Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di After Dark di Haruki Murakami, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
After Dark: trama del libro
Tokyo, un quartiere che inizia a vivere quando cala il buio, strade dove le insegne di bar e night club restano accese fino all’alba. Dalla mezzanotte alle sette del mattino, alcune persone sono casualmente coinvolte in una squallida vicenda di violenza. All’Alphaville, un love hotel gestito da Kaoru, un’ex campionessa di lotta libera, una giovane prostituta cinese viene picchiata da un cliente che poi fugge. In una caffetteria poco distante, Mari, una diciannovenne studentessa di cinese in cerca di solitudine, sta leggendo un libro; Takahashi, un giovane musicista jazz disinvolto e chiacchierone, vorrebbe attaccare discorso ma si scontra con la sua reticenza.
Tuttavia, quando Kaoru cerca qualcuno che faccia da interprete alla prostituta ferita, Takahashi, che con il suo gruppo sta provando in uno scantinato vicino all’albergo, le suggerisce di rivolgersi alla giovane. Mari viene cosi a contatto con un ambiente a lei estraneo, ma paradossalmente riesce a comunicare con le persone che vi incontra in modo spontaneo e profondo: per la prima volta vince la riluttanza a parlare di Eri, la sorella maggiore, caduta in un letargo volontario dal quale non sembra volersi svegliare. L’immagine della bellissima ragazza che sta per essere inghiottita nel nulla attraverso lo schermo di un televisore apre un pericoloso spazio onirico nel quale rischia in ogni momento di scivolare la realtà.
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La vediamo attraverso lo sguardo di un uccello notturno che vola alto nel cielo. Nel nostro sconfinato campo visivo, appare come un gigantesco animale. O un confuso agglomerato, composto da tanti organi avvinghiati l’uno all’altro. Un’infinità di arterie si protendono fino alle estremità di un corpo inafferrabile, vi fanno circolare il sangue e ne rigenerano di continuo le cellule. Trasmettono nuove informazioni, e raccolgono quelle vecchie. Comunicano nuovi bisogni, e raccolgono quelli vecchi. Portano nuove contraddizioni, e raccolgono quelle vecchie. Al ritmo di queste pulsazioni, il corpo si accende in piú punti, si infiamma, si contorce. La mezzanotte è vicina, il metabolismo di base per sostenere la vita dell’organismo, che ha appena superato la fase culminante della sua attività, continua con vigore inalterato. Un gemito, quasi un accompagnamento in sottofondo, si leva dalla città. Un gemito monotono, privo di alti e bassi, eppure denso di presagi.
Il nostro sguardo, scelta un’area dove la luminosità è piú intensa che altrove, la mette a fuoco. Si abbassa lentamente verso quel punto. Un mare di luci al neon di mille colori. È un quartiere ad alta concentrazione di bar, ristoranti, night club. I giganteschi schermi digitali installati sulla facciata dei palazzi si spengono sul fare della notte, ma gli altoparlanti davanti ai locali continuano a emettere a tutto volume musica hip-hop dai bassi enfatizzati. Un vasto game center gremito di giovani. Assordanti suoni elettronici. Un gruppo di studenti di ritorno da una cena di classe. Delle teenager dai capelli tinti di biondo, minigonne che mettono in mostra robuste gambe nude. Impiegati in giacca e cravatta che si affrettano ad attraversare un incrocio affollato per non perdere l’ultimo treno. Nonostante l’ora tarda, davanti ai karaoke gli strilloni esortano i passanti a entrare con invariato entusiasmo. Una vistosa monovolume nera percorre lentamente le strade come se volesse valutarne l’atmosfera. I vetri oscurati da una pellicola nera le danno l’aspetto di un animale dotato di pelle e organi speciali, un animale che vive negli abissi marini. Una coppia di giovani poliziotti dall’espressione molto tesa sta pattugliando le stesse strade, ma quasi nessuno presta loro attenzione. Il quartiere a quest’ora funziona secondo principî propri. Siamo alla fine dell’autunno. Non c’è vento, però l’aria è fredda. Fra poco sarà un giorno nuovo.
Siamo all’interno di una caffetteria della catena Denny’s.
Un’illuminazione banale ma sufficiente, un arredamento e un vasellame insignificanti, una planimetria studiata con precisione fin nei minimi dettagli da specialisti di marketing, in sottofondo una musica innocua a basso volume, camerieri scrupolosamente addestrati ad accogliere i clienti con una cortesia da manuale: «Prego, benvenuti al Denny’s». Il locale è stato realizzato in ogni sua parte con elementi anonimi e interscambiabili. In questo momento è quasi pieno.
