Abbiamo avuto il piacere di fare una lunga chiacchierata con Andrea Zandomeneghi, in libreria dal 7 febbraio con il suo romanzo d’esordio, Il giorno della nutria; volume edito da Tunué nella collana “Romanzi” che ha già proposto nuovi autori di grande spessore in passato.
Buongiorno Andrea e complimenti per il tuo libro d’esordio.
Buongiorno e grazie, tanto per i complimenti quanto per l’interessamento al mio romanzo.
Il tuo primo romanzo è caratterizzato, tra le altre cose, da una commistione di “cose alte” e “cose basse”: Davide, il protagonista, è un pensatore in grado di formulare tesi che colpiscono e costringono il lettore a riflettere (dalla natura del fatto cristiano al fenomeno della ritualizzazione nella vita quotidiana), al contempo è continuamente richiamato alla realtà da necessità fisiologiche, da fugaci tensioni sessuali, da frustrazioni legate ad avvenimenti anche minuti. L’alto e il basso in “Il giorno della nutria”, tuttavia, non mi sembrano contrapposti. O sbaglio?
Non sbagli. Compito del romanzo è penetrare la realtà. L’unica realtà che c’è dato esperire è quella antropica – in questo senso intendo il celeberrimo “l’uomo è misura di tutte le cose” di Protagora. Nell’uomo alto e basso coesistono, in I fratelli Karamazov Dostoevskij fa dire a Mitja che “è vasto l’uomo, persino troppo vasto, io lo ridurrei”, che il cuore dell’uomo contempla “l’ideale di Sodoma e quello della Madonna”, che “Dio c’ha dato solo enigmi, qui i due opposti si congiungono e tutte le contraddizioni coesistono”, che “qui è il diavolo a lottare con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini”. Possiamo definire tutto ciò con Bachtin “la plurivocità di ogni fenomeno”. In sostanza la commistione di alto e basso nel romanzo – e prima ancora nella satira menippea, ma il discorso è ampliabile, basta pensare alla Commedia di Dante – è una questione di realismo: o si rappresentano entrambi oppure si è irrealisti – Davide direbbe “si è riduzionisti, si dimidia la realtà”.
Non c’è nulla di male ad essere irrealisti, basta esserne consapevoli; per quanto mi riguarda, molto semplicemente, non m’interessa esserlo.
Che tipo di narratore hai utilizzato?
È in prima persona: la voce – o meglio il concatenarsi delle formazioni mentali (che non è del tutto sovrapponibile al flusso di coscienza) – del protagonista, Davide Aloisi. È un narratore ossessivo, minuzioso, cervellotico e camaleontico nel suo imitare i linguaggi specifici (giuridico, filosofico, fenomenologico psichiatrico, farmacologico). È un narratore quasi sempre ipotattico e parentetico (fino al parossismo) che abusa dei gerundi.
Ed è un narratore affidabile?
Nelle sue digressioni – le digressioni sono il vero fondamento del suo discorso – abbraccia vasti orizzonti antropici e li restituisce in modo tendenzialmente realistico e anche troppo informato. Ma è pur sempre in soggettiva e per questo mi sono divertito a spargere nel testo qualche suo errore, cose minute, di cui solo il lettore attento si può accorgere: confonde Rispescia con Ribolla, sostiene che una sentenza non definitiva non sia immediatamente appellabile et coetera.
Potresti spiegare meglio, a una persona come me, che colpevolmente non ha ancora letto “I diavoli di Loudun” di Huxley, il concetto di autotrascendenza verso il basso che recuperi nel tuo romanzo?
Nell’uomo – dice Huxley – coesistono due bisogni radicalmente opposti, quello di autoaffermazione e quello di autotrascendenza. “Gli uomini desiderano intensificare la coscienza di essere ciò che essi considerano ‘se stessi’, ma desiderano anche – e lo desiderano molto spesso con irresistibile violenza – la coscienza di essere qualcun altro. Insomma essi bramano di uscire da se stessi, di oltrepassare i limiti di quel minuscolo universo-isola entro il quale ogni individuo si trova confinato”. L’individualità e la consapevolezza dell’individualità producono “un orrore profondamente radicato di se stessi, un’ansia appassionata di liberarsi della piccola ripugnante identità alla quale sono condannati”. L’autotrascendenza è quindi l’essere altro da sé, per ottenerla ci sono due vie: quella stretta, in salita, della mistica, dello yoga, degli esercizi spirituali e quella larga, in discesa, dell’alterazione (da alcol, da stupefacenti, da sensualità et coetera). Quando si percorre questo secondo sentiero si ha autotrascendenza verso il basso.
Il testo è ricco di temi come di dicotomie (Davide ne incarna più di una). In particolar modo ho apprezzato il filo che hai tirato tra la libertà intellettuale ed esistenziale derivante dall’uccisione degli dèi e delle ideologie “instradative” novecentesche con la problematica della dipendenza da sostanze stupefacenti (alcol, psicofarmaci, hashish). L’ipercritico e iperriflessivo Davide è al contempo liberissimo (dalle religioni, dalle ideologie, dalle convenzioni) e ingabbiato (dalle sue dipendenze, oltre che dal senso di colpa e da problemi di salute).
Mi pare una lettura perfetta di questo orizzonte del romanzo. Non ho altro da aggiungere in merito: hai detto tutto tu.
