Nel romanzo “La vana illusione” di Andrea Parafioriti si presenta la storia di un uomo debole che si crede invincibile, e che ha costruito la sua personalità su valori distorti, probabilmente per fuggire dalla paura di essere ferito o abbandonato. Pietro Barozzi è la voce narrante della vicenda, ed è quindi ancora più facile scorgere le sue fragilità dietro le sue parole da uomo sicuro di sé, borioso e arrogante. Pietro pensa di essere un vincente perché ha avuto successo nel lavoro; ciò lo ha portato a diventare spavaldo e senza scrupoli, praticamente una di quelle persone che guardano gli altri dall’alto verso il basso.
La sua solidità è però solo apparenza: Pietro è infatti un uomo solo e arido moralmente e ciò lo condurrà, dopo determinati avvenimenti, a veder sgretolare quella sua corazza pazientemente costruita per non farsi toccare dal mondo esterno. L’autore ci racconta dei successi di Pietro e della sua spregiudicatezza quando assolve i suoi compiti di senior manager presso una società privata di recupero crediti; parla del suo godimento nel momento in cui riesce a incastrare il malcapitato di turno e della sua eccitazione nel poter tenere tra le mani il destino di una persona. Come è affermato nel titolo dell’opera, però, ciò che sperimenta Pietro è solo una vana illusione: nessuno è onnipotente, magari si può credere di esserlo per un breve lasso di tempo ma poi ci pensa la vita a ricordarci quanto ogni essere umano sia piccolo, fragile e fallace. Per Pietro il primo assaggio di realtà avviene quando incontra Tiziana, la figlia di un debitore che ha appena torchiato; la donna lo affascina immediatamente con la sua schiettezza e con la sua dignità, e con il passare dei giorni ella lo legge dentro e riflette come uno specchio il marcio che risiede in lui – «Ti inchioda alle tue responsabilità e ti porta alla confessione, all’ammissione, perché abbatte le false difese dietro cui ti trinceri».
Andrea Parafioriti narra una storia di presa di consapevolezza, in cui Pietro non dovrà solo fare i conti con un amore puro che fa riemergere la sua coscienza ma anche con una malattia che rischierà di fargli perdere la sua occasione di riscattarsi. È un romanzo toccante e intenso, in cui si ricorda quanta forza risiede in noi quando decidiamo di lottare per una buona causa, e quando scegliamo di diventare la versione migliore di noi stessi.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.