Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di 7-7-2007 di Antonio Manzini. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
7-7-2007: trama del libro
“Lo sai cosa lasciamo di noi? Una matassa ingarbugliata di capelli bianchi da spazzare via da un appartamento vuoto”. Rocco Schiavone è il solito scorbutico, maleducato, sgualcito sbirro che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi che raccontano le sue indagini. Ma in questo è anche, a modo suo, felice. E infatti qui siamo alcuni anni prima, quando la moglie Marina non è ancora diventata il fantasma del rimorso di Rocco: è viva, impegnata nel lavoro e con gli amici, e capace di coinvolgerlo in tutti gli aspetti dell’esistenza. Prima di cadere uccisa. E qui siamo quando tutto è cominciato. Nel luglio del 2007 Roma è flagellata da acquazzoni tropicali e proprio nei giorni in cui Marina se ne è andata di casa perché ha scoperto i “conti sporchi” di Rocco, al vicequestore capita un caso di bravi ragazzi. Giovanni Ferri, figlio ventenne di un giornalista, ottimo studente di giurisprudenza, è trovato in una cava di marmo, pestato e poi accoltellato. Schiavone comincia a indagare nella vita ordinata e ordinaria dell’assassinato. Giorni dopo il corpo senza vita di un amico di Giovanni è scoperto, in una coincidenza raccapricciante, per strada. Matteo Livolsi, questo il suo nome, è stato finito anche lui in modo violento ma stavolta una strana circostanza consente di agganciarci una pista: non c’è sangue sul cadavere. Adesso, l’animale da fiuto che c’è dentro Rocco Schiavone può mettersi, con la spregiudicatezza e la sete di giustizia di sempre, sulle tracce “del figlio di puttana”…
In ebook 7-7-2007 (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 9,99 euro.
Aprì gli occhi e si tirò su di scatto. «Ma che…?». Lupa allarmata dai movimenti del padrone aveva alzato le orecchie. La musica veniva dall’appartamento accanto.
«United united united we stand, united we stand one and all!». Ritmo tribale, schitarrate catarrose e distorte, un coro scimmiesco con uno slogan da cerebrolesi. Quel genere di musica, l’heavy metal, era per Rocco Schiavone al settimo posto nella graduatoria delle rotture di coglioni. Se suonato alle tre e quarantacinque di notte, saliva di diritto al nono. «Porca troia!» urlò e si alzò dal letto. Dopo dieci giorni aveva preso confidenza col nuovo appartamento di via Croix de Ville, non però con i vicini. Soprattutto i dirimpettai.
Alternative non ce n’erano, gli toccava andare a fare una visita.
Aprì la porta, il freddo delle scale lo investì, tornò in casa, si infilò il loden direttamente su boxer e maglietta e uscì di nuovo a piedi scalzi. Bussò. Nessuna risposta. La musica si riversava anche sul pianerottolo.
«So keep it up, don’t give in…».
Suonò il campanello percuotendo la porta coi pugni. Improvvisamente tutto tacque. Seguirono passi veloci. Un graffiare sul legno, segno che qualcuno stava osservando dallo spioncino.
«Sì, sono Schiavone, il vicino. Apra!».
E la porta si spalancò. Apparve un ragazzo di 16 anni. Brufoli, capelli lunghi e in mutande, una maglietta bucata degli Iron Maiden, la pelle bianca come la pancia di un pesce. «S… sì?».
«Sì? Mi dici sì? Porca troia, sono le tre e 45 e ti metti a suonare quella merda a tutto volume?».
Il ragazzo incassò la testa nelle spalle. «Mi scusi. Pensavo che non ci fosse nessuno».
«E pensi male. So’ dieci giorni che abito qui. E gli altri inquilini te li sei dimenticati?».
«È tutto vuoto il palazzo. I Benaix sono andati in Olanda, e anche i Candiani sono partiti. Mi scusi, se avessi saputo…».
«Ora lo sai. Mettiti una cuffia e sparati i Judas Priest a palla di cannone, dei tuoi timpani non me ne frega niente!».
Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Conosce i Judas Priest?».
«Certo. Erano un gruppo quando ero ragazzo io. Com’è che li conosci tu, invece!».
Il vicino alzò timidamente la mano destra, le dita a formare le corna con il pollice disteso, disse «Rock’n roll will never die!» e sorrise.
«Ma sei deficiente o che?» gli chiese Rocco. «Va’ a dormire, cicci, che domani hai scuola. Mi risvegli co’ ’sto schifo e ti faccio sbranare da Lupa!».
Il ragazzo parve accorgersi solo in quel momento del cane. «Uh! Bellino».
«Bellina!».
«Che razza è?».
