Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Amando Pablo odiando Escobar di Virginia Vallejo. Il romanzo è pubblicato in Italia da Giunti, con un prezzo di copertina di 16,99 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto).
Amando Pablo odiando Escobar: trama del libro
2006. Un aereo della DEA trasferisce in tutta segretezza negli USA Virginia Vallejo, testimone chiave di due tra i più importanti processi politici della Colombia: l’omicidio di un candidato alla presidenza e l’attacco al Palazzo di Giustizia condotto dai narcos di Pablo Escobar che ha provocato un centinaio di vittime. E’ il culmine di una storia iniziata molti anni prima, quando Virginia, la donna più contesa dai rotocalchi del paese, resta folgorata dal capo del cartello di Medellín: un uomo dal fascino magnetico, politico rampante, corruttore, assassino, amante appassionato che gode della fama di ”Robin Hood” per le sue iniziative a beneficio dei derelitti delle bidonville. L’incontro con il Re della cocaina avvia il racconto di un amore fatale, di una sfrenata vertigine di ricchezza, violenza, perdizione che tiene avvinghiati due amanti clandestini negli anni di una guerra senza esclusione di colpi tra gli Stati Uniti, lo stato colombiano e i cartelli della cocaina. Virginia Vallejo ripercorre, alternando humour e lacerante rimpianto, la sua vita a fianco di un criminale perverso e carismatico che la colma di doni e la minaccia, le regala poesie di Pablo Neruda, ne fa la sua regina, esercita su di lei una sottile violenza psicologica, ne fa una complice degli inconfessabili intrecci tra politica e criminalità.
Approfondimenti sul libro
Amando Pablo odiando Escobar è in vendita anche in formato eBook al prezzo di euro 9,99.
E c’era l’M-19, il movimento dalle azioni spettacolari, cinematografiche, composto dall’eclettica combinazione di universitari e professionisti, intellettuali e artisti, figli di borghesi e di militari, e da quei combattenti della linea dura che nel gergo dei gruppi armati sono conosciuti come troperos.7 Al contrario della maggior parte dei gruppi armati rivoluzionari ‒ che operavano nelle campagne e nelle foreste di cui è coperta quasi la metà del territorio colombiano ‒, “El Eme” era prevalentemente urbano e contava nei propri quadri direttivi donne notevoli e amanti della pubblicità quanto i loro compagni.
Negli anni che seguirono l’operazione Condor8 nel sud del continente, le regole dello scontro in Colombia erano chiare: quando un esponente di uno qualsiasi di questi gruppi cadeva nelle mani dei militari o dei servizi di sicurezza dello Stato, veniva incarcerato e spesso torturato fino alla morte, senza processo né troppi riguardi. Allo stesso modo, quando una persona facoltosa cadeva in mano alla guerriglia, non veniva liberata finché la famiglia non pagava il riscatto, molto spesso dopo anni di trattative; chi non pagava moriva e raramente se ne ritrovavano i resti, una situazione che, a parte pochissime eccezioni, si mantiene invariata da allora. Ogni colombiano DOCconta tra amici, familiari e dipendenti più di una dozzina di conoscenti che sono stati sequestrati, alcuni dei quali sono tornati a casa sani e salvi, mentre altri non hanno mai più fatto ritorno. Tra questi ultimi, poi, ci sono quelli le cui famiglie non hanno potuto soddisfare le richieste dei sequestratori, quelli per i quali si è pagato un cospicuo riscatto ma che non sono mai stati liberati e quelli per la cui esistenza nessuno ha voluto consegnare un patrimonio accumulato nel corso di generazioni o in una sola vita di onesto lavoro.
