Il nuovo libro di Le Carré, Un passato da spia, segna il ritorno di George Smiley in libreria. Il volume, edito in Italia il 30 gennaio 2018 da Mondadori, ha un prezzo di copertina di 20 euro (ma qui lo si può trovare a prezzo scontato). Vediamo la trama e un’anteprima dal romanzo.
Un passato da spia: trama del libro
Peter Guillam, fedelissimo collega e discepolo di George Smiley dei Servizi segreti britannici, è ormai da tempo in pensione nella sua tenuta agricola in Bretagna dove vive con la famiglia, quando riceve inaspettatamente una lettera che lo convoca a Londra nel quartier generale dell’Intelligence. A quanto pare il suo passato durante la Guerra Fredda lo sta richiamando.
Quelle che un tempo erano considerate le più famose operazioni di spionaggio nelle quali erano coinvolti personaggi del calibro di George Smiley, Alec Leamas, Jim Prideaux, e lo stesso Peter Guillam, vengono ora analizzate e investigate da una nuova generazione che non ha alcuna memoria di quegli anni.
Chi è davvero responsabile di atti commessi molti anni prima in nome di qualcosa che non esiste più? Qualcuno deve pagare il sangue innocente che è stato versato per una causa considerata giusta per il bene comune.
Un funzionario dei Servizi segreti non è immune ai sentimenti, esattamente come gli altri esseri umani. Ma ciò che conta per lui è riuscire a reprimerli, sia nel momento in cui li prova, sia – ed è il mio caso – a cinquant’anni di distanza. Fino a un paio di mesi fa, la notte, quando giacevo a letto nella remota fattoria della Bretagna in cui vivo, tra i muggiti delle mucche e il chiocciare delle galline, riuscivo a contrastare con decisione le voci accusatorie che, di tanto in tanto, cercavano di tenermi sveglio. Ero troppo giovane a quel tempo, ribattevo provando a difendermi. Troppo ingenuo, innocente, inesperto. Se volete uno scalpo, dicevo loro, rivolgetevi ai grandi maestri dell’inganno, come George Smiley o il suo capo, Controllo. Era stata la loro pregevole astuzia, insistevo, la loro mente subdola e istruita, e non la mia, che aveva partorito l’operazione Windfall, con il suo esito trionfale e il suo carico di dolore. Ora, però, l’età e la sensazione di smarrimento mi spingono, visto che sono stato chiamato a giustificarmi dai Servizi a cui ho dedicato i migliori anni della vita, a svelare a ogni costo le luci e le ombre del mio coinvolgimento nella vicenda.
Le ragioni del mio reclutamento nel Circus – come lo chiamavamo noi Giovani Turchi nel periodo magico in cui la sua sede era una pomposa dimora vittoriana di mattoni rossi sulla curva di Cambridge Circus, e non quella grottesca fortezza sulle rive del Tamigi dove si trova adesso – restano per me un mistero, un po’ come le circostanze della mia nascita, al punto che i due avvenimenti mi sembrano inseparabili.
Mio padre, che ricordo a stento, a sentire i racconti di mia madre, era la pecora nera di una ricca famiglia anglo-francese proveniente dalle Midlands, un uomo dai potenti appetiti, dilapidatore di patrimoni e follemente innamorato della Francia. Nell’estate del 1930 se ne stava a mollo nelle acque termali di Saint-Malo, sulla costa settentrionale della Bretagna, dove trascorreva le sue giornate tra casinò, case chiuse e, più in generale, facendosi notare. Mia madre, unica figlia di una lunga stirpe di agricoltori bretoni, all’epoca ventenne, si trovava in città per fare da damigella alla figlia di un ricco sensale di bestiame che stava per sposarsi. O almeno questa è la sua versione. Tuttavia, tenendo conto di una sua discreta propensione ad abbellire la realtà quando non era esattamente lusinghiera nei suoi confronti, non mi sorprenderei affatto di scoprire che si trovava in città con scopi assai meno nobili.
Dopo la cerimonia, a suo dire, lei e l’altra damigella, su di giri per via di qualche bicchiere di champagne, se la svignarono dal ricevimento e, ancora tutte in ghingheri, si avventurarono in una passeggiata serale sulla promenade, dove anche mio padre stava gironzolando, spinto da secondi fini.
Mia madre era una ragazza graziosa e volubile, la sua amica molto meno. Nacque dunque tra i miei una relazione travolgente, sulla cui rapidità mamma è sempre stata comprensibilmente reticente. Un altro matrimonio fu organizzato in fretta e furia, e io ne fui il prodotto. A quanto pare, però, mio padre non era fatto per avere una famiglia e sin dai primi anni di convivenza cercò il modo di essere più assente che presente.
Qui, però, la storia prende una piega eroica. La guerra ha il potere di cambiare tutto e in un battibaleno cambiò anche mio padre. Neanche era stata dichiarata, che già lui si era messo a bussare alle porte del ministero della Difesa, offrendosi come volontario a chiunque avesse avuto bisogno di lui. Il suo scopo, così dice mia madre, era quello di salvare la Francia tutto da solo. Che fosse anche quello di sfuggire ai legami famigliari, è un’eresia che non mi fu mai concesso di manifestare in presenza della mia augusta genitrice. Gli inglesi disponevano di un’organizzazione nuova di zecca, l’Esecutivo Operazioni Speciali, il cui compito, come ebbe a dire Winston Churchill, era quello di “mettere l’Europa a ferro e fuoco”. Le coste della Bretagna sudoccidentale pullulavano di sottomarini tedeschi e la nostra cittadina di Lorient, ex base navale francese, era il centro delle loro attività. Paracadutato per ben cinque volte nelle pianure bretoni, mio padre collaborò con tutti i gruppi della Resistenza che riuscì a trovare, contribuì a provocare un discreto casino, e morì di una morte orrenda nella prigione di Rennes per mano della Gestapo. Alle spalle si lasciò dunque un esempio di generosità e dedizione alla causa che nessun figlio avrebbe mai potuto uguagliare. E da lui ereditai anche una fiducia malriposta nel sistema scolastico privato inglese a cui purtroppo fui destinato anch’io, nonostante le sue scadenti prestazioni come monito.
I primi anni della mia vita furono un paradiso. Mia madre cucinava e chiacchierava, il nonno era severo ma gentile, la fattoria prosperava. A casa parlavamo il bretone. All’asilo cattolico del nostro villaggio, una giovane e graziosa monaca, che aveva passato sei mesi a Huddersfield come ragazza alla pari, mi insegnò i rudimenti dell’inglese e il francese, obbligatorio per legge. Durante le vacanze correvo a piedi nudi nei campi e sulle scogliere che circondavano la nostra proprietà, mietevo il grano saraceno per le crêpe di mia madre, mi occupavo di una vecchia scrofa di nome Fadette e mi lanciavo nei giochi più sfrenati con i bambini del villaggio.
Il futuro non aveva per me alcun significato, finché non mi investì in pieno.
Per la biografia e la bibliografia completa dell’autore rimandiamo alla pagina di Wikipedia dedicata a John le Carré.
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