Con Sono sempre io Jojo Moyes riporta nelle librerie Louisa Clarke, il suo personaggio più amato. Il nuovo romanzo dell’autrice britannica, edito in Italia il 30 gennaio 2018 da Mondadori, sarà probabilmente uno dei bestseller di questo inizio anno. Vediamo insieme il riassunto della trama di Sono sempre io e un’ampia anteprima dal testo.
Sono sempre io: trama del libro
Lou Clark sa tante cose… Ora che si è trasferita a New York e lavora per una coppia ricchissima e molto esigente che vive in un palazzo da favola nell’Upper East Side, sa quanti chilometri di distanza la separano da Sam, il suo amore rimasto a Londra. Sa che Leonard Gopnik, il suo datore di lavoro, è una brava persona e che la sua giovane e bella moglie Agnes gli nasconde un segreto. Come assistente di Agnes, sa che deve assecondare i suoi capricci e i suoi umori alterni e trarre il massimo da ogni istante di questa esperienza che per lei è una vera e propria avventura. L’ambiente privilegiato che si ritrova a frequentare è infatti lontanissimo dal suo mondo e da ciò che ha conosciuto finora. Quello che però Lou non sa è che sta per incontrare un uomo che metterà a soqquadro le sue poche certezze. Perché Josh le ricorda in modo impressionante una persona per lei fondamentale, come un richiamo irresistibile dal passato… Non sa cosa fare, ma sa perfettamente che qualsiasi cosa decida cambierà per sempre la sua vita. E che per lei è arrivato il momento di scoprire chi è davvero Louisa Clark.
«Signora?»
L’unica persona con dei baffi simili che avessi mai visto era Mr Naylor, il nostro professore di matematica, che vi collezionava briciole di Digestive. Le contavamo a una a una durante le lezioni di algebra.
«Signora?»
«Oh. Mi scusi.»
L’uomo in uniforme piegò il suo dito tozzo facendomi cenno di avvicinarmi. Non alzò nemmeno lo sguardo dallo schermo. Restai in attesa allo sportello, mentre il sudore accumulato durante le ore di volo si asciugava lentamente nella camicia. Il funzionario alzò la mano e agitò quattro dita grasse. Questa, capii dopo qualche secondo, era la richiesta di esibire il passaporto.
«Nome.»
«È scritto lì.»
«Il suo nome, signora.»
«Louisa Elizabeth Clark.» Sbirciai al di là del bancone. «In realtà Elizabeth non lo uso mai. Perché dopo avermi battezzato così, mia madre si è resa conto che, abbreviato, sarebbe diventato Lou Lizzy. E pronunciandolo rapidamente suona davvero bizzarro. Anche se mio padre è convinto che in un certo senso mi si addica. Non che io sia una pazza. Cioè, immagino che non vogliate far entrare persone con problemi mentali nel vostro paese, giusto? Ah!» La mia voce rimbalzò nervosamente contro il pannello di plexiglas.
L’uomo mi guardò in faccia per la prima volta. Aveva le spalle larghe e uno sguardo che poteva inchiodarti come un taser. Non sorrise. Aspettò che il mio sorriso svanisse.
«Scusi» dissi. «La gente in uniforme mi rende nervosa.»
Mi voltai a guardare l’ufficio immigrazione e la coda serpeggiante che si era curvata più volte su se stessa fino a diventare un mare impenetrabile di persone irrequiete. «Mi sento un po’ a disagio a stare qui. In tutta onestà, questa è la coda più lunga che io abbia mai fatto. Mi stavo chiedendo se fosse il caso di iniziare a scrivere la lista dei regali di Natale.»
«Metta le mani sullo scanner.»
«È sempre di queste dimensioni?»
«Lo scanner?» mi chiese l’uomo con aria perplessa.
«La coda.»
Ma lui aveva già smesso di ascoltare. Stava studiando qualcosa sullo schermo. Appoggiai le dita sul lettore. E poi il mio cellulare segnalò l’arrivo di un messaggio.
Mamma: Sei atterrata?
Feci per scrivere una risposta con la mano libera, ma il funzionario si voltò bruscamente verso di me. «Signora, l’uso dei cellulari non è consentito in questa area.»
«È mia madre. Voleva solo sapere se sono arrivata.» Cercai di digitare l’emoji del pollice alzato mentre mettevo via il cellulare.
«Motivo del viaggio?»
Cos’è? rispose immediatamente mia madre. Aveva iniziato a mandare messaggi con assoluta naturalezza e ormai scriveva più rapidamente di quanto parlava. Cioè praticamente alla velocità della luce. Sai che il mio telefono non visualizza le faccine. È un SOS? Louisa, dimmi che stai bene.