Gettiamo un’occhiata intorno, poi fermiamo lo sguardo su una ragazza seduta vicino alla finestra. Perché proprio lei? Perché non un’altra? Non lo sappiamo. Eppure per qualche motivo la nostra attenzione è attirata da quella ragazza… cosí, è una cosa che ci viene spontanea. Seduta a un tavolo per quattro persone, sta leggendo un libro. Indossa una felpa grigia col cappuccio, dei jeans, e ai piedi ha delle scarpe da ginnastica gialle scolorite da innumerevoli lavaggi. Ha appeso allo schienale della sedia accanto alla sua un giubbotto, piuttosto malandato anche quello, decorato con il logo di un’università. Quanto all’età, probabilmente è una studentessa del primo anno. Non è piú una liceale, ma in qualche modo ha ancora addosso l’atmosfera delle scuole superiori. Capelli corti e neri, lisci. Quasi niente trucco, e nemmeno un gioiello. Un viso piccolo e magro. Occhiali dalla montatura nera. Ogni tanto fra le sopracciglia le si forma una ruga, segno che sta riflettendo.
La ragazza è molto infervorata nella lettura. Non stacca quasi gli occhi dalle pagine di uno spesso libro dalla copertina rigida, di cui non possiamo leggere il titolo perché ha ancora la fodera di carta della libreria. Deve trattarsi di un argomento impegnativo, a giudicare dalla serietà con cui sta leggendo. Sembra divorare il testo riga per riga, senza saltare una parola.
Sul tavolino c’è una tazza di caffè. Un portacenere. Accanto al portacenere è posato un berretto da baseball viola. Con la grossa «B» dei Boston Red Sox. Può darsi che sia un po’ grande per la sua testa. Sulla sedia di fianco c’è una sacca di pelle marrone. Dalla forma, si direbbe che sia stata riempita in fretta e furia con le prime cose che capitavano, cosí, alla rinfusa. A intervalli regolari la ragazza porta la tazza alla bocca, ma non sembra trovare il caffè di suo gradimento. Lo beve perché ce l’ha davanti, quasi fosse suo dovere, per cosí dire. A un certo punto le viene voglia di fumarsi una sigaretta: la mette fra le labbra e l’accende con un accendino di plastica. Socchiude gli occhi, soffia con naturalezza il fumo nell’aria, poi posa la sigaretta nel portacenere e prende a massaggiarsi le tempie con le dita, come per prevenire un mal di testa incipiente.
La musica in sottofondo è Go Away Little Girl, di Percy Faith e la sua orchestra. Ovviamente nessuno l’ascolta. Alcuni dei numerosi clienti stanno consumando al Denny’s una cena tardiva, altri bevono solo un caffè, ma lei è l’unica donna sola. Ogni tanto solleva gli occhi dal libro e guarda l’orologio che ha al polso. Il tempo però non sembra scorrere alla velocità che vorrebbe. Tuttavia non dà l’impressione di avere un appuntamento con qualcuno. Non si guarda mai attorno, né getta occhiate verso la porta, spera soltanto che il tempo passi un po’ piú in fretta. Peccato che all’alba manchi ancora molto, non c’è bisogno di dirlo.
Ora smette di leggere e guarda fuori dalla finestra. Dalla caffetteria al primo piano si ha una buona visuale sulla strada animata e allegra, che malgrado l’ora è ancora illuminata e piena di gente che va e viene. Gente che sa dove andare, altra che non lo sa. Gente che ha un obiettivo, altra che non lo ha. Gente che cerca di fermare il tempo, altra che vorrebbe farlo passare in fretta. Dopo aver osservato un momento lo spettacolo di quella folla incoerente, la ragazza fa un sospiro e torna a posare lo sguardo sul libro. Allunga la mano verso la tazza di caffè. Nel portacenere la sigaretta, da cui ha tirato solo qualche boccata, diventa un lungo cilindro di cenere.
La porta automatica all’ingresso si apre per lasciar entrare un giovane alto e dinoccolato. Indossa un giaccone di pelle nera, dei pantaloni di cotone verde oliva tutti stropicciati, e porta delle scarpe da lavoro marroni. Ha i capelli piuttosto lunghi, un po’ arruffati. Può darsi che negli ultimi giorni non abbia avuto modo di lavarli. O che sia riuscito solo pochi minuti fa a emergere da una fitta boscaglia. Oppure per lui avere i capelli in disordine è una condizione naturale e rassicurante. È magro, ma non si può dire che abbia un bel fisico snello, piuttosto dà l’impressione di non nutrirsi a sufficienza. Appeso a una spalla tiene un grosso strumento musicale nel suo fodero nero, uno strumento a fiato. E una sacca sporca. Dentro deve averci stipato spartiti e altra roba poco voluminosa. Sulla guancia destra ha una profonda cicatrice che non passa inosservata. Un taglio breve, fatto probabilmente da qualche sorta di lama. A parte quel taglio, non ha nulla che attiri l’attenzione. Un giovane del tutto ordinario. Fa venire in mente un cane bastardo, buono ma non molto furbo, che abbia smarrito la strada.
Una cameriera gli va incontro e lo guida a un tavolo in fondo. Passano di fianco alla ragazza che sta leggendo. Appena la superano, il giovane sembra rammentarsi di qualcosa, perché si blocca, torna indietro lentamente come in un film che viene riavvolto e si ferma accanto al suo tavolo. Poi piega la testa di lato e la guarda con profondo interesse. Nella sua mente stanno affiorando dei ricordi. Per metterli a fuoco ci vuole un po’ di tempo. Si direbbe il tipo di persona che ha sempre bisogno di molto tempo, qualunque cosa faccia.
