La notte che ho dipinto il cielo di Estelle Laure è in uscita in Italia il 16 febbraio 2016 per De Agostini: il romantico volume della scrittrice francese sarà presentato con un prezzo di copertina di 14,90 euro per la versione cartacea, mentre in mobi, ePub, Pdf, La notte che ho dipinto il cielo sarà in vendita al costo di 6,99 euro. Vediamo la trama del romanzo e un estratto dal testo.
La notte che ho dipinto il cielo, trama del libro di Estelle Laure
La trama di La notte che ho dipinto il cielo vede protagonista la diciassettenne Lucille, appassionata d’arte, sorella della piccola Wrenny, che sogna un soffitto che abbia il colore del cielo. Lucille e Wrenny si trovano in una situazione difficilissima, con Lucille che cerca di resistere a una dolorosa verità: la madre se n’è andata e non tornerà più a casa. Lucille è sola con sua sorella e si ritrova con una pila di bollette da pagare, con degli impiccioni da tenere a bada e un futuro a dir poco incerto. Mentre la sua vita crolla, tuttavia, Lucille incontra e si innamora di Digby, il fratello di Eden, la sua migliore amica. Ma, in tutto questo, Digby è anche fidanzato: potrà mai ricambiare l’amore di Lucille?
La notte che ho dipinto il cielo di Estelle Laure: un estratto dal libro
Mamma sarebbe dovuta tornare a casa ieri dalle sue due settimane di vacanza. Quattordici giorni. Ha detto che le serviva una pausa da tutto quanto (ovvero noi) e che sarebbe tornata in tempo per il primo giorno di scuola. Considerato cosa ho ricevuto con la posta di ieri, un po’ me lo sentivo che non si sarebbe fatta viva, eppure ho continuato a sperare tutta la notte, a sperare che fosse solo la mia paranoia, e che il mio istinto praticamente infallibile avesse preso un granchio colossale, per una volta. Ma non ho sentito cigolare la porta d’ingresso, né scricchiolare il legno dei pavimenti, così sono rimasta a guardare il sole che sorgeva sulla parete, sapendo già dentro di me come stavano le cose: siamo sole, io e Wrenny, almeno per il momento. Wren e Lucille, Lucille e Wren. Farò quel che c’è da fare. Nessuno dovrà separarci. Il che significa mantenere il più possibile la normalità. O meglio, fare finta che tutto sia normale, perché la realtà dei fatti non potrebbe essere più diversa.
La normalità se n’è andata via insieme a nostro padre.
Ho provato uno strano senso di sospensione mentre pettinavo i capelli a Wren e, a sentire lei, le stringevo troppo le trecce, poi preparavo il caffè, la colazione, il pranzo per tutte e due, le prendevo i vestiti, lo zaino, la accompagnavo al suo primo giorno di quarta elementare e intanto salutavo la gente del quartiere cercando di evitare chiunque potesse azzardarsi a chiedere che fine aveva fatto mia madre. Ma evidentemente ho sbagliato tutto. Non ho seguito l’ordine giusto.
Per prima cosa dovrei fare il caffè e prepararmi. Wren dovrebbe vestirsi dopo la colazione, non prima, perché è una che si sporca parecchio quando mangia. Si dà il caso che da questa mattina non le piaccia più il tonno («Sembra vomito»), anche se fino a ieri lo adorava, e l’ho scoperto solo quando il panino era bell’e pronto nel portapranzo e dovevamo già essere fuori di casa. Ho smistato le montagne di panni afflosciati, ho ripiegato le mie cose, appeso quelle di mamma, sistemato con cura i vestiti di Wren nella sua cassettiera, ma a quanto pare non c’è più niente che le stia giusto. Come ha fatto a crescere così tanto in due sole misere settimane? Forse perché questi quattordici giorni sono sembrati un’eternità.
Queste sono tutte cose che mamma faceva senza che se ne accorgesse nessuno. Ora invece me ne accorgo. Me ne accorgo perché lei non c’è. Me ne accorgo perché lei non le fa. Vorrei stuzzicare Wren, capire come mai non mi chiede dov’è sua madre il primo giorno di scuola, perché non è qui. Forse perché in fondo sa che prima o poi sarebbe successo, che tutto è iniziato la sera che è venuta da noi la polizia e che questa non è altro che la necessaria, inevitabile conclusione?
Certe volte le cose si sanno e basta.
A ogni modo ho fatto tutto quello che avrebbe fatto mamma. O almeno ci ho provato. Ma l’universo sa bene che sto recitando una parte, che sto fingendo di seguire le istruzioni di un manuale che mi piacerebbe tanto avere. Comunque, quando ho salutato Wren dandole un bacio sulla testa scura e liscia, lei è entrata di corsa a scuola. Questo dovrà pur contare qualcosa.
È una giornata mite. L’estate non sa ancora che sta per finire, e percorro a passo svelto i nove isolati che separano la scuola di Wren dalla mia. Quando varco il portone del liceo sono ormai in un bagno di sudore.
E ora eccomi qui. In classe. Il motivo che Wren canticchiava lungo la strada mi martella in testa con il suo ritmo fastidioso da canzonetta pop. Sono un po’ in ritardo per l’ora di inglese, ma lo sono praticamente tutti, il primo giorno di scuola. Presto ognuno saprà esattamente dove deve andare e quando, a che posto sedersi. Saremo delle brave pecorelle.
Eden è già qui, sempre puntuale, in tempo per reclamare il posto che vuole per sé, il braccio appoggiato sullo schienale della sedia vuota accanto alla sua, finché non mi vede e lo lascia cadere lungo il fianco. L’ora di inglese è l’unica che abbiamo in comune quest’anno, il che è un vero schifo. Non è mai successo prima. Mi piace di più quando possiamo affrontare la giornata a fianco a fianco. Almeno, però, i nostri armadietti sono vicini.
Un’anteprima più ampia di La notte che ho dipinto il cielo è disponibile a questo indirizzo sulla piattaforma Google Libri.
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