Quasi niente di Mauro Corona e Luigi Maieron arriverà in libreria il 16 marzo 2017 per Chiarelettere. Il nuovo volume dello scrittore di Erto si compone di rievocazioni e narrazioni, composte insieme a Luigi Maieron, che ricostruiscono quel mondo di valli, di solitudine e solidarietà, di sconfitta, fragilità e amore che gli appassionati hanno imparato a conoscere (e amare) in altri libri di Corona.
Il libro (176 pagine) sarà in vendita con un prezzo di copertina di 14,90 euro. Per le versioni mobi, epub e pdf di Quasi niente il costo sarà invece di 7,99 euro.
Quasi niente di Corona e Maieron: trama e descrizione
Come recita la descrizione ufficiale, Quasi niente ha il sapore “delle storie narrate un tempo davanti al focolare”, ricche di una sapienza semplice ma profonda e disancorata da varie perversioni oggi quanto mai di moda, come l’arrivismo e l’arricchimento tramite ogni mezzo. Sono storie che hanno come protagonisti personaggi come Menin, Anna, Tacus e il trio Pakai, tra valli dove “non nevica firmato”, silenzi, “filosofismi”, amore e desiderio di pace interiore.
Corona e Maieron, in questo libro che è il frutto di una discussione appassionata tra i due amici, ci riportano all’interno di un mondo spesso duro se non feroce, che tuttavia è ancora in grado di insegnare molto. Per la descrizione ufficiale e altri dettagli rimandiamo i lettori alla scheda completa del libro su Amazon, dove è anche possibile ordinare Quasi niente con il 15% di sconto.
Quasi niente, un estratto dal libro
È inutile dire per sempre
Ci troviamo di fronte al Col Nudo, la punta più alta delle Prealpi venete, in una giornata splendida e malinconica di ottobre, con l’improvvida idea di annodare i fili delle nostre storie, del nostro passato vissuto tra queste montagne. L’impresa è tentare il riassunto di un’esistenza. La storia di Anna ci accompagna in questa prima traversata.
M.C. Guarda il Col Nudo, Gigi. È in ombra, le cose belle sono sempre in ombra. Quella montagna mi ricorda l’infanzia. Prima del Vajont i miei genitori si separarono e noi tre fratelli finimmo dai nonni. Ogni mattina mi svegliavo a casa loro, mi affacciavo alla finestra e vedevo ’sta montagna e mi affascinava fortemente l’idea di andar su. Non conoscevo ancora la parola scalare ma ogni volta mettevo fuori il naso e osservavo rapito quella punta meravigliosa.
Cosa c’era lassù? La luce del primo mattino, il vuoto, il cielo. Da bambino il mistero ti seduce, ti attraversa come qualcosa di fisico. È presente dappertutto, lo senti, ti spaventa ma lo vai cercando. Trent’anni dopo quella montagna l’ho finalmente scalata con amici che oggi non ci sono più, sono arrivato in cima ma la sensazione dell’infanzia è ancora viva dentro di me. Ecco la differenza tra sogno e desiderio, infanzia e vita adulta.
Se guardo indietro capisco che la vita non può essere vissuta come un programma, non è una carriera, non risponde a un modello che ci siamo costruiti o che ci hanno tramandato e non è neppure una sfida. È un’avventura fatta di incontri che ti possono trasformare. Sempre che riusciamo a vedere gli altri non come degli avversari da affrontare e da battere. Queste cose le ho capite molto tardi e devo riconoscere che mi sono pentito del perenne combattimento che nel mio caso è stato anche feroce. Forse la vera felicità consiste nel non avere desideri, come ha detto qualcuno. Oggi sono quasi arrivato a questo ma ci ho impiegato più di sessant’anni a capirlo.
Avere sogni è importante, immaginare cose impossibili: vivere in un altro mondo, avere le ali, librarsi nel cielo tra le montagne. Andare sott’acqua con i pesci, starci dei mesi, il sogno è quella fantasia irrealizzabile che scalda l’anima. È questa la sensazione che ricordo della mia infanzia, affacciato alla finestra e rapito dalla vetta del Col Nudo. I desideri invece ci raffreddano e ci spengono. Sono traguardi da superare e bottini da incassare, per un dovere ereditario tramandato da tempi antichissimi da troppi uomini che alla fine si sono ritrovati con un pugno di terra in mano e qualche quintale sulla cassa. Ecco la vita dei desideri, un pugno di terra e un’esistenza di perenne combattimento e insoddisfazione.
Oggi ho chiuso con questa storia, spero per sempre, e ho scoperto ad esempio il valore della vulnerabilità, che io ho, che ho messo nei libri ma nascosto bene nella vita. Lo sentivo dentro e gli ho dato la voce dei personaggi femminili dei miei romanzi. Il mio rapporto personale con le donne è stato molto conflittuale perché ho capito fin da piccolo che la donna è più forte del maschio. Non essendo stato educato ad accettarlo, per colpa dell’eredità atavica e maschilista di queste valli misogine e spietate, trovandomi di fronte una forza che poteva sconfiggermi mi sono costruito una maschera di ferro.
L’uomo è il cervo che si picchia con i maschi per la femmina, non viceversa. Il cervo, il capriolo si spaccano la pancia a cornate e a testate, se la tagliano. Anche i galli forcelli, cedroni eccetera. Ma provando a vedere la vita con lealtà devo schierarmi dalla parte della donna. In queste valli sono stato uno dei primi a dire che era uguale al maschio, forse meglio. Nei libri ho dato alla donna il valore che ha e che merita, soprattutto a quelle donne che sono state sconfitte, picchiate, massacrate e alla fine ne sono uscite con dignità. Come mia mamma, tre volte in coma sotto le sprangate di mio padre. La dignità sublime del silenzio, della determinazione, di chi riesce sempre a guardare avanti.
Voglio ricordare la storia di Anna, che per me rappresenta proprio il modello che ho avversato nella vita ma ho portato nelle storie dei miei libri sempre restituendogli grandezza.
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