Il più e il meno di Erri De Luca, in uscita in libreria il 22 ottobre 2015, è una raccolta di racconti che spazia dalla giovinezza dello scrittore e quindi Napoli, il buon cibo, il Natale, Ischia, alla maturità, con lo studio delle Scritture, la passione per la montagna, la morte del padre.
La raccolta di racconti di Erri De Luca Il più e il meno, in uscita al prezzo di 13 euro per Feltrinelli, tratterà molto dei ricordi dello scrittore, ma non solo, poiché nelle varie storie non mancano i racconti “sugli altri”, da San Francesco a un giovane afghano che scappa dalla guerra.
Come sempre per i libri di Erri De Luca, anche per Il più e il meno ci si può attendere un uso plastico e ammaliante della lingua e una grande umanità in ogni pagina. Il più e il meno evocati nel titolo sono, nel caso di questa raccolta di racconti, segni riferiti al tempo ma anche attributi dell’uomo e della vita.
Lunedì 19 ottobre, intanto, giungerà la sentenza per Erri De Luca per il processo legato alle dichiarazioni sulla TAV rilasciate dallo scrittore: non mancheremo di aggiornarvi non appena sarà resa nota la decisione del tribunale.
Tornando a Il più e il meno, di seguito vi riportiamo un estratto tratto dal racconto I pantaloni lunghi.
Il nuovo libro di Erri De Luca, Il più e il meno: un estratto
Non si chiamava più maestro, ma professore.
Lasciato il casermone delle elementari, portavamo ancora i pantaloni corti, marchio dell’infanzia. Qualcuno con quelli lunghi sembrava più adulto e più goffo.
I temi in classe, alle medie, avevano per titolo le materie di studio, controllavano il livello di apprendimento. Ci attenevamo a un italiano statale, rigido come un modulo.
Senza potermelo spiegare, mi disgustava.
La lingua imbalsamata faceva parte di una sottomissione generale al potere adulto. Nell’intervallo tra le ore ci sfogavamo col dialetto, una via di fuga. Ci sciacquavamo la bocca col napoletano.
Un giorno fu assegnato un tema libero, inventare una favola. Eravamo alle prime traduzioni di quelle di Esopo/Fedro. Molti di noi si preoccuparono, chiesero spiegazioni, una traccia, per timore di perdersi in quel largo. Bisognava inventare una storia di animali. La licenza improvvisa mi pizzicava il cranio. Scrissi a filo continuo, stringendo la penna fino a indolenzire le dita, unica parte allenata di un corpo mollusco. Scrissi in discesa, la pendenza del banco si inclinava verso di me con mandrie in cora e nuvole di polvere. Le bestie amano alzarla, disturbare gli insetti che le assediano.
La polvere da noi viene scacciata via ogni mattino, lì saliva al cielo spinta dal tamburo degli zoccoli. La polvere era l’anima del mondo. Scrivevo e i pensieri scalpitavano per uscire e correre anche loro. Fu un precipizio di scrittura, ebbi il tempo anche di farne una copia da portare a casa. Consegnai tra i primi. Di solito mi liberavo tardi, in cerca di prolunghe per arrivare alla misura minima assegnata.
A casa feci ascoltare il tema. Si sorpresero del mio slancio più che dello scritto. Avevo saputo quel giorno la notizia certa che la scrittura era campo aperto, via d’uscita.
Poteva farmi correre dove non c’era un metro per i piedi, mi scaraventava al largo mentre me ne stavo schiacciato sopra un foglio.
Sono uno che si è messo a scrivere, da quel giorno, per forzare le chiusure intorno.