«Motivo del viaggio, signora?» ripeté il funzionario con i baffi vibranti di irritazione. Poi, lentamente, aggiunse: «Che cosa la porta qui negli Stati Uniti?».
«Ho un nuovo lavoro.»
«Che sarebbe?»
«Lavorerò per una famiglia di New York. Vicino a Central Park.»
Per una frazione di secondo le sopracciglia dell’uomo parvero alzarsi di un millimetro. Controllò l’indirizzo sul mio modulo alla ricerca di una conferma. «Di che lavoro si tratta?»
«È un po’ complicato. Diciamo che sono una specie di accompagnatrice.»
«Un’accompagnatrice.»
«Le spiego. Prima lavoravo per un uomo. Ero la sua accompagnatrice, ma gli davo anche le medicine, lo portavo a fare delle passeggiate e lo imboccavo. Non è così strano come sembra, comunque. Lui aveva perso l’uso delle mani. Non c’era niente di perverso. A dire il vero, il mio ultimo lavoro è stato molto più di questo, perché è difficile non affezionarsi alle persone di cui ci si prende cura, e Will, l’uomo di cui mi occupavo, era meraviglioso e noi… Be’, ci siamo innamorati.» Troppo tardi: ecco la familiare sensazione degli occhi gonfi di lacrime. Me li asciugai rapidamente. «Perciò penso che sarà qualcosa di simile. Tranne per la storia d’amore. E la necessità di imboccare il mio assistito.»
Il funzionario dell’ufficio immigrazione mi stava fissando. Abbozzai un sorriso. «In realtà non è mia abitudine piangere parlando di lavoro. Non sono una squilibrata, nonostante il mio nome. Ah ah! Ma lo amavo davvero. E Will amava me. E poi lui… Be’, ha deciso di togliersi la vita. E venire in questo paese è il mio tentativo di voltare pagina.» Ora le lacrime scendevano sul mio viso a un ritmo imbarazzante e inarrestabile. Sembravo incapace di fermarle. Sembravo incapace di fermare qualsiasi cosa. «Mi scusi, dev’essere il jet-lag. Sarebbero le due di notte in Inghilterra… In più, ormai mi sforzo di parlare di lui il meno possibile. Sa, ho un nuovo fidanzato. Ed è fantastico! È un paramedico! Ed è sexy! È come vincere la lotteria dei fidanzati, non trova? Un paramedico, e per giunta sexy.»
Rovistai nella borsetta alla ricerca di un fazzoletto. Quando alzai gli occhi, l’uomo mi stava porgendo una scatola di Kleenex. Ne presi uno. «Grazie. Fatto sta che il mio amico Nathan, che è neozelandese, vive qui e mi ha aiutato a trovare questo lavoro, ma non so ancora bene in cosa consista, a parte occuparmi di una donna che è sposata con un uomo ricco e soffre di depressione. Ma stavolta ho deciso di essere all’altezza di ciò che Will desiderava per me, perché prima non l’ho fatto. Pensi che sono finita a lavorare in un aeroporto.»
Mi bloccai, raggelata. «Non… ehm… non che ci sia qualcosa di male nel lavorare in un aeroporto! Sono certa che essere un funzionario dello sportello immigrazione è un ruolo importante. Davvero importante. Ma ho un piano: fare qualcosa di nuovo ogni settimana e dire di sì.»
«Dire di sì?»
«Alle novità. Will mi ripeteva sempre che mi precludo nuove esperienze. Perciò il mio piano è questo.»
L’uomo studiò il mio modulo. «Non ha compilato correttamente la sezione del recapito. Mi serve un codice di avviamento postale.»
Spinse il foglio verso di me. Controllai il codice sul promemoria che avevo stampato e lo copiai con le dita tremanti. Guardai alla mia sinistra, e notai che le persone in attesa stavano diventando sempre più impazienti. Nella coda accanto alla mia, due funzionari stavano interrogando una famiglia cinese. Quando la donna protestò, furono condotti in una saletta laterale. D’un tratto mi sentii completamente sola.
Il funzionario diede un’occhiata alle persone alle mie spalle, poi, improvvisamente, appose un timbro sul mio passaporto. «Buona fortuna, Louisa Clark» disse.
Lo fissai. «Tutto qui?»
«Tutto qui.»
Per la bibliografia completa dell’autrice e alcuni cenni biografici rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Jojo Moyes.
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