Ecco il riassunto della trama di Non ho tempo per amarti di Anna Premoli e un ampio estratto dal romanzo della scrittrice vincitrice del Premio Bancarella, edito in Italia da Newton Compton il 4 gennaio 2018.
Trama di Non ho tempo per amarti di Anna Premoli
Coinvolgente, romantico, divertente, poetico! Numero 1 nelle classifiche italiane Julie Morgan scrive romanzi d’amore ambientati nell’Ottocento. Di quell’epoca ama qualsiasi cosa: i vestiti lunghi, gli uomini eleganti, le storie romantiche che nascono grazie a un gioco di sguardi o al semplice sfiorarsi delle mani… L’unica cosa che salva del mondo di oggi è lo shopping online, che le permette di non mettere il naso fuori dal suo amatissimo e solitamente silenzioso appartamento.
Almeno finché – proprio al piano di sopra – non arriva un misterioso inquilino: un ragazzo strano, molto giovane e vestito in un modo che a Julie fa storcere il naso. È davvero un bene che lei sia da sempre alla ricerca di un uomo d’altri tempi, perché il suo vicino, decisamente troppo moderno, potrebbe rivelarsi ben più simpatico di quanto avrebbe mai potuto sospettare…
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In quel momento Lady Eleonor, che si considerava la debuttante con più testa sulle spalle della storia, capì che in verità era uguale a tutte le altre. Se non peggio. Le altre almeno rimanevano immobili ad attendere un bacio, mentre lei era terribilmente tentata di sollevarsi sulla punta dei piedi e dare a quell’uomo arrogante un bacio a effetto. La tentazione, ora che ci pensava, l’aveva portata a sporgersi nella sua direzione quasi senza accorgersene. La sua mano libera si fermò sulla giacca perfettamente rifinita del duca, il suo volto si avvicinò, le sue labbra si…
Bum!
Bum! Bum! Bum!
«Ma che diavolo…», impreco ad alta voce, pur essendo sola in casa. Trovo che certe esclamazioni abbiano molto più effetto se pronunciate nella giusta maniera.
Sollevo le mani dalla tastiera, infastidita per essere stata disturbata in un momento così importante per Lady Eleonor, e rimango in attesa di capire se poter andare avanti o meno. I primi baci sono roba seria e meritano il massimo impegno.
Allungo le orecchie e vengo confortata da un piacevole silenzio, tanto da sorridere a me stessa. Ok, deve essersi trattato di un falso allarme. Inspiro in cerca di concentrazione e poi riporto le mani sulla tastiera, intenzionata a riprendere. Se non fosse che il bombardamento sopra la mia testa riprende persino più forte di prima.
Ma stiamo scherzando?
Tamburello le dita sul tavolo, impaziente e alquanto seccata. A quanto pare Lady Eleonor è destinata a dover attendere ancora un po’ questo primo bacio ribelle, a giudicare dall’anomalo rumore molesto che ha deciso di intaccare la mia quiete mattutina.
Mi alzo dalla sedia e mi incammino verso la porta d’ingresso, decisa a scoprire il motivo di tanto fracasso. Questo è sempre stato un condominio di gente educata e silenziosa fino al ridicolo. L’età media dei condomini, va detto, è piuttosto alta. Motivo per cui, niente baccano, niente feste fino a ore impensabili, niente schiamazzi.
Non che quelli che sento siano davvero tali; assomigliano più che altro al rumore di sassi da duecento chili che vengono sbattuti con violenza sul mio soffitto. Ho quasi paura che ceda e che qualcosa o qualcuno plani nella mia sala. Sarebbe una grossa scocciatura. A quel punto Lady Eleonor sarebbe davvero costretta a morire zitella.
La scoperta, una volta aperto l’uscio, è di quelle da acidità di stomaco dovuta a indigestione di peperoni verdi (personalmente reputo che a questo mondo ne dovrebbero esistere solo rossi). O a scorpacciata di fritto. Mai eccedere con i fritti, se si vuole rimanere vivi nell’epoca dell’olio geneticamente modificato. Mio grandissimo punto debole, ahimè, motivo per cui ho già messo in conto di morire giovane. O “diversamente giovane”, come piace a mia madre definirmi: non ho più l’età anagrafica per far parte della categoria ma ho dalla mia lo spirito. E quello conta. Conta eccome.
Le scale del palazzo brulicano infatti di gente peggio di Saks a pochi giorni dal Natale. Si tratta di traslocatori impegnati a trasportare una miriade di scatole nell’appartamento all’ultimo piano, il famigerato mega attico sopra la mia testa. In questo anno e mezzo, da quando abito qui, è sempre rimasto disabitato, con mia somma gioia. No, non era in vendita e nemmeno in affitto, se è per quello. Giravano storie, sempre che i condomini attempati siano davvero capaci di gossip… La verità mi sembrava molto più banale: il legittimo proprietario aveva solo deciso che, pur possedendo un simile immobile nell’Upper West Side, a pochi passi dal museo di Scienze Naturali, fosse perfettamente normale non metterci mai piede. D’altronde, questa è l’epoca in cui la gente fa costantemente cose strane: cerca l’amore della propria vita tramite app, elegge gente totalmente improbabile alla Casa Bianca, non batte ciglio di fronte a un gelato al gusto verdure, ritiene l’avocado una sorta di Sacro Graal capace di guarire tutti i malanni e perciò finge di trovarlo gustoso. Voglio dire, ci sono cose ben più strane che dimenticarsi di mettere a reddito una casa…
La mia curiosità iniziale riguardo all’appartamento disabitato pian piano si è trasformata in una comoda abitudine (a chi non piace vivere in santa pace?), tanto che alla fine avevo del tutto rimosso la cosa. Dopo la disastrosa fine della mia convivenza con “lo stronzo”, all’anagrafe Allen, avevo fatto il clamoroso errore di affittare il primo appartamento che mi era piaciuto.
