Una storia quasi perfetta di Mariapia Veladiano, già autrice di La vita accanto e Il tempo è un dio breve (entrambi editi da Einaudi) sarà pubblicato il 28 gennaio 2016 da Guanda. Il nuovo romanzo dell’autrice vicentina, vincitrice con La vita accanto del Premio Calvino, e poi classificatasi seconda al Premio Strega con la stessa opera, sarà presentato da Guanda nella collana Narratori della Fenice con un prezzo di copertina di 17,50 euro.
Trama di Una storia quasi perfetta di Mariapia Veladiano
La trama di Una storia quasi perfetta verte su una “storia d’amore e seduzione, sulla fragilità dei nostri rapporti quotidiani ma anche sulla capacità di riappropriarci della nostra vita, sulla forza intensa e catartica di un riscatto”. Il protagonista del volume, anonimo, è il proprietario di un’azienda di design che si occupa di moda come di oggettistica. Bianca, che insegna discipline pittoriche in un liceo, propone all’uomo una serie di disegni di ispirazione floreale per il quale l’uomo perde la testa. Come di consueto, il proprietario dell’azienda cercherà di sedurre anche l’artista che ha proposto le opere, ma nel caso di Bianca l’uomo scopre presto che con lei le consuete dinamiche non si ripeteranno. L’uomo rimane conquistato dalla purezza di Bianca, dalla sua natura e dalla sua vita in compagnia del figlio Gabriele.
Una storia quasi perfetta di Mariapia Veladiano, un estratto dal terzo capitolo
Era una cartella portadisegni ben particolare, aveva pensato quando lei era entrata. Quadrata, difficile da maneggiare, di cartoncino bianco, così candido che ci si chiedeva come fosse possibile, decorato con piccoli rami di lillà, una trama regolare, però era ciascuno diverso dall’altro, coi colori dal rosa all’azzurro al bianco, come se fossero stati presi a modello tutti quelli di un cespuglio invece che uno solo.
Lo aveva sfiorato l’idea che potessero essere dipinti uno a uno. Non vedeva abbastanza bene dall’alto dei suoi quasi due metri.
«Impossibile» aveva concluso.
Entrando lei teneva la cartelletta in modo innaturale. Per non farle toccare il pavimento piegava il gomito e la stringeva fra l’indice e il medio. Tre fiocchi di nastro color lilla trattenevano i fogli ai tre lati. Sciogliendo il fiocco in alto, le dita di lei si erano ingarbugliate.
«Belle mani» aveva pensato lui mentre si sedeva dopo averla guidata alla poltroncina davanti alla scrivania. Lei era rimasta in piedi. Aveva appoggiato la cartelletta sulla poltroncina e la teneva verticale. La sua immagine riflessa dai tre lunghi specchi che arredavano le pareti.
«Il suo nome è…» le stava dicendo.
«Bianca» lo aveva anticipato lei con impeto, come se tutto dipendesse dal dire prima di lui il suo nome: «Bianca de Zudei».
Si sarebbe infastidito se in quel momento non fosse apparso il primo disegno.
Conosceva bene il suo nome perché conosceva il potere dei nomi. Ricordava sempre il nome di chi riceveva. Non ne dimenticava uno. E ricordava anche i visi, aveva un talento. Li sapeva disegnare, fissare la piega di un’anima spigolosa, la curva di una delusione che non si fa dimenticare, il solco di un rancore che rende opachi i pensieri. I rapporti di lavoro sono più facili se si ricordano i nomi dei collaboratori e dei clienti, dei fornitori, degli autisti, delle modelle, dei fotografi, dei giornalisti, dei redattori. Di tutti quelli che incontrava, finché serviva.
«Conoscere il nome va bene quando si dà un incarico» diceva sempre. «Vuol dire attenzione, un riconoscimento rivolto proprio a quella persona e non genericamente al suo lavoro. Va bene anche per rifiutare una richiesta di collaborazione. C’è la sorpresa di essere chiamati per nome. Cortesia e distacco, senza andar troppo oltre, quel che basta perché ci sia il dispiacere di dare un dispiacere.» Diventava quasi poeta quando parlava dei nomi. In realtà aveva imparato tutto quel che sapeva sui nomi da una donna e non aveva più dimenticato. Lui non dimenticava niente di quel che avrebbe potuto essergli utile.
«Di Venezia» aveva completato lui che pescava mentalmente senza fatica dai dati del curriculum letto appena prima.
«Sì. Quasi di Venezia.»
Bianca teneva la cartella appoggiata al suo corpo, sempre in piedi. Aveva le dita bianche irrigidite nello sforzo di non farla scivolar giù. Era nella stessa posizione ormai da un bel po’. Non aveva per un solo momento mostrato l’intenzione di sedersi. Aveva lasciato socchiusa la porta da cui era entrata, lui l’aveva annotato. Senza parere lei la teneva d’occhio, piegando leggermente la testa per poterlo fare, quasi di profilo.
«Bel profilo» ancora aveva pensato lui appena prima di non riuscire a staccare lo sguardo dai disegni. Anche lui infine stava in piedi, non seduto di fronte a lei come avrebbe voluto. Si era alzato subito, infastidito di doverlo fare, ma costretto dalla sorpresa per tutta quella bellezza.
Avrebbe dovuto essere ben seduto sulla sua poltrona rosso cardinale, unico arredo colorato dentro il suo studio e anche nell’open space che si vedeva al di là della parete a vetri alla sua sinistra. Sedie, scaffali, tutto era nero o bianco.
Rimandiamo i lettori interessati a leggere un estratto più ampio del nuovo romanzo della brava scrittrice vicentina all’anteprima di Una storia quasi perfetta disponibile su Google Libri.