Alcuni dei passaggi del romanzo che mi sono rimasti più impressi hanno carattere apertamente polemico, per questo sono curioso di sapere se vi sono degli autori in particolare ai quali ti sei ispirato per creare le invettive di Davide (penso, per esempio, all’invettiva contro i cattolici non ortodossi che a ben vedere non sono altro che profani).
La madre di tutte le invettive – a cui mi sono abbondantemente ispirato per il tono e la forma – è lo sproloquio della Generalessa Epančina contro i nichilisti ne L’idiota. Si può anche dire con Bachtin che in Dostoevskij siano presenti ampi profili di satira menippea e che proprio a questo genere appartengano tanto «gli scontri e le avventure delle idee ovvero delle nude questioni ultime» quanto «la mescolanza di generi e stili eterogenei» che frantumano l’unità drammatica carnevalizzando il testo. Il progenitore delle invettive dell’autore russo è infatti Petronio che naturalmente ho saccheggiato.
Altri autori essenziali nell’ambito dell’invettiva per me sono stati Nietzsche e Schpenhauer (di cui Adelphi ha addirittura pubblicato un’antologia dal titolo L’arte di insultare).
Tu provieni dall’underground letterario italiano, luogo conosciuto da molti scrittori e ignoto alla maggior parte dei lettori. Potresti descrivercelo?
Il mio ingresso nell’underground letterario italiano è avvenuto nel settembre del 2016; era sera e Antonio Russo De Vivo mi telefonò per chiedermi, dopo averne discusso con Luca Mignola e Alfredo Zucchi, di occuparmi della rivista Crapula come condirettore. L’underground è formato principalmente da riviste e da blog collettivi e individuali – quali? Un censimento parziale ma significativo è stato operato nella pubblicazione gratuita La letteratura pazzesca italiana in occasione di Scenicchia una sega #1, eccolo:
Un censimento completo e storico (ma la realtà delle riviste è magmatica e in continuo cambiamento) si può trovare invece qui [NDR: la pagina non è più disponibile].
Cosa fanno queste riviste? Principalmente pubblicano racconti (inediti dopo averli editati e curati nei minimi dettegli), recensioni e saggi. Esistono poi addirittura dei blog che aggregano i migliori contenuti settimanali delle varie riviste e li ripropongono in modo ragionato e selezionato.
A cosa serve tutto questo? Serve per divertirsi, per imparare, per confrontarsi con i pari, per allenarsi, per mettersi in mostra: è più facile che un editor di una casa editrice individui soggetti dalla scrittura interessante su una rivista on line e chieda loro se hanno un libro da pubblicare o da finire di scrivere, che invece li intercetti perché hanno inviato manoscritti alla casa editrice stessa.
La forma in “Il giorno della nutria” è così rilevante da rivaleggiare in importanza con l’intreccio. Ami di più scrivere o raccontare?
Ammetto che nel mio romanzo c’è una vera e propria ossessione per la forma. Ammetto anche che in questa fase della mia vita preferisco scrivere che raccontare. Del resto però le due cose vanno di pari passo: aborro i meri esercizi di stile. Qualunque libro sensato non è mai un mero esercizio di stile, penso ad esempio a À rebours di Huysmans e a Vite immaginarie di Schwob. Forma e contenuto non sono mai scindibili in toto. Mi viene in mente la Nota introduttiva di Colli a La nascita della tragedia quando scrive: «Nel Nietzsche maturo lo stile precorre i contenuti, li annunzia squillante prima ancora che si manifestino».
Dicci i titoli di 3 saggi che non sono ancora stati scritti e sarebbe ora che qualcuno lo facesse.
Roberto Bolaño. Poetica e stilistica, Ritorno a Itaca: il superamento del postmodernismo in Sebastiano Vassalli, Trattato di storia, mitologia ed etnografia della masturbazione.
La nutria è là fuori e circola libera. E adesso? Stai già lavorando a un altro romanzo?
Sì, sto lavorando ad altri due romanzi, uno sarà una sorta di seguito di Il giorno della nutria ma non avrà lo stesso protagonista. L’altro invece viene da molto lontano, ci lavoro da più di un lustro, si tratta di una saga fantascientifica mascherata da fantasy di ambientazione romanistica. Per ora meglio non svelare altro.
Grazie per la bella chiacchierata, Andrea.
Edito da Tunuè nel febbraio 2018 • Pagine: 152 • Compra su Amazon
Davide Aloisi è un cefalgico cronico che abita a Capalbio assieme al nipote Giulio e alla madre Eufemia, gravemente malata, in una villa frequentata da bizzarri personaggi locali.
Una mattina, dopo una nottata a base di alcol e benzodiazepine trascorse in canonica con il parroco, sul pianerottolo di casa trova una nutria scorticata. Il rinvenimento gli provoca un'angoscia che si fa pensiero ossessivo quando realizza che ha l'aria di un'intimidazione o di uno sfregio, e che il possibile responsabile potrebbe nascondersi tra chi gli sta intorno - oltre al nipote e alla madre, la badante di lei Dorota, suo figlio Esteban, dedito alla santeria, l'amico ufologo Emanuele, fino allo stesso parroco e a un losco possidente locale: tutti hanno un possibile movente. Sulla base di coincidenze, suggestioni e congetture, Davide opera ricostruzioni che lo portano a dubitare di tutti, nel corso di una giornata sempre più vorticosa, in cui il clima casalingo precipita fino al parossismo.
Invitiamo i lettori interessati a leggere anche la nostra recensione di Il giorno della nutria.
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