Grande errore! Mai fare sciocchezze simili se si abita in una città complicata come New York.
Sono infatti scappata da quel posto dopo sei mesi di rumori molesti, gente che urlava e litigava a tutte le ore, cani e gatti che guaivano a più non posso. Essendo io una scrittrice e lavorando da casa, al secondo tentativo di trovare un appartamento decente avevo perciò prestato molta più attenzione al banale concetto di “vicini”. Mi ero appostata fuori per giorni, prendendo nota della gente che entrava e usciva e dei suoi orari.
Atteggiamento un po’ da stalker? Giusto un po’… ma motivato da ragioni assolutamente sensate.
Avevo così scoperto che questo condominio era una specie di dono del cielo: gente molto presa e poco presente, con un’età media di tutto rispetto e quello che in altre circostanze avrei etichettato come un preoccupante odio per i bambini e gli animali domestici.
Appunto, in altre circostanze…
Ero certa che l’universo si stesse sdebitando a suo modo: sia dello stronzo che dei sei mesi d’inferno da cui ero reduce. Ecco perché, per quanto fosse logico attendersi che prima o poi qualcuno venisse ad abitare sopra la mia testa, con il trascorrere delle giornate mi ero dimenticata del piano alto. Per la prima volta da un sacco di tempo sembrava che la buona sorte fosse dalla mia. Mai fidarsi della benevolenza del karma, a quanto pare.«Mi scusi, potreste evitare di far cadere con così tanta violenza le scatole? Sa, abito sotto e sto cercando di lavorare…», mi rivolgo a uno dei traslocatori. Gli scatoloni sono così numerosi e così grossi che il portiere deve averli costretti a portare tutto a mano, invece di usare l’ascensore, per paura di farlo bloccare.
Lui scrolla le spalle, per nulla turbato. «Deve parlare con il proprietario», mi liquida, continuando a salire.
«Che sarebbe?»
«Al piano di sopra», risponde ridendo.
Certo. Dove, se no?
Osservo velocemente il mio abbigliamento: jeans vecchi, ampio maglione fucsia con in bella vista la stampa della fata di Cenerentola, pantofole a forma di unicorno. Le pantofole sono un tocco di classe, me ne rendo conto. Ma anche la fata ha un suo perché.
Sopprimo l’istintiva benché inutile tentazione di mettermi addosso qualcosa di più serio, visto che non ho la minima intenzione di fermarmi a lungo. Giusto il tempo necessario a presentarmi, sorridere al mio nuovo vicino e supplicarlo di fare meno baccano. C’è da sperare che sia un gestore di hedge fund e che trascorra tutte le sue giornate e conseguenti nottate in ufficio. L’industria finanziaria produce davvero i migliori vicini che una donna come me potrebbe mai volere e di questo sono molto, molto grata. Un po’ meno della recente crisi finanziaria, ma immagino non si possa avere tutto nella vita. Sì, sì, quelli che lavorano in finanza saranno anche simpatici come la devitalizzazione di un dente e non avranno mai del sale da prestarti, ma sono disposta a mangiare insipido per il resto dei miei giorni, se questo vuol dire continuare con la stessa vita di sempre.
Mi faccio forza e affronto anch’io le scale, seguendo il flusso di persone che trasportano di tutto. Letteralmente di tutto: i due uomini che mi precedono hanno le mani piene di chitarre, quello che mi segue un pezzo di batteria.
Che il padrone di casa sia un gestore di hedge fund che ama collezionare strumenti musicali?
Non sono assolutamente pronta a considerare l’alternativa.
La porta dell’attico è spalancata. Non sapendo bene come annunciarmi, seguo i traslocatori dentro l’appartamento. E lì mi fermo, perché dall’ingresso si accede subito a un’immensa sala, al momento piuttosto spoglia, con una miriade di vetrate. Il parquet è quello originale ma è stato evidentemente riverniciato perché brilla, creando l’effetto da sala da ballo. Una cosa è certa: un posto simile, con una tale metratura, sarà costato dei gran bei soldi…
Riprendo a sorridere, perché la storia della professione finanziaria torna a essere la più verosimile. Per la gioia di noi newyorkesi – veri o anche solo d’adozione come me – i ragazzini pieni di sé e ancora di più di quattrini, reduci da Silicon Valley e da qualche ridicola IPO a prezzi assolutamente ingiustificati, sono al momento tutti concentrati a far schizzare alle stelle il mercato immobiliare della costa Ovest. E sono gentilmente pregati di rimanerci a vita. Il real estate dalle nostre parti ha già i suoi problemi, anche senza la loro ingerenza.
Per la bibliografia dell’autrice rimandiamo alla pagina di Wikipedia dedicata ad Anna Premoli.
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