«Un Saint-Rhémy-en-Ardennes».
Il ragazzo scoppiò a ridere. «Esiste una razza così?».
«Se esiste un gruppo come i Judas Priest esiste anche una razza così».
«Io mi chiamo Gabriele».
«E sticazzi» rispose Rocco. Non gli era passata ancora la rabbia. Si girò e tornò nel suo appartamento.
Di dormire non era più cosa. Dopo una doccia rapida e la pappa a Lupa erano usciti di casa. L’alba stava sbavando di rosa il cielo e i tetti umidi di Aosta. Voleva fare colazione, un caffè doppio, due brioche e guardare piazza Chanoux prendere lentamente i colori del nuovo giorno che si annunciava splendido, non una nuvola si aggirava fra i comignoli spenti ormai da più di un mese.
Si guardò le scarpe, il sedicesimo paio di Clarks che aveva acquistato in dieci mesi, il paio più fortunato. Con un po’ di sforzo potevano addirittura arrivare al prossimo inverno. Un vento leggero, freddo ma non gelato, gli accarezzava il volto. Lupa si bloccava ad ogni angolo a annusare i messaggi lasciati la sera prima dagli altri cani. Lui invece si fermò all’edicola a prendere il giornale. Non poté credere ai suoi occhi quando vide l’articolo in prima pagina.
RUE PIAVE
UN DELITTO ANCORA IRRISOLTO
Non si parla più dell’omicidio di rue Piave che più di un mese fa ha visto la vittima Adele Talamonti crivellata da sei colpi mentre era ospite, a quanto riportato dal portavoce della procura, in casa del vicequestore Rocco Schiavone. Chi è penetrato in quell’appartamento per uccidere la povera Adele? Era proprio lei il bersaglio o le pallottole erano destinate al vicequestore? Ormai siamo gli unici a farci ancora domande. È nostro dovere ricordare ai lettori che alcuni fatti apparentemente inspiegabili hanno magari una risposta semplice ma scomoda. Come quella per esempio di non gettare fango su un dirigente della polizia che da dieci mesi lavora nella questura di Aosta e che sembra il protégé del questore Andrea Costa. Noi invece ricordiamo che la notte del 13 maggio Adele Talamonti è stata brutalmente assassinata e che da allora, nonostante le tante promesse, di quell’omicidio non si conoscono i mandanti e tanto meno gli esecutori. Una sola cosa è accaduta: Rocco Schiavone ha cambiato casa. Evidentemente non riesce a convivere con le sue responsabilità. Ci auguriamo che la questura o il dottor Baldi diano presto al giornale e ai cittadini una risposta concreta.
SANDRA BUCCELLATO
Accartocciò il quotidiano e lo lanciò nel cestino dei rifiuti. Doveva chiudere la bocca una volta e per sempre a Sandra Buccellato, la giornalista, ex moglie di Costa, responsabile dell’odio che il questore aveva per i giornalisti grazie a una sua fuga con un cronista de «La Stampa». Doveva incontrarla, minacciarla, picchiarla. Come si permetteva? La frase nell’articolo: «… Evidentemente non riesce a convivere con le sue responsabilità…» più di ogni altra gli aveva scosso i nervi. Lui con le sue responsabilità ci conviveva dal 7 luglio 2007, che ne sapeva Sandra Buccellato? Ma non c’era niente da doverle spiegare, bisognava solo fare un salto in redazione e ridurla al silenzio.
Il caffè sapeva di terra e le brioche di burro fuso.
«Che ha dottore?» chiese Ettore. Nel bar c’erano già una decina di persone che facevano colazione. Rocco scosse la testa. «Ettore, stamattina non è giornata».
«Già sveglio? C’è qualcosa che bolle in pentola?».
«No, niente. Tu conosci Sandra Buccellato?».
Ettore sorrise. «Se la conosco? Viene al bar almeno tre volte al giorno. La redazione è qui di fronte».
«E me la puoi descrivere?».
«No. Perché io i giornali li leggo, lei la conosco, e so che vuole un identikit per individuarla e farle qualcosa di molto sgradevole».
«Ettore, io le donne non le tocco».
«Ah no? Allora parliamo di Nora Tardioli, che le ha versato, proprio qui fuori, uno Spritz sulla giacca. O di Anna Cherubini, che al solo sentire il suo nome diventa pallida e le vengono delle chiazze rosse sul collo…».
Rocco guardò il barista negli occhi. «Certo che i cazzi tua…».
«Mai dottore, mai! Ho un bar…» disse a giustificazione del suo comportamento. Si voltò e tornò al bancone. Rocco finì il caffè. Fece per uscire, poi si fermò sull’uscio. «E allora, visto che sai tutto» gridò. Tre persone si voltarono a guardarlo. «Sai anche di che razza è il mio cane?».
