Demetrio Salvi ambienta il suo ultimo romanzo in una Napoli sorprendente, più oscura di come viene dipinta di solito, e sede di forze maligne che provengono dalla sua copia speculare: una città sotterranea simile a un luogo infernale. “Misteri napoletani: La crepa” si apre su alcune impattanti illustrazioni in bianco e nero, accompagnate da un testo straniante che ci racconta di questo volto inedito della città partenopea: inquieta e maledetta, può riservare brutte sorprese al viandante solitario, e può celare allarmanti presenze. Ciò succede anche in un luogo famigliare come la casa, in cui ci si dovrebbe sentire al sicuro; nell’abitazione di Giona Michetti, il protagonista dell’opera, una strana entità invisibile agli occhi dell’uomo minaccia il suo sonno. Sono notti angoscianti, in cui Giona non trova pace perché si sente osservato; anche il lettore patisce una sorta di ansia per questa ipotetica e inspiegabile presenza.
La tensione cresce, e Demetrio Salvi è impeccabile nel farci sentire a disagio; Giona, poi, comincia a manifestare ossessione e paranoia e non è facile comprendere se siano causate da un pericolo reale o semplicemente da un suo disturbo psichico. Durante il corso della storia l’autore ci svela l’arcano, e l’atmosfera e il tono dell’opera si modificano, facendosi sempre più cupi; la presenza che Giona avvertiva è infatti reale quanto lui: un esserino antropomorfo con grandi occhi e con un pallore mortale. Questa manifestazione è solo il principio di un male che vuole avvolgere tutto e tutti; Giona entra in una spirale di terrore e di perdita: la donna che ama sparisce infatti sotto i suoi occhi, e anche quella presenza, che diventa col trascorrere dei giorni familiare per lui, scompare senza lasciare traccia.
Mentre Napoli sembra marcire e delle strane crepe appaiono sui muri, il protagonista accoglie la sua missione, probabilmente letale, in cui si dovrà inoltrare nella città sotterranea per fermare qualcosa di molto più grande di lui. Il suo viaggio all’inferno permette all’autore di dipingere scenari surreali, e di raccontare una storia che lascia col fiato sospeso e che turba profondamente. Non stupiscono quindi le parole di Salvi nella prefazione all’opera: «Come per una malattia della quale non conosci l’origine né le conseguenze e che, all’inizio, non riconosci neppure come malattia, così non sapevo cosa stavo facendo, a cosa andavo incontro, quale sarebbe stato il finale. È sempre così quando inizi a scrivere una storia: non lo sai ma stai stendendo e descrivendo le caratteristiche di una malattia che, talvolta, è squallidamente mortale».
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.