Compiuta Donzella fu una nobile fiorentina vissuta nella seconda metà del 1200 e morta probabilmente agli inizi del 1300, la cui importanza storica è notevole: si tratta probabilmente della prima voce femminile a scrivere componimenti in lingua volgare italiana.
Era una donna colta – privilegio riservato a pochi in tempi in cui l’analfabetismo era molto diffuso, specialmente tra le donne – e, secondo testimoni del tempo, come Guittone d’Arezzo che pare le fosse amico, anche stimata rimatrice. Eppure, di questa donna talentuosa nelle storie letterarie quasi non si trova traccia.
Di lei ci sono rimaste solo notizie frammentarie e alcuni critici ne mettono persino in dubbio l’esistenza, nonostante essa sia avvallata dalle lettere piene di stima indirizzatele dal medico Maestro Torrigiano che la chiamava “divina Sibilla”, da Maestro Rinuccino e, pare, persino da Guido Guinizzelli.
Difficile stabilire se Compiuta Donzella fosse il suo vero nome o solo uno pseudonimo, dato che il nome Compiuta era assai diffuso a Firenze, nel significato di “perfetta, piena di virtù” e Donzella potrebbe indicare il suo status di “signorina”, nonostante sarebbe stata fatta maritare dal padre, contro la sua volontà di entrare in convento, come dimostrano due suoi sonetti. Che alla fine Compiuta si mariti, lo testimonierebbe la lettera /panegirico di Guittone d’Arezzo in cui viene additata come “Donna” Compiuta, non più donzella, quindi probabilmente signora maritata.
I dubbi sulla reale esistenza di Compiuta sono stati suscitati dallo scambio poetico con Chiaro Davanzati che ha fatto supporre ad alcuni critici che Compiuta Donzella fosse solo una finzione letteraria creata appositamente dal poeta per ridere sull’ipotesi dell’esistenza di una poetessa con cui scambiare poesiole. Questa ipotesi fu in seguito additata come un tentativo di oscurare uno dei rari e importanti personaggi letterari femminili del passato.
Lo stesso critico e storico della letterature italiana Francesco de Sanctis ne riconosce l’esistenza e la qualità: «…la perfetta semplicità del sonetto femminile, con movenza più vivace, più immediata e più naturale..» (Storia della letteratura italiana).
Daniele Cerrato, professore di filologia italiana all’Università di Siviglia, nel suo articolo “Nuove ipotesi su Compiuta Donzella” pubblicato nel 2014 nella rivista Estudios Romanicos, rimanda per uno stato della questione degli studi dedicati a Compiuta Donzella “all’articolo di Steinberg, J.: “La Compiuta Donzella e la voce femminile nel manoscritto VAT. LAT. 3793” in cui l’autore fa il punto sul dibattito sviluppatosi intorno a Compiuta Donzella”.
Aggiunge il professor Cerrato:
Anche Paola Malpezzi Price (1988) analizza i pregiudizi della critica letteraria nell’accettare l’esistenza di autrici come Nina Siciliana e Compiuta Donzella, seppur di fronte a prove abbastanza evidenti. Si tratta di un ostracismo che si estende anche ad autrici di altri paesi dello stesso periodo come Maria di Francia e le poetesse trobairitz. Gli elementi di contatto tra le scrittrici del Duecento italiano e autrici come Castelloza e Azalais de Porcairages sono talmente evidenti, sia per quanto riguarda i toni, sia per quello che concerne le tematiche, che è impossibile crederli frutto della casualità, come sottolineano anche Martinengo (1996) e Mérida Jiménez (2008).
Christopher Kleinhenz (1995) sostiene che i sonetti di Compiuta Donzella si possano analizzare alla luce della situazione sociale della Firenze del Duecento, dove i matrimoni forzati costituivano una realtà abbastanza diffusa. L’autore evidenzia come si tratti di un argomentato affrontato in altri testi dell’epoca, come ad esempio “Ormai quando fiore” di Rinaldo d’Aquino, o “Mamma, lo temp’è venuto”, contenuto nella raccolta di Memoriali
Bolognesi.
Giuseppe Lauriello evidenzia come, pur avvertendosi l’influenza trovatorica, nella poesia di Compiuta Donzella, “trapela comunque una spontaneità e una freschezza di sentimenti e di immagini del tutto personali, una ispirazione certamente assente nei verseggiatori transalpini e in tanti suoi contemporanei”.
Anche Carla Rossi mette in risalto la grande novità contenutistica di “A la stagion che’l mondo foglia e fiora e “Lasciar vor[r]ia lo mondo e Dio servire”: ‘Per la prima volta in ambito italiano, vengono elaborati quei temi topici della letteratura antico-francese, tanto oitanica quanto occitanica, di una ribellione, affidata alla scrittura in ‘voce di donna’, al potere decisionale maschile: temi di una controcultura femminile elaborati in antitesi al matrimonio forzato'”.
Di lei non rimangono che tre sonetti, ma è possibile che il corpus di testi a lei ascrivibili sia superiore. Ma, aggiunge Cerrato nel suo articolo, “altri suoi componimenti potrebbero celarsi nei Memoriali bolognesi o nello stesso Codice Vaticano, dimostrando a una continuità stilistica e tematica”.
I suoi sonetti giunti sino a noi sono in stile trovadorico-provenzale e rivelano la conoscenza approfondita della scuola siciliana. Vi si rintracciano i temi dell’amore cortese, le tematiche del repertorio popolare dei “contrasti” e il tema delle donne “malmaritate”.