Avvertendo la sua presenza, la ragazza solleva la testa dal libro, socchiude gli occhi e guarda il giovane in piedi davanti a lei. Deve alzare il viso perché lui è alto. I loro sguardi si incrociano. Il ragazzo le fa un sorriso affabile. Per farle capire che non ha intenzioni ostili.
– Senti, se mi sbaglio scusami, ma tu non sei la sorella di Asai Eri? – le chiede.
Lei non gli risponde. Lo scruta in faccia come se fosse un arbusto troppo cresciuto in un angolo del giardino.
– Ci siamo già incontrati una volta, – continua lui. – Com’è che ti chiami, già…? Ci sono, Yuri! Un nome simile a quello di tua sorella: cambia solo di una sillaba.
– Mari, – lo corregge lei laconicamente, senza smettere di guardarlo sospettosa.
– Ecco, ecco, Mari. Eri e Mari. Solo una sillaba diversa, – fa il giovane sollevando nell’aria il dito indice. – Scommetto che non ti ricordi di me, vero?
Mari piega la testa di lato con aria perplessa. Non si capisce se sia un sí o un no. Si toglie gli occhiali e li posa accanto alla tazza di caffè.
La cameriera a quel punto torna indietro.
– Siete insieme? – chiede.
– Euh… sí, – risponde il giovane.
La cameriera posa il menu sul tavolo. Lui prende posto di fronte a Mari e mette lo strumento musicale sulla sedia accanto. Solo allora di punto in bianco le chiede:
– Posso sedermi qui un momento? Mangio e me ne vado subito. Ho un appuntamento da un’altra parte.
Mari assume un’aria leggermente corrucciata.
– Non credi che prima avresti dovuto chiedermelo?
Il giovane riflette qualche secondo sul significato di quelle parole.
– Aspetti qualcuno?
– Non è quello, – risponde Mari.
– Cioè, è una questione di educazione?
– Appunto.
Il giovane annuisce. – Giusto, hai ragione. Prima avrei dovuto chiedertelo. Scusami. Comunque il locale è pieno, e poi non starò molto. Allora, posso?
Mari fa una piccola alzata di spalle. Come per dire «mi è indifferente». Lui apre il menu e lo studia.
– Tu hai già mangiato?
– Non ho fame.
Dopo aver letto con attenzione tutto il menu, il giovane lo chiude di colpo e lo posa sul tavolo.
– In realtà non ho alcun bisogno di guardare il menu. Facevo solo finta, cosí…
Mari non commenta.
– Qui mangio solo l’insalata di pollo. Sempre quella. Posso dirti una cosa? Ho provato quasi tutto quello che c’è sul menu, ma qui al Denny’s c’è solo un piatto decente: l’insalata di pollo… tu l’hai assaggiata l’insalata di pollo che fanno qui?
Mari scuote la testa.
– Non è niente male. Insalata di pollo e pane tostato bello croccante. Qui mangio solo quello.
– Allora perché perdi tempo a leggere il menu da cima a fondo?
– Be’, pensaci un attimo, – fa lui stropicciandosi l’angolo di un occhio. – Entri al Denny’s e senza nemmeno gettare un’occhiata al menu ordini un’insalata di pollo: è un po’ da sfigati, non trovi? Sembra che venga qui apposta tutti i momenti per mangiare la loro insalata di pollo, che non aspetti altro. Per questo apro il menu, lo scorro in su e in giú con l’aria di riflettere, poi fingo di decidermi.
La cameriera viene a portargli un bicchiere d’acqua.
– Un’insalata di pollo e del pane tostato bello croccante, – ordina il giovane. – Mi raccomando, croccante, eh? – insiste. – Un attimo prima che sia bruciato. E poi un caffè.
La cameriera inserisce l’ordine nell’apparecchio che tiene in mano e lo rilegge ad alta voce.
– E un altro caffè qui, – fa il giovane indicando la tazza di Mari.
– Benissimo, lo porto subito.
Il giovane osserva la cameriera che si allontana.
– Non ti piace, il pollo? – chiede poi.
– Sí che mi piace, – risponde Mari. – Ma lo mangio solo a casa mia, fuori preferisco evitare.
– Perché?
– I polli che servono nelle catene di ristoranti, gli danno un sacco di ormoni e roba del genere. Per farli crescere in fretta, che ne so, farli ingrassare… Li tengono in gabbie strette e buie, gli iniettano delle schifezze, li nutrono con mangime pieno di prodotti chimici, poi li mettono su un nastro scorrevole dove una macchina gli taglia la testa – tac-tac-tac – e li spiuma.
– Wow! – fa il giovane. Poi sorride. Quando sorride le rughe agli angoli degli occhi gli diventano piú profonde. – Un’insalata di pollo alla George Orwell!
Mari socchiude gli occhi e lo guarda in faccia. Non riesce a capire bene se la stia prendendo in giro o no.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore giapponese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Haruki Murakami.
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