Purity di Jonathan Franzen è in uscita in Italia l’8 marzo 2016. Il nuovo romanzo del grandissimo scrittore statunitense sta finalmente per arrivare in Italia edito da Einaudi nella collana Supercoralli.
Il nuovo romanzo di Jonathan Franzen, Purity, sarà lungo 656 pagine nell’edizione italiana, che avrà un prezzo di copertina di 22 euro (ma la si può acquistare con il 15% di sconto online fino all’8 marzo). Si tratta di un lavoro attesissimo che ha già raccolto le solite ottime recensioni all’estero, e che giunge a ben 5 anni dall’ultimo romanzo dell’autore, Libertà. Ecco la trama di Purity.
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Purity, la trama del nuovo libro di Jonathan Franzen
Purity Tyler detta Pip è la protagonista del nuovo romanzo di Franzen. La madre di Pip non vuole in alcun modo rivelarle l’identità del padre, dal quale è fuggita prima che Purity nascesse per poi rifugiarsi in una zona boscosa nel nord della California. Pip è una ragazza povera che si ritrova sulle spalle un pesantissimo debito studentesco; all’inizio del romanzo vive in una casa occupata assieme a degli anarchici a Oakland. L’attivista Annagret contatta Pip nella casa occupata dove Purity vivacchia (spasimando per uno degli altri inquilini). Attraverso uno stage con un’organizzazione capeggiata dal leaker Andreas Wolf, sorta di rivale del noto Julian Assange, Pip parte per la Bolivia con la speranza di riuscire, tramite la rete di hacker, a reperire delle informazioni su suo padre.
L’incontro con Andreas Wolf avrà un impatto fortissimo sulla vita di Purity, che instaurerà una relazione “relativamente morbosa” con lui. Pip lascerà la Bolivia per andare a lavorare negli Stati Uniti per il giornale diretto da Tom Aberant, portando scompiglio nella sua vita (e in quella della sua compagna Leila), continuando la ricerca del padre perduto.
Recensioni Purity di Jonathan Franzen e gli ultimi libri dell’autore
Purity come anticipato giunge 5 anni dopo Libertà. Franzen è considerato uno degli scrittori contemporanei più dotati al mondo. Amico di David Forster Wallace, a oggi è probabilmente uno degli scrittori viventi dalle capacità tecniche più strabilianti. A nostro giudizio il suo capolavoro, a oggi, è Le correzioni. Questi i romanzi dell’autore:
- La ventisettesima città
- Forte movimento
- Le correzioni
- Libertà
- Purity
Ai quali si aggiungono libri non narrativi come il recente saggio Più lontano ancora.
Tra le recensioni di Purity di Franzen che vi segnaliamo abbiamo quella di Tim Adams su The Guardian e quella di Colm Toibin sul New York Times. Come ormai accade di consueto per ogni nuova opera di Franzen, anche Purity ha scatenato un dibattito acceso per non dire polemico, ma la media delle recensioni è senza dubbio positiva e dal canto nostro non vediamo l’ora di mettere le mani sull’ultimo romanzo dello scrittore di Western Springs.
Aggiornamento: Purity di Franzen diventerà una serie TV. Come riportato da The Bookseller si vocifera di un drama da 20 episodi, che attualmente diversi grandi network televisivi stanno considerando se acquistare e realizzare (tra questi Showtime e FX). La serie dovrebbe essere scritta da Todd Field insieme allo stesso Franzen e prodotta da Scott Rudin, e si vocifera che nella serie potrebbe essere Daniel Craig a interpretare il personaggio di Andreas Wolf.
Purity: un estratto dall’incipit
Ai primi di giugno William O’Connell, capo della polizia di St. Louis, annunciò le sue dimissioni e il consiglio dei delegati di polizia, trascurando i candidati appoggiati dall’establishment politico della città, dalla comunità nera, dalla stampa, dall’associazione degli agenti di polizia, e dal governatore del Missouri, decise di conferire la carica quinquennale di capo della polizia a una donna che aveva già fatto parte della polizia di Bombay. La città rimase di stucco, ma la donna – una certa S. Jammu – accettò l’incarico prima che chiunque potesse fermarla.
Era il 1º agosto. Il subcontinente indiano salí di nuovo all’onore della cronaca locale il 4 agosto, quando lo scapolo piú ambito di St. Louis sposò una principessa di Bombay. Lo sposo era Sidney Hammaker, presidente della Hammaker Brewing Company, l’industria-simbolo della città. Della sposa si disse che era favolosamente ricca. Nei resoconti delle nozze i giornali riportarono che aveva una collana di brillanti assicurata per undici milioni di dollari, e che si era portata una schiera di diciotto persone di servizio per accudire alle proprietà degli Hammaker a Ladue, fuori città. I fuochi artificiali sparati durante il ricevimento per il matrimonio sommersero di cenere i prati a un paio di chilometri di distanza.
Una settimana piú tardi cominciarono i primi avvistamenti. Una famiglia indiana di dieci elementi venne notata su un’aiuola spartitraffico, a poca distanza dal Cervantes Convention Center. Le donne indossavano sari, gli uomini completi neri, i bambini pantaloncini corti da ginnastica e T-shirt. Tutti con in volto un’espressione lievemente infastidita.