I tre sonetti si intitolano “A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora”, “Lasciar vorria lo mondo e Dio servire”, “Ornato di gran pregio e di valenza” e ci sono stati tramandati da un unico codice (Vat. Lat. 3793), il “Canzoniere Vaticano”, la più ricca raccolta antica di poesia italiana delle origini, ovvero di poeti siciliani e prestilnovisti, fra i quali Compiuta è l’unica donna.
Nel primo sonetto, Compiuta lamenta l’infelicità della propria condizione, accentuata dallo sbocciare della primavera, descritta, nelle prime due strofe, come stagione degli amori che fa fiorire nei cuori delle damigelle l’amor cortese. Alla felicità delle altre fanciulle che possono abbandonarsi ai sentimenti, la poetessa contrappone lo smarrimento per il proprio infausto destino di promessa sposa contro la sua volontà. La natura fiorente non la “ralegra”, anzi, a causa dell’errore in cui si trova, ella vive in tormento continuo. Scrive ancora il professor Cerrato: “Compiuta non palesa, però, quali siano i suoi desideri, limitandosi a dire che questa situazione deriva dalla violenza paterna, di cui si sente ostaggio e vittima”.
A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
acresce gioia a tut[t]i fin’ amanti:
vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;
la franca gente tutta s’innamora,
e di servir ciascun trag[g]es’ inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n’abondan mar[r]imenti e pianti.
Ca lo mio padre m’ha messa ‘n er[r]ore,
e tenemi sovente in forte doglia:
donar mi vole a mia forza segnore,
ed io di ciò non ho disìo né voglia,
e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ore;
però non mi ralegra fior né foglia.
Il secondo sonetto, potrebbe rappresentare una tappa successiva nel percorso di presa di coscienza di Compiuta che, forse in seguito all’aiuto e ai consigli di una voce amica, sembra voler intraprendere un percorso religioso, dal momento che questa appare l’unica possibilità per evitare il matrimonio e la conseguente perdita di libertà (“ond’io marito non vorrìa nè sire”) e poter conservare una pur minima indipendenza e continuare a coltivare la poesia.
Lasciar vor[r]ia lo mondo e Dio servire
e dipartirmi d’ogne vanitate,
però che veg[g]io crescere e salire
mat[t]ezza e villania e falsitate,
ed ancor senno e cortesia morire
e lo fin pregio e tutta la bontate:
ond’io marito non vor[r]ia né sire,
né stare al mondo, per mia volontate.
Membrandomi c’ogn’om di mal s’adorna,
di ciaschedun son forte disdegnosa,
e verso Dio la mia persona torna.
Lo padre mio mi fa stare pensosa,
ca di servire a Cristo mi distorna:
non saccio a cui mi vol dar per isposa.
Nel terzo sonetto c’è una tenzone con un poeta anonimo che alcuni critici identificano con Chiaro Davanzati. Questi avrebbe aperto con lei uno scambio di strofe, e avrebbe ringraziato la poetessa per la risposta, scusandosi per averle rivolto versi d’amore in cui sembrava “chiedere troppo”. La poetessa loda dapprima il valore dell’uomo e si dichiara onorata dall’esser stata pensata da lui. Poi ricorda al destinatario l’invito che questi le ha rivolto a svelarle l’essenza della propria sapienza, da intendere come virtù intellettuale e morale, e con umiltà e delicatezza precisa di non meritare le lodi dell’uomo. La nutrita presenza di termini provenienti dal linguaggio della poesia amorosa cortese conferma ancora una volta come Compiuta non fosse affatto una scrittrice provinciale e ignara della tradizione lirica coeva, che anzi riesce ad assimilare e a far sua, come si è già precisato, in modo personalissimo.
Ornato di gran pregio e di valenza
e risplendente di loda adornata,
forte mi pregio più, poi v’è in plagenza
d’avermi in vostro core rimembrata
ed invitate a mia poca possenza
per acontarvi, s’eo sono insegnata,
come voi dite c’a[g]io gran sapienza;
ma certo non ne son [tanto] amantata.
Amantata non son como vor[r]ia
di gran vertute né di placimento;
ma, qual ch’i’ sia, ag[g]io buono volere
di servire con buona cortesia
a ciascun ch’ama sanza fallimento:
ché d’Amor sono e vogliolo ubidire.
Flavia Novelli è nata a Pontebba (UD), ma vive da sempre a Roma. Laureata all’Università La Sapienza in Sociologia, con specializzazione in comunicazione, si è dedicata per diversi anni all’attività didattica e di ricerca e alla scrittura saggistica. Ma la sua vera passione è la poesia. A maggio 2017 ha pubblicato la sua prima silloge, “Vennero i giorni”, Edizioni Progetto Cultura. Il suo secondo libro, “Universi femminili”, Herald editore, è stato presentato a dicembre 2018 presso la Casa internazionale delle donne di Roma. Ad aprile 2019 è uscito il suo ultimo libro, “Parole nude”, edizioni Montag. È presente nelle antologie “Aspettando Santandar – Autori in evoluzione”, “Premio Mangiaparole Poesie” Edizioni Progetto Cultura, “Come Aquiloni” – Autori in evoluzione”, “Mi illumino d’immenso”, casa editrice Pagine, “Premio Afrodite”, Editrice Montecovello (vincitrice dell’omonimo concorso), “Poesia 2019. Centocinquanta poeti in antologia”, Il Viandante, “Lingua Madre Duemiladiciannove – Racconti di donne straniere in Italia”, Edizioni Seb27.
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