Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Achille piè veloce di Stefano Benni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Achille piè veloce: trama del libro
Ulisse, giovane scrittore con un libro alle spalle, scarso futuro e incerto presente, la-vora in una piccola casa editrice a fatturato zero. È ossessionato dagli ‟scrittodattili” (pare che nessuno, proprio nessuno, si esima dal cimento della scrittura) e si ricono-sce ‟poligamo politropo” (vale a dire che, malgrado la bella Pilar, signora del suo cuo-re, cede volentieri a effimere avventure). Un giorno riceve una lettera misteriosa. ‟Egregio signor Ulisse. Le scrivo per tre motivi. Il primo è che lei ha un nome omerico come me…” Chi scrive è Achille. Un ragazzo malato, deforme, inchiodato davanti a un computer, che paga con la volontaria reclusione domestica la minaccia sempre in-combente di un internamento clinico. Chiede un incontro. Ulisse ci sta. Achille è col-to, vitale, curioso, impudico. Di Ulisse vuole sapere tutto, e in particolare vuole sape-re tutto dell’intrepida Pilar, sudamericana in attesa di permesso di soggiorno. Ulisse parla. Senza reticenze. E Achille risponde digitando sulla tastiera. Nella semioscurità di una stanza in cui il mondo entra con il clangore di armi lontane. La loro è una sbi-lenca, strana, amicizia. Un’amicizia fra eroi, in cui l’emerso e il sommerso sembrano coincidere in un’unica figura. Combattono insieme una grande battaglia, una di quelle battaglie che ha il suono mitico delle antiche gesta.
Approfondimenti sul libro
In ebook Achille piè veloce (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
L’uomo con i libri sottobraccio uscì di casa e il mondo non c’era.
Guardò meglio e vide che c’era ancora, ma una fitta nebbia lo nascondeva, forse per salvarlo da qualche pericolo. Era il solito mondo e l’uomo ne vide alcuni dettagli ai suoi piedi: una crepa sul marciapiede, un brandello di aiuola, una foglia morta per i poeti, palminervia per i botanici, caduta per gli spazzini. Poi gli apparvero il tronco di un albero, lo scheletro di una bicicletta senza ruote e una luce gialla al di là della strada.
Lì si diresse.
Aspirò una boccata di umida brezza del mattino e fece entrare azoto, ossigeno, argon, xenon & radon, vapore acqueo, monossido di carbonio, biossido di azoto, piombo tetraetile, benzene, particolato di carbonati e silicati, alcune spore fungine, un’aeroflotta di batteri, un pelo anonimo, un ectoparassita di piccione, pollini anemofili, una stilla di anidride solforosa convolata da una remota fabbrica, e un granello di sabbia proveniente da Tevtikiye, Turchia nordoccidentale, trasportato dallo scirocco della notte.
Insomma, respirò l’aria della città.
Pochi i rumori a quell’ora. Un uccello arrochito, una voce televisiva che simulava allegria, lontani sospiri di ammotorati.
L’uomo attraversò la strada con prudenza, sentì sulla testa il prurito di una pioggerella e raggiunse la luce gialla che faceva da cometa a una pensilina. Qui l’uomo coi libri sottobraccio trovò riparo insieme ad alcuni suoi simili.
Un vecchio con un borsello e un miniombrello che non si apriva più da un mese, ma a cui si era affezionato. Una donna con un collo di volpe e un gatto in gabbietta. Un signore distinto con una valigia rigida che non chiudeva bene. Un filippino che invece era un tailandese. E infine una coppia di ragazzi con capelli puffo lui papavero lei recanti sulle spalle due zainetti scolastici gonfi come lo stomaco di un pitone sazio.
Sembrava tutto tranquillo, e l’uomo coi libri sottobraccio, di nome Ulisse, sistemò i libri in una busta di plastica per non bagnarli e si sedette. Ma i demoni dell’autunno annunciarono un imminente rivolgimento. Prima fu un botto di tuono, poi un lampo che fotografò un cielo da apocalisse, e uno scroscio oceanico di pioggia che convinse tutti a stringersi sotto la pensilina. In fondo alla strada si avvertì un grido rauco, e uscendo da una curva in leggera discesa apparve il dragobruco. Forando con gli occhi gialli la parete di nebbia, si avvicinò dondolando la testa mostruosa in direzione delle prede. Era lungo più di dieci metri, color rosso sangue, con sei zampe rugose su cui galoppava veloce tra le file di auto parcheggiate. Quando fu vicino alla pensilina, fece brillare a intermittenza un occhietto giallognolo sulla parte destra del muso, un osceno ammiccamento bramoso. Poi si fermò con stridere di zanne davanti agli umani incapaci di fuggire, paralizzati dal terrore.
Spalancò lentamente non una, ma tre bocche. Con due di esse ingoiò le vittime, dalla terza ne sputò fuori una evidentemente masticata e digerita. Chiuse di colpo le fauci e ripartì con un soffio satollo.
Dietro a lui si mise a correre una ragazzina bionda con le trecce al vento e lo zainetto sulle spalle. Lo inseguiva urlando, con coraggio incredibile per la sua giovane età. Certamente aveva visto scomparire nella bocca del mostro un genitore o forse un compagno di scuola, e senza paura alcuna si avventò contro il fianco del dragone e lo colpì più volte col pugno.
Il mostro si arrestò, spalancò la bocca posteriore e ingoiò la temeraria.
– Grazie – disse la ragazzina con le trecce.
– Di niente – disse il conducente dell’autobus.
