La recensione di Sensitive firmata da Orlando Nortom
Sensitive di Vivian Ley è un libro che merita di raggiungere un pubblico internazionale.
La scrittura moderna nasconde abilmente l’afflato tragico. La prosa è curata con perizia maniacale e il ritmo della pagina è abilmente costruito attraverso la tensione emotiva delle atmosfere psichiche generate da complesse immagini oniriche, creature dell’inconscio collettivo rappresentato con abilità dall’autore. Immagini stranianti e perturbanti, di cui ogni personaggio è il simbolo rappresentativo. Creature umane solo in apparenza, ma in realtà allegorie simboliche dei mostri terrificanti che abitano l’inconscio dell’uomo sin dalla notte dei tempi.
Sorge il dubbio che una tale abilità tecnica sia di un uomo, e che lo pseudonimo Vivian Ley non sia altro che una identità fittizia che nasconde la sua vera natura.
Che sia un uomo o una donna il vero autore del libro poco importa in realtà, perché l’unica certezza verosimile che abbiamo è la maestria tecnica esibita nella narrazione.
Sensitive è un libro diverso da tutti gli altri, per il coraggio di esibire la crudeltà e la meschinità che alberga l’animo umano. Senza remore e senza edulcorare la realtà dei fatti, la violenza appare come la vera protagonista della narrazione, un leitmotiv oscuro, lento, invadente, che si insinua nella mente del lettore. Un viaggio attraverso le distorsioni dell’essere, la crudeltà più efferata, l’incapacità di amare se stessi e gli altri. La fascinazione della parola è abilmente costruita attraverso suggestioni ipnotiche create ad hoc: la scelta delle parole evoca dei suoni precisi, che ricalcano ritmicamente una metrica cesellata dai suoni che riproducono fedelmente le esperienze brutali vissute dai protagonisti.
Ne sono l’emblema i racconti Marilyn e la Confessione, nei quali la parola si fonde nel tono e nel timbro e nella cesura delle pause, a favore di un senso di straniamento temporale, che annulla la percezione consueta del tempo e dello spazio percepito dal lettore, così dice infatti l’incipit del primo racconto citato:
“Sarà mai possibile, un giorno, che mi svegli senza pensare più a quel che è stato, al dolore, alla sofferenza, ai traumi, al sentimento di abbandono che è radicato in me sin dall’infanzia come una macchia scura che, seppure tenti di eliminare a forza, lacerando le nocche della mano che sanguinano davanti agli occhi per ricordarti, come niente di più e niente di meno di un sigillo, che nulla potrà essere fatto contro l’alone infeltrito nelle maglie del tessuto che un tempo era bianco e che mai più tornerà a esserlo? Ci sarà mai un giorno in cui fermandomi – come se il corpo che trascino smettesse di appartenermi per somigliare a un blocco di marmo piantato sul terreno – e volgendo lo sguardo all’indietro non vedrò più le macerie che mi accompagnano da quando sono nata? La stessa rovina che muta mi osserva, arrogandosi il di- ritto di diventare presenza, un’ombra che ognuno di noi, suo malgrado – nessuno escluso, è costretto ad avere.
A livello semantico la stessa densità magmatica e analoga forza evocativa appartiene all’incipit del racconto La confessione: “Le sue mani aderirono perfettamente sulla pelle, una morsa che smise di stringere solo dopo avermi soffocata. Mi uccise così, con le mani al collo. Con quelle mani che avevano accarezzato il mio corpo dolcemente, che avevano avuto cura della mia carne fragile, che mi avevano scortata nelle stanze della vita per lungo tempo. Mi uccise così, senza capire cosa faceva. Senza capire che mi sottraeva la vita e la speranza dei sogni della mia giovane età. Ero morta, ero solamente morta”. La scrittura di Vivian Ley è un incontro con la grande fascinazione esoterica del perturbante puro, un viaggio attraverso le emozioni inconfessabili, l’orrore e la meraviglia, l’amore e l’odio, il possesso dell’altro declassato al rango di un oggetto, e le passioni ancestrali dell’esistenza, retaggio della tragedia umana universale, luoghi delle pulsioni più primitive dall’antichità ai nostri giorni.
Recensione inviata da Orlando Norton
Edito da Porto Seguro nel 2019 • Pagine: 146 • Compra su Amazon
Scrive Vivian Ley: «Chissà poi per quale strana ragione si sottrae la bellezza primigenia dell'incanto a favore dell'oscurità». La raccolta "Sensitive" è attraversata da un leitmotiv oscuro, lento, insidioso, invadente e disturbante, che, come una lama affilata, infligge una pena delittuosa al suo lettore. La violenza che alberga l'animo umano è il tema che ispira tutta la raccolta. L'uomo è ricettacolo dei sentimenti più bassi dell'essere umano: la rabbia, la gelosia accecante, la sessualità esperita nella forma più bassa e triviale, l'odio e il desiderio efferato di vendetta sono solo alcune delle dimensioni esplorate dalla scrittrice che, però, non si limita ad accendere un focus sulla brutalità dell'esistenza. Se il leitmotiv è la violenza, il controcanto è la capacità di prendere le distanza da un mondo in cui la barbarie ha la meglio, per attraversare le macerie della distruzione assoluta e rinascere nella bellezza della vita. Vivian Ley è il cantore della tragedia umana moderna.
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