All’inizio di settembre scene di questo tipo erano diventate una costante della vita quotidiana in città. Capitava di vedere degli indiani bighellonare senza motivo apparente tra Dillard e il centro di St. Louis. Li si poteva osservare stendere coperte nel parcheggio del museo di arti figurative e prepararsi un pasto caldo all’aperto, giocare a carte sul marciapiede davanti al National Bowling Hall of Fame, prendere in considerazione case in vendita a Kirkwood e a Sunset Hills, fare fotografie davanti alla stazione dell’Amtrak in centro, oppure far grappolo attorno alla capote di una Delta 88 ferma su Forest Parkway. I bambini avevano sempre l’aria beneducata.
L’inizio di autunno era anche la stagione in cui si faceva vivo un altro – e piú familiare – visitatore d’oriente, il Profeta Velato di Khorassan. Un gruppo di uomini d’affari aveva evocato il Profeta nel secolo diciannovesimo, perché li aiutasse a raccogliere i fondi per iniziative filantropiche. Ogni anno Egli tornava e Si reincarnava in uno dei cittadini piú illustri, la cui identità rimaneva rigorosamente segreta creando con il Suo mistero anagrafico un’atmosfera giocosa e incantata. È stato scritto:
Là su quel trono, al quale la fede cieca
Di milioni lo innalzò, sedeva il Profeta-Capo,
Il Grande Mokanna. Steso sui lineamenti era
Il Velo suo d’Argento, che aveva lí calato
Per misericordia, onde celare a vista mortale
Il viso suo abbagliante di luce immensa.
La pioggia cadde una sola volta in settembre, il giorno della Parata del Profeta Velato. L’acqua ruscellava lungo gli strumenti delle bande in marcia, e i trombettieri faticavano ad accostare la bocca all’imboccatura. I ponpon avvizzivano macchiando di colore le mani delle ragazze che poi se le passavano sulla fronte nel mandare indietro i capelli. Parecchi carri si impantanarono.
La sera del ballo per il Profeta Velato, il piú importante avvenimento dell’anno, violente raffiche di vento abbatterono i fili elettrici dell’intera città. Nella sala Khorassan del Chase-Park Plaza Hotel il ballo delle debuttanti si era appena concluso, quando andò via la luce. Arrivarono di corsa i camerieri con dei candelabri, e quando accesero il primo la sala si riempí di un mormorio di sorpresa e costernazione: il trono del Profeta era vuoto.
In Kingshighway una Ferrari 275 nera oltrepassò a tutta velocità i supermarket privi di finestre e le chiese massicce della zona nord della città. Eventuali curiosi avrebbero potuto scorgere una tunica immacolata dietro il parabrezza, una corona sul sedile del passeggero. Il Profeta stava andando verso l’aeroporto. Parcheggiata l’auto in una corsia di emergenza, Egli si precipitò nell’atrio del Marriott Hotel.
– Ha dei problemi, per caso? – disse un ragazzo d’albergo.
– Io sono il Profeta Velato, cretino.
All’ultimo piano dell’albergo, Egli si fermò a una porta e bussò. La porta venne aperta da una donna alta e coi capelli scuri in tuta da jogging. Era molto carina. Scoppiò a ridere.
Quando il cielo prese a illuminarsi, in basso, verso oriente, sopra l’Illinois meridionale, i primi a saperlo furono gli uccelli. Lungo le rive del fiume e in tutti i parchi e le piazze del centro, gli alberi presero a stormire e frusciare. Era il mattino del primo lunedí d’ottobre. In centro gli uccellini si stavano svegliando.
A nord del quartiere degli affari, dove vivevano i piú poveri, una leggera brezza mattutina portava un odore di liquore stantio e di sudore innaturale tra i viali dove nulla si muoveva e tutto ristagnava: una porta sbattuta con violenza si udí fino a molti isolati di distanza. Nei cantieri ferroviari della conca centrale della città, in mezzo al ronzio di montacarichi difettosi e alle improvvise terrificanti vibrazioni delle barriere anticicloniche, uomini dai capelli cortissimi sonnecchiavano nelle cabine degli scambi. Alberghi a tre stelle e cliniche private con una vista pessima occupavano gli spazi lí attorno. Piú lontano, a occidente, il terreno si faceva collinoso, e alberi piú sani e vigorosi collegavano i vari insediamenti, ma questa non era piú St. Louis, erano sobborghi residenziali. A sud si stendevano file e file di casette cubiche in mattoni dove vedovi e vedove stavano distesi sul letto, e gli avvolgibili alle finestre, abbassati secoli fa, non sarebbero stati alzati neanche quel giorno.
Ma nessuna parte della città era morta piú del centro. Qui, nel cuore di St. Louis, al riparo dal lancinante traffico notturno sulle quattro autostrade, c’era dovizia di parcheggi. Qui i passeri bisticciavano e i piccioni mangiavano. Qui il municipio, una copia con tetto a displuvio dell’Hotel de Ville di Parigi, si ergeva con un suo splendore bidimensionale al centro di un’area piatta e vuota. L’aria in Market Street, il corso principale, era pulita, sana. Su entrambi i lati si sentivano gli uccellini cantare singolarmente, o in coro, come in un prato, come nei giardini sul retro di casa.
Per la biografia dell’autore rimandiamo alla pagina di Wikipedia dedicata a Jonathan Franzen.
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