Edito da Carbonio Editore nel 2018 • Pagine: 313 • Compra su Amazon
Il vivere civile ci impone costantemente di controllarci, inibire gli impulsi, gestire le emozioni. Ma a volte il Sé che edifichiamo su paure, obblighi e censure ha bisogno di spogliarsi per entrare in comunione con qualcosa di più grande - la natura, l'universo, l'umanità. Non tutte le esperienze estatiche però sono rigeneranti: a volte, invece di migliorarci la vita, ci danneggiano. In che modo quindi è opportuno lasciarsi andare? Quale strada scegliere per raggiungere la trascendenza? Dopo un lungo periodo di ferrea adesione ai principi stoici, il filosofo Jules Evans ha deciso di superare i confini della sua comfort zone e intraprendere un vero e proprio tour delle esperienze estatiche. Ha partecipato a un festival sul tantrismo, a un ritiro di meditazione Vipassana e a un pellegrinaggio rock; è diventato adepto di una chiesa carismatica, si è dato al gospel, all'onironautica, alle scienze psichedeliche, si è iscritto a un workshop di Danza dei 5 ritmi. Questo saggio ben documentato e originale è la sintesi della sua ricerca: un viaggio nel Festival dell'Estasi in cui ciascun capitolo-padiglione offre un'esperienza travolgente e prolifica.
Recensione
«Nell’uomo» scrive Huxley «coesistono due bisogni radicalmente opposti, quello di autoaffermazione e quello di autotrascendenza. Gli uomini desiderano intensificare la coscienza di essere ciò che essi considerano ‘se stessi’, ma desiderano anche – e lo desiderano molto spesso con irresistibile violenza – la coscienza di essere qualcun altro. Insomma essi bramano di uscire da se stessi, di oltrepassare i limiti di quel minuscolo universo-isola entro il quale ogni individuo si trova confinato». Come osserva Evans (studioso del pensiero stoico e affermato giornalista che da anni si occupa di psicologia e filosofia per numerose testate inglesi e americane) infatti «può risultare estremamente estenuante restare completamente rinchiusi nel Sé che ci siamo costruiti». Ed ecco che giunge in soccorso di questa istanza antiegocentrata l’estasi: ékstasis, antico temine greco che significa letteralmente ‘trovarsi al di fuori di se stessi’. O meglio giungerebbe in soccorso se «la modernità laica non ci avesse costretti all’interno delle mura del Sé razionale, sconnesso dalla mente subliminale, dal corpo, dal prossimo, dal mondo naturale e (probabilmente) da Dio».
È innegabile che nelle società occidentali sia venuta in parte meno – con il ’68 e più in generale con la spiritualità new age – la repressione delle cosiddette esperienze mistiche ad opera d’un ortodossia psichiatrica retrograda e che inoltre le persone tendano a parlare di sacro più apertamente (quando la società di ricerca Gullup chiese agli americani se avessero avuto un’esperienza mistica, nel 1962 solo il 22% rispose affermativamente, nel 1994 la percentuale salì al 33% e nel 2009 al 49%). Ma Evans ammonisce: «il rischio di questo slittamento culturale, tuttavia, è che la nostra spiritualità post-religiosa diventi ‘tutta esperienza’, scadendo in una sorta di ricerca del brivido di stampo consumistico». Ciò che manca dunque è un inquadramento etico, una cornice valoriale condivisa, «spazi controllati in cui annullare il proprio Io in tutta sicurezza», dove poter porre in essere la vivificante arte di perdere il controllo a cui fa riferimento il titolo di questo testo dalla scrittura piana e aggraziata, che procede lineare, senza spigoli, accompagnandoci in una serie – quasi una galleria – di esperienze estatiche esperite da Evans stesso nel corso della sua vita: dall’adesione a una comunità cristiana carismatica (dove «come un incendio fuori controllo, il risveglio si diffondeva […], e di nuovo la gente sarebbe stata travolta dall’eccitazione religiosa, dalla sensazione di vivere un momento straordinario, forse perfino la fine dei tempi»), al mondo degli psichedelici («la nostra ego-coscienza agisce come una valvola di riduzione, una porta verso il mondo enorme del nostro inconscio, e ci permette così di concentrarci sulla sopravvivenza quotidiana e sull’interazione sociale. Gli psichedelici aprono le porte di questa di questa resistenza interiore»), al cinema, alla musica, al romanzo, all’arte, al teatro (talché «l’aggettivo che più spesso vi si applica è transporting: ti trasporta, tira fuori da questo mondo, e ti conduce in un Altro Mondo»), alla meditazione Vipassanā (annullare la mente svuotandola dalle formazioni mentali), alla danza («e io scopro di essere entrato nella trance. […] Ho gli occhi lucidi, le pupille dilatate, la mente è aperta, la barriera tagliafuoco del senso critico è stata abbattuta e il sistema nervoso autonomo è in connessione con la musica»), alle pratiche tantriche, all’immersione nell’ecologia profonda, alla realtà virtuale aumentata.
Andrea Zandomeneghi