Non so se vi siete mai chiesti perché si scrive? Me lo domando spesso; si scrive per fermare i pensieri, per dare pace al cuore, per metabolizzare una gioia o un dolore, per raccontare una storia, un fatto un lavoro di ricerca. Sicuramente ciascuno di noi può prendere carta e penna per mille motivi tra i più diversi fra loro. Ho fatto questa stessa domanda a Carlo Persiani, archeologo preistorico della Sovrintendenza di Roma Capitale, in una nostra recente chiacchierata in occasione dell’uscita per Edizioni Espera del suo romanzo d’esordio Niente supplì nell’aldilà. Dopo una vita dedicata allo studio alla ricerca delle tracce di mondi e persone che vengono dal passato remotissimo, dopo una vita ricca di testi scientifici perché ad un certo punto si scrive un racconto?
“I motivi possono essere tanti. Il primo è che sei vivo finché hai una storia da raccontare e qualcuno a cui raccontarla. Il secondo può essere che sei con la famiglia dentro una roulotte, hai cominciato a svegliarti troppo presto e non ti resta che arraffare l’astuccio del sapone-pennello-rasoio-crema da barba e scivolare fuori. Fatta la barba, dalla colazione ti separa ancora un tempo esagerato, e la rivista dei cruciverba è bella che finita. Fissi il lago, la bruma, l’airone che zampetta in caccia del suo pasto, spandi lo sguardo sull’orizzonte e intanto una storia che ti covava dentro inizia ad agitarsi, sempre più smaniosa, scalciante, formata, quasi già scritta, e alla fine cedi: blocco notes, penna biro, e inizi a rovesciare sui fogli quel te stesso che, in fondo, volevi raccontarti da tanto tempo. A lampi, vedi le scene che saltano fuori dalla gerla della memoria, le rimodelli, le rovesci e le raddrizzi, gli trovi un filo logico, un legame che porti la narrazione da un inizio a una conclusione con un senso.
Alla fine, hai tra le mani la storia di Enrico…”.
Così Carlo Persiani ha consegnato a me e a tutti i lettori la storia di Enrico, protagonista principale di questo romanzo che vede la luce dopo dieci anni dalla sua prima stesura. Niente supplì nell’aldilà ti abbraccia con la stessa intensità di una brezza marina che lievemente ti spinge indietro nel tempo, all’epoca della gioventù quando si vive tutto d’un fiato con il corpo e la mente sempre protesi a tuffarsi in quel vortice di emozioni e accadimenti che si compenetrano le une negli altri senza un confine preciso con l’inconscio obbiettivo di vivere più intensamente possibile i propri giorni alla ricerca di se stessi e del proprio posto nel mondo.
“Enrico – mi dice ancora Carlo – è un ragazzo che sceglie quasi per caso di passare due settimane in un campo di volontariato archeologico, soprattutto per staccarsi da una comitiva insoddisfacente, da un ambiente familiare soffocante, dalla propria mancanza di iniziativa”.
Estate del 1976. Una località dell’alto Lazio, una villa di campagna dall’aspetto che tradisce un’età più antica di quella reale che ben presto si rivela più protagonista che semplice scenario. Tra le sue pareti e i suoi anfratti si sveleranno antichi segreti e si consumeranno i quotidiani drammi di giovani alle prese con la vita. Amicizia, amore, gelosia, rimorso accompagneranno ciascuno di loro. In soli 15 giorni tutto accadrà! 15 giorni in cui la ricerca archeologica del tempo che fu si confonde con l’urgenza del presente: la storia si tinge di giallo con un intreccio di fatti che dal passato sembrano riprendere vita. Ieri e oggi come per un vezzo si mischiano e si confondono in una trama che diventa man mano più avvincente. Le pagine scorrono, come i giorni ciascuno scandito dalla sua colonna sonora. Eh sì Enrico si è portato il suo mondo: una chitarra e un diario dove annotare la cronaca dei suoi giorni, inconsapevole presagio del suo domani. […] lo scrivo come se fosse un racconto che riguarda qualcun altro. Così troverò la forza di mettere giù la storia delle mie stupidaggini insieme a quelle dei miei compagni d’avventura senza sentirmi bloccare la mano dalla vergogna.
Ancora oggi Enrico racconta le storie che accadono con l’occhio attento di un cronista e chissà se talvolta la sua mente vola a quell’estate del 1976.
Recensione inviata da Flavia Salomone
Edito da Edizioni Espera nel 2021 • Pagine: 216 • Compra su Amazon
Enrico, quasi per caso, sceglie di passare due settimane in un campo di volontariato archeologico per lasciarsi alle spalle una comitiva insoddisfacente, un ambiente familiare soffocante, e la propria mancanza di iniziativa. Neanche il tempo di arrivare e si trova a interpretare un ruolo principale su un palcoscenico dove a turno si fanno avanti l’amicizia, l’amore, il rimorso, la gelosia sotto la cappa di un dramma apparentemente dimenticato.
La scoperta delle tracce mortali di questa tragedia fa scattare una sequenza di investigazioni, di scoperte, di riconoscimenti che proiettano tutti gli attori verso la sarabanda finale. Lo scenario è una villa di campagna dall’aspetto più antico della sua vera età e la storia è ambientata in un angolo di Tuscia ricostruito con la fantasia, protagonista più che sfondo, con i segreti che contiene e che si svelano man mano per la sagacia dei personaggi.
La vicenda è scandita dai 15 giorni del turno di campo archeologico vissuto da Enrico, registrati sul suo diario e accompagnati dai consigli per l’ascolto, come in una delle prime radio libere.
Finalmente Carlo ha scritto non ho ancora letto per cui posso dire poco. Sono molto felice che ci sia qualche d’uno che abbia messo mano a tanti anni di memorie comuni. Raccontare quei tempi non credo sia stato facile. Spero che sia un inizio anche per altri.