Dentro al dragobruco, l’uomo coi libri sottobraccio stava in piedi vicino al finestrino. Era questa la sua posizione preferita. Non osava guardare gli altri passeggeri seduti perché aveva il terrore che qualche giovane gli cedesse il posto, ritenendolo sufficientemente anziano. L’uomo non era anziano, ma aveva i capelli già un po’ grigi e diradati e prima o poi, lo sapeva, gli sarebbe toccato di subire l’onta cortese di un “si sieda, prego”, magari da parte della signora col gatto ingabbiato, senza probabilmente aver il coraggio di replicare “scusi, ma cosa le fa pensare che io abbia più anni di lei?”.
Per la precisione:
l’uomo non così anziano era a metà tra i trenta e i quaranta, sottobraccio non portava libri ma dattiloscritti, anzi scrittodattili, come lui li definiva, dato che scrivere è ormai operazione da dinosauri, e prendeva quell’autobus quasi tutte le mattine. L’uomo si chiamava Ulisse, Lello per gli amici, l’autobus si chiamava Tredici e non risulta avesse amici, tutt’al più utenti abituali. Per ancora maggior precisione: la signora col gatto aveva effettivamente due anni più di Ulisse, gli scrittodattili erano di aspiranti scrittori in quanto Ulisse faceva il lettore per una casa editrice di nome Forge, il gatto si chiamava Paradis ed era un tigrato rosso intero.
– E chi se ne frega? – disse la ragazzina con le trecce.
Non riferendosi con ciò alle sopradette precisazioni, ma probabilmente a una notizia o avvertimento o rimbrotto appena ricevuto via cellulare da genitore comunicante.
– I giovani i giovani – disse l’uomo col miniombrello che non si apriva, cercando con lo sguardo l’approvazione di Ulisse. Ma nulla ottenne.
– Tutti parlano dei giovani, ma cazzo, a noi chi ci fa parlare? – strepitò una vocetta in qualche angolo del bus.
– Parlate anche troppo – rispose un’altra vocetta.
Ulisse pensò che era pericoloso voltarsi per assistere a quel litigio semovente, ma qualcuno gli toccò fastidiosamente il collo, e fu costretto a farlo. Notò con stupore che dietro a lui, o almeno nel metro di bus limitrofo, non c’era nessuno. Però qualcosa dondolava proprio davanti al suo naso, sfiorandogli una tempia. Fece un gesto per scacciare l’insetto, o la piuma, o il quel che fosse. E si accorse con meraviglia che vicino al suo occhio destro oscillava una microscopica scarpa da ginnastica, appartenente alla gambetta miniaturizzata di un minuscolo giovanotto appollaiato sulla sua spalla. Mentre dalla sua tasca sporgeva la testolina di un anziano signore occhialuto, che puntando verso l’alto un ombrello non più grande di uno stuzzicadenti, protestava:
– Voi giovani parlate anche troppo, e non sapete neanche di cosa!
Il microgiovanotto scrollò le spalle sulla spalla di Ulisse e ruttò con vigore di criceto. Quindi si sporse dalla clavicola, mostrando una capocchia infradiciata di gel, ed esibì un gestaccio all’indirizzo del microsignore nella tasca. Così Ulisse si rese conto che le voci litigiose erano di due creature diciamo così suoi condomini, o parassiti, o simbionti. Si volse intorno per vedere se qualcuno sull’autobus si era accorto di niente. Poi afferrò il minigiovanotto e cercò di nasconderlo in tasca.
– Piano, cazzo – protestò quello.
– Lo tenga lontano e non me lo avvicini – disse il vecchiolino, circa ottant’anni e otto centimetri. – Già è insultante che le nostre opere siano a contatto nella sua borsa.
– Opere? – disse a voce alta Ulisse, quasi senza accorgersene.
– Non faccia il finto tonto – disse il vecchio, aggrappandosi a un bottone – io sono il professor Virgilio Colantuono, quello dello scrittodattilo più grosso, dentro l’elegante carpetta azzurra.
– Sì, cinquecentoquaranta pagine, mi pesa addosso da stamattina – disse il minigiovanotto. – Io invece sono quello dello scrittodattilo con la copertina fatta al computer, Paolo Petrotto, autore di Perial Killer, il giallo tripla X che non vi farà dormire.
Ulisse si mise a sedere, contro ogni sua abitudine, e controllò il pacco degli scrittodattili. In effetti il primo era un ponderoso raccoglitore azzurro, recante il titolo Memorie dalla cattedra, di Virgilio Colantuono, sottotitolo, Diario di un’integrità. E sotto, illustrato da un disegno sanguinolento che poteva essere un teschio scarnificato o un cotechino infelice, c’era lo scartafaccio di Perial Killer XXX.
– Allora voi siete… – balbettò Ulisse.
– Non faccia finta di non conoscerci, la vostra casa editrice sbandiera e spergiura: “vi leggeremo tutti e a tutti risponderemo” – protestò il Petrotto – e allora mi ha letto o no?
– No, prima deve leggere me – disse il professore, agitando il parapioggia, o altresì paragoccia.
Ulisse barcollò per una frenata e per la confusione mentale.
– Sì, vi ho letto stanotte – balbettò – o almeno ho iniziato a leggervi, ma non capisco…
– Non capisce? – stridette il giovane giallista, scendendo giù per la manica. – Ma cosa c’è da capire? La mia è una storia di tutti i giorni. Un serial killer uccide dodici persone drogandole con pere di eroina e poi sezionandole lentamente con un seghetto da traforo, poi le stupra, le dipinge di bianco e nero e lascia vicino al cadavere una traccia, una frase criptica. L’investigatore Eastman scopre che sono frasi legate ai risultati del campionato di calcio della settimana e…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore bolognese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stefano Benni.
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