Dopo il grande successo dei primi tre volumi della saga dei Medici, Matteo Strukul torna con I Medici – Decadenza di una famiglia, volume per il quale è da poco apparsa online la data prevista per la pubblicazione, quella del 26 ottobre 2017. I volumi di Strukul, fondatore del movimento Sugarpulp e già autore di diversi volumi di successo ancor prima della saga dei Medici (La ballata di Mila e La giostra dei fiori spezzati, per nominarne un paio) si è ormai imposto ampiamente nel panorama letterario italiano. Ecco qualche accenno a quel che ci aspetta con il prossimo romanzo.
Trama di I medici – Decadenza di una famiglia
Disperata, Maria si affida a Mathieu Laforge, un sicario disposto a tutto, per denaro. La lealtà comprata per denaro, tuttavia, non è mai del tutto certa, e infatti quando Enrico IV cade vittima di un complotto, Laforge sembra ponderare l’idea di cambiare fazione, soprattutto considerando che all’orizzonte ormai si profila l’ascesa del cardinale Richelieu. Ascesa che la stessa Maria potrebbe favorire…
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I medici – Decadenza di una famiglia: incipit del libro
Passitea aveva occhi grandi e di un colore talmente caldo da ricordare il miele selvatico. Sembravano occupare quasi per intero quel suo volto piccolo, dai tratti delicati, perfino fragili. Eppure, in quel suo essere minuta, riluceva in modo chiaro una resistenza ostinata.
Quando Maria la vide ne rimase affascinata.
Era giunta in carrozza da Palazzo Pitti in contrada Colonna, vicino alla chiesa dell’Annunziata, presso la casa che proprio i Medici avevano concesso a Passitea e alle sue diciotto compagne.
Cacciata da Siena per aver tentato invano di fondare un proprio ordine di consorelle, quella donna pia e dolce aveva ricevuto ogni aiuto da Firenze. E ora tentava di ottenere null’altro che un monastero dove condurre una vita santa e misericordiosa, mortificando la carne e aiutando le anime perdute di uomini e donne.
E Dio solo sapeva quanto ve ne fosse bisogno in quei tempi sciagurati, governati da ferro e denaro, tradimento e inganno.
Maria la fissò a lungo, incapace di distogliere lo sguardo: Passitea indossava una veste di sacco e nient’altro. La tela era lisa al punto da lasciar intravedere le rosse piaghe che le segnavano i fianchi, nei punti in cui s’infliggeva ferite profonde con spine e catene, acuite dall’aceto caldo che faceva applicare dalle compagne per tenere vivo il ricordo del dolore e dell’espiazione.
Quella sofferenza, però, non pareva piegare in alcun modo la sua ferma attenzione verso gli altri. Anzi, al contrario, sembrava esaltare quell’attitudine. Per un istante, Maria fu certa di individuare un’aura impalpabile che l’avvolgeva e si allungava in lingue chiare verso la luce pallida che filtrava dai finestroni della grande sala.
Maria era sicura che fossero proprio il rigore e la disciplina a nutrire quell’aura.
Passitea le si avvicinò.
Le prese le mani.
Maria sentì le dita sottili, fredde come alabastro, che s’intrecciavano alle sue. Non rifiutò quel contatto che suonò così naturale e gentile al suo cuore.
Non avrebbe saputo spiegare perché, ma c’era qualcosa che andava ben oltre la dimensione terrena, in quell’incontro.
Passitea aveva un dono naturale, una capacità rara di comprendere le pene altrui, senza nemmeno dover pronunciare parola.
Tuttavia, Maria si lasciò andare e raccontò il motivo di quella visita. Aveva il cuore gonfio d’emozione e il silenzio la metteva a disagio. Aprirsi a quella donna era tutto ciò di cui aveva bisogno.
«Sono venuta perché ho paura, madre. Temo per il mio futuro…», ma non ebbe modo di finire perché Passitea aveva portato l’indice a sigillarle le labbra.
Maria obbedì a quel gesto, quasi una forza sovrannaturale le avesse rapito i pensieri e la volontà. Si lasciò guidare da quella donna così singolare verso due piccoli sgabelli in legno.
Tutto in quella grande sala vuota era all’insegna della più nuda essenzialità. Il marmo chiaro del pavimento sembrava voler restituire la fredda aria novembrina. Le candele, imprigionate nel ferro dei lampadari, erano spente, affinché la luce artificiale fosse bandita da quel luogo.
A parte gli sgabelli, un inginocchiatoio era l’unico altro mobile presente. Sulle sue assi si distingueva con chiarezza un alone color del vino, che raccontava meglio di mille confessioni il sangue che Passitea doveva aver versato nelle ore di penitenza e preghiera.
Maria prese posto sullo sgabello.
Di fronte a lei, Passitea chiuse gli occhi. Con le mani strinse il grande crocifisso in legno che le pendeva sul petto.
«Mia dolce amica», disse la pia donna, «leggo nel vostro sguardo la preoccupazione che vi divora ma dovete aver fiducia. Portate ancora pazienza e non angustiatevi in sciocchi dubbi poiché io vedo con chiarezza il vostro futuro».
«Davvero?».
Maria la guardava estatica. E anche colma di paura, poiché quando Passitea riaprì gli occhi, vide nel suo sguardo una luce talmente intensa che quasi le si mozzò il fiato.
Se non avesse avuto cieca fiducia in lei avrebbe senz’altro considerato quella donna una fanatica.
«Fidatevi di quel che vi dico, amica mia».
Senza aggiungere altro, Passitea tenne gli occhi in quelli di Maria, come se guardandola potesse esplorarle l’anima. E, probabilmente, era proprio così. Anzi, Maria non aveva alcun dubbio che fosse così.
«Siete così bella», disse Passitea, «i vostri occhi sinceri, la vostra pelle, bianca come la neve, i capelli castani dal colore talmente intenso da accecare la vista di coloro che vi guardano. Eppure questi non sono altro che piccoli gingilli di vanità, lo capite? Dovete aver fede, Maria, abbandonarvi a quello che nostro Signore ha deciso per voi. Smettetela di angustiarvi con inutili domande. Piuttosto, chiedetevi come potete servirlo e preparatevi a celebrare la sua gloria».
«Cosa devo fare?», domandò Maria de’ Medici.
«Spendete più tempo nella preghiera. Fate visita a coloro i quali hanno bisogno di voi, agli ultimi, a quanti non sanno nemmeno di cosa vivere».
Maria piegò il capo, in segno di contrizione.
Passitea aveva ragione.Era talmente preoccupata per quel suo futuro così incerto. Suo zio Ferdinando le aveva promesso un matrimonio magnifico, ma il tempo passava e lei, a ventidue anni, era ancora sola. E, malgrado la sua innegabile bellezza, sembrava che nulla avrebbe potuto cambiare quella condizione.
«Perché nessuno mi vuole?», mormorò con un filo di voce. Quella domanda le sfuggì dalle labbra, strappata quasi da quel senso d’inadeguatezza che ogni tanto l’aggrediva come un morbo violento.
Si pentì immediatamente di quelle parole perché ne avvertì l’egoismo e la vanità.
Ma Passitea non si scompose.
Le appoggiò le dita sul mento e le sollevò il capo.
Poi la guardò in un modo sorprendente.
Furono le parole che pronunciò, a mettere i brividi a Maria.
«Preparatevi a diventare regina di Francia. Poiché, quanto è vero che mi chiamo Passitea Crogi, voi lo sarete. Ma non gioite troppo in cuor vostro. Giacché il potere terreno corrompe i cuori dei giusti e la ricchezza ne guasta l’animo».
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