Scrivere su quest’opera in prosa che è stata definita a ragione “il più bel diario del 1900” non è facile proprio per la singolarità di questo grande poeta in primis e anche prosatore. Fernando Pessoa il cui cognome in portoghese significa persona nacque a Lisbona nel 1888 e lì morì nel 1935.
Passò la giovinezza in Sudafrica a Durban poiché il suo patrigno era console del Portogallo e rientrò a Lisbona nel 1905. Si mantenne lavorando come impiegato in una ditta di import-export in forza della sua ottima conoscenza dell’inglese appreso in Sudafrica. Questo poeta, narratore non però nel senso classico del termine è sicuramente uno dei grandi del ‘900 e questo libro lo testimonia in particolar modo. Che cos’è il Libro dell’ Inquietudine? Si può dire che è un’opera aperta, in itinere, che secondo le intenzioni dell’autore non avrebbe dovuto essere conclusa, Ed ancor oggi è oggetto di studio in patria dove le ricerche continuano concentrandosi su quello che è definito il “baule” cioè tutta la mole di scritti finora ritrovata.
Quello che caratterizza la singolarità del Libro è la presenza degli eteronomi ossia personaggi altri non pseudonimi di Pessoa, dotati di nome e cognome con vita propria come soggetti estranei all’autore. Essi sono ad esempio, Alberto Caero, Riccardo Reis, Alvaro de Campos. Ci si può chiedere chi sia realmente Pessoa, quale personalità abbia, se si riconosca in questi personaggi perché un dato è certo: Pessoa è stato l’autore che più di tutti nel ‘900 in maniera geniale e potente ha frantumato, dissolto l’unita del soggetto andando ben oltre la poetica di Pirandello. Sotto il titolo compare il nome di Bernardo Soares: chi è costui? Pessoa ha creato questo personaggio fittizio che narra la sua biografia, una sorta di diario, di confessione, è un contabile come appunto Pessoa stesso. E’ difficile definire questo “Libro” perché non è un’opera narrativa, un romanzo tradizionale con personaggi, una trama, una conclusione. No, è un qualcosa sempre di aperto che l’autore aveva in mente di non concludere mai. Egli è poeta, romanziere, drammaturgo? Potremmo dire che è tutte queste cose insieme proprio perché costitutivamente non aveva un’identità definita. Ci si può chiedere, quindi, da dove nasca questa peculiarità degli eteronimi, questa esigenza di moltiplicare il proprio Io semmai esista? In una lettera ad un amico, Adolfo Monteiro, scrive: “L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. Non so se sono proprio isterico o un istero-nevrastenico. Propendo per questa seconda ipotesi perché in me ci sono fenomeni di abulia. Come che sia, l’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Essi esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso”. Qui abbiamo l’origine, il fondamento di tutta la sua poetica perché, come detto, è un qualcosa di connaturato in lui. Infatti, scrive: “Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti. Non so se realmente siano esistiti o sono io che non esisto”. Più chiaro di così e allora nasce la domanda: chi è Pessoa, quale vita conduce il personaggio in carne e ossa nato un certo giorno di un certo anno e morto nel 1935? La risposta è più vite attraverso i vari personaggi, proiezioni della sua mente menzionati all’inizio che sono autonomi, hanno una professione, eteronimi rispetto all’ortonimo Fernando Pessoa.
Bernardo Soares, l’io narrante del Libro, chi è ? La risposta può essere quella di chi, come scrive Tabucchi, “vive e non vive: il suo esistere si pone fra la vita e la coscienza di essa, fra il reale che egli guarda e il reale che egli riproduce nella sua descrizione letteraria”. Pessoa-Soares vive “sospeso” nel senso che non c’è una separazione per es fra la veglia e il sonno, Soares “sdorme” come egli scrive cioè è come in un continuo stato di veglia perché incapace di adattarsi a quella che chiamiamo “vita normale”. Soares-Pessoa è un inadatto alla quotidianità e quindi ha bisogno di ricreare più esistenze, più mondi per sopravvivere. “È meglio scrivere piuttosto che osare vivere” cioè la letteratura è uno spazio sì fittizio ma per lui è vita vera per sfuggire all'”incompetenza verso la vita”. Il desassosego in portoghese significa perdita, privazione, la mancanza di “sossego” cioè di quiete.
Pessoa nel 1900 esprime in maniera più originale e potente quello che è stato definito il “male di vivere” andando oltre a quello che viene chiamato decadentismo e agli autori che convenzionalmente appartengono. Citiamo alcuni passi di quest’opera veramente bella, singolare. “Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso”. “Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale e vivo la parte più intensa e più costante del sogno”. “Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo e non sono io”. “Amo con lo sguardo, ma non con la fantasia. Perché io non fantastico niente su questa immagine che mi cattura. Così vivo di pura visione”. Si capisce che Pessoa è un visivo cioè il “vedere” per lui è quella facoltà che gli consente di vivere. Infatti, scrive: “Vedo e, vedendo, vivo. Sognando sempre io non avevo sognato Che in questa vita si sogna quando si è svegli, Che in questo mondo col sognar si vive”. Ecco Pessoa, il suo mondo, la sua poetica. Sognare non quando si dorme ma quando si è svegli, vivere mentalmente diciamo così, appunto uno “sdormire”.
In conclusione: qual è l’arte di Pessoa cioè come possiamo definire il suo rapporto con la scrittura? Ce lo chiarisce egli stesso in “Pagine di dottrina estetica”: “Il punto centrale della mia personalità come artista è che sono un poeta drammatico; ho sempre, quando scrivo, l’esaltazione intima del poeta e la spersonalizzazione del drammaturgo”. Ciò vuol dire saper tenere come in tutto le varie anime della creazione artistica, egli viene considerato tra i grandi poeti della “strutturazione” secondo quanto lui stesso scrive: “In quello che scrivono sono più complessi perché esprimono costruendo, architettando, strutturando”. Avere, quindi, in mente la complessità costruttiva dell’opera che non tutti hanno.
Recensione inviata da Pasquale Ciaccio
Edito da Feltrinelli nel 2020 • Pagine: 352 • Compra su Amazon
"Soares va scrivendo minuziosamente, con la maniacale puntigliosità del contabile, il suo diario: grandioso zibaldone fatto di journal intime, di riflessioni, di appunti, di impressioni, di meditazioni, di vaneggiamenti e di slanci lirici che egli chiama Libro e che noi potremmo chiamare romanzo." (dall'Introduzione di Antonio Tabucchi)
Lascia un commento