cane è il primo libro di Julie Barton.
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