«Saint-Rhémy-en-Ardennes, dottor Schiavone. Come non conoscere quella razza?».
Scoppiarono a ridere. Ettore gli piaceva sempre di più. «Le dica che la sto cercando!».
«Riferirò».
Doveva esserci uno sciopero fra gli addetti alle pulizie dell’ufficio perché nessuno sembrava aver messo piede nella stanza. Il disordine della sera prima era ancora lì, neanche la sua scrivania fosse la scena di un crimine che deve restare intonsa fino all’arrivo della scientifica. Chiuse la porta, aprì il cassetto. La scatoletta di legno intarsiato era vuota. Un pugno allo stomaco. Un ostacolo insormontabile. Quella che stava per fumare era l’ultima canna. La preparò con attenzione maniacale. L’accese. E se la gustò in santa pace guardando il cielo fuori dalla finestra aspettando che i neuroni intasati dalla notte insonne riprendessero a funzionare.
Il telefono squillò alla terza boccata. «Schiavone…».
«Costa».
«Stavo per salire da lei, dottore…».
«Bene. E lasci il cane nella stanza. L’ultima volta mi ha mangiato una zampa della sedia». Rocco mise giù il telefono. Guardò Lupa che se ne stava accucciata sul divano a dormire. Raccolse da terra la pallina da tennis che le aveva comprato e gliela mise vicino al muso. Aprì la finestra e uscì dalla stanza.
Costa era piazzato al centro della scrivania e Baldi seduto su una delle due poltrone di pelle chiara. Il giudice scrutò fisso Rocco, a malapena gli strinse la mano, mormorando a mezzavoce un «Salve…» carico di risentimento. Anche Costa era nervoso e, al contrario di Baldi, sparò il saluto a tutto volume, come era solito fare: «Buongiorno dottor Schiavone, prego si segga!» e indicò la poltroncina libera, proprio accanto al giudice. «Bene bene bene…». E il questore intrecciò le mani poggiandole sul tavolo, poi andò subito al punto. «Parliamo del caso di rue Piave. A quanto mi dice il dottor Baldi, lei è a conoscenza dell’omicida e del movente, ma non vuol dividere le informazioni con noi. È vero o è solo una speculazione del magistrato?».
Rocco guardò Baldi e gli sorrise. «Sapete tutto. Quindi perché girarci intorno?».
«Lei è un rappresentante delle istituzioni» intervenne Baldi, «e dovrebbe agire come tale. Io le ripeto: sappiamo che lei va spesso a Roma, sappiamo con chi si incontra, chi frequenta…».
«E sapete anche il nome dell’omicida, Enzo Baiocchi».
A quel nome Costa e Baldi si guardarono. «Chi è Enzo Baiocchi e perché la vuole morto?».
Rocco stirò il collo, dolorante ancora dalla notte passata in bianco. «Sapete tante cose di me, perché questa non la sapete?».
«Lei è un uomo irritante e non si rende conto, Schiavone, che io e Baldi stiamo provando ad aiutarla. Questo lei lo capisce? La stiamo proteggendo!».
«Proteggendo da cosa?».
«Ha tanti nemici, e mica solo fra i delinquenti. No, ne ha tanti pure al Viminale. L’hanno mandata qui, ma le sarebbe potuto andare molto peggio».
«Sicuro?».
«La pianti con la sua ironia del cazzo!» gridò Baldi. «Lei rischia il deferimento, e molto peggio».
Schiavone allargò le braccia. «Tipo? Essere cacciato dalla polizia? Mandato in qualche posto sperduto sull’Aspromonte?».
«No, amico caro» e Costa sfoderò un sorriso di convenienza. «Lei rischia una seria indagine sui suoi conti, sui suoi acquisti, le sue proprietà, le sue amicizie. Essere cacciato dalla polizia, mi creda, sarebbe un regalo in confronto a quello che le potrebbero fare». Costa si alzò in piedi. Fece due passi verso la finestra. Strinse le mani dietro la schiena e tirò un respiro. «E non avrà alleati, Schiavone. Né in me né nella procura. Per lei inizierebbe un calvario infinito, e le giuro che ce la metteremo tutta per arrivare fino in fondo. Allora» si girò di scatto verso Rocco, «ci racconta qualcosa o chiudiamo qui la riunione?».
Rocco si passò le mani sul viso. Guardò i due inquisitori. «Tre cose: tempo…».
«E quello ne abbiamo quanto ne vuole» disse Baldi.
«Caffè…».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore romano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Antonio Manzini.
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