* * *
Mi sono addormentata con la testa appoggiata sulla spalla di Aníbal e mi risveglio per il doppio sobbalzo che fanno tipicamente gli aerei leggeri quando toccano terra. Lui mi accarezza la guancia, e, quando cerco di alzarmi, mi afferra dolcemente per il braccio facendomi segno di restare seduta. Mi indica il finestrino, e non riesco a credere a quel che vedono i miei occhi: ai due lati della pista d’atterraggio due dozzine di uomini giovani, alcuni con gli occhiali scuri, altri con le sopracciglia aggrottate per il sole del pomeriggio, circondano il piccolo apparecchio e ci puntano contro le mitragliatrici con l’espressione tipica di chi è abituato prima a sparare e poi a fare domande. Altri sembrano stare seminascosti tra gli arbusti, e due di loro giocherellano persino con i propri Mini Uzi come farebbe chiunque di noi con le chiavi dell’auto; provo soltanto a immaginare che cosa potrebbe succedere se uno solo di quelli cadesse per terra sparando seicento colpi al minuto. I ragazzi, tutti molto giovani, indossano capi comodi e moderni, polo colorate, jeans e sneakers d’importazione. Nessuno ha l’uniforme o la mimetica.
Mentre il piccolo aereo avanza sulla pista, riesco a calcolare il valore che potremmo avere per un gruppo guerrigliero. Il mio fidanzato è nipote dell’ex presidente, Julio César Turbay, il cui mandato (1978-1982) è stato caratterizzato da una violenta repressione militare dei gruppi rivoluzionari, soprattutto dell’M-19, gran parte della cui dirigenza è finita in carcere; ma Belisario Betancur, il presidente che si è appena insediato al potere, ha promesso di liberare tutti i rivoluzionari armati che si avvalgano del suo “processo di pace”, e di concedere loro l’amnistia. Guardo i figli di Aníbal e mi si stringe il cuore: Juan Pablo, di undici anni, e Adriana, di nove, sono oggi i figliastri del secondo uomo più ricco della Colombia, Carlos Ardila Lülle, padrone di tutte le aziende di imbottigliamento di bibite gasate del Paese. Quanto agli amici che ci accompagnano, Olguita Suárez, che fra una settimana convolerà a nozze con il simpatico cantautore spagnolo Rafael Urraza, organizzatore di questa gita, è figlia di un allevatore milionario della costa atlantica, e sua sorella è fidanzata con Felipe Echevarría Rocha, membro di una delle famiglie industriali più importanti della Colombia; Nano ed Ethel sono decoratori e mercanti d’arte, Ángela è una top model e io sono una delle conduttrici televisive più famose della nazione. So perfettamente che, se cadessimo nelle mani dei guerriglieri, tutti noi passeggeri dell’aereo rientreremmo nella loro peculiare definizione di oligarchi, e di conseguenza, di “sequestrabili”, aggettivo prettamente colombiano quanto il sostantivo “narco”, di cui parleremo più avanti.
Aníbal si è ammutolito ed è insolitamente pallido. Senza prendermi la briga di aspettare le sue risposte, gli sparo tutta una serie di domande a raffica:
«Come fai a sapere che era proprio questo l’aereo che doveva venire a prenderci? Non ti rendi conto che probabilmente ci stanno sequestrando?… Quanti mesi ci terranno prigionieri quando sapranno chi è la madre dei tuoi figli?… E questi non sono guerriglieri poveri: guarda le armi e le scarpe! E poi perché non mi hai detto di portarmi dietro le scarpe da ginnastica? Questi rapitori mi faranno camminare per tutta la foresta in sandali italiani e senza il cappello di paglia in testa! Perché non mi hai lasciato mettere in valigia il mio jungle-wear con calma?… E poi perché accetti inviti da gente che non conosci? Le guardie del corpo delle persone che frequento non puntano le mitragliatrici addosso agli ospiti! Siamo caduti in una trappola, perché a forza di farti di cocaina non sai più cosa sia la realtà! Se usciamo vivi di qui non ti sposo più, perché finirà col venirti un infarto, e non ho nessuna intenzione di restare vedova!».
Aníbal Turbay è alto, bello e libero, amorevole fino allo sfinimento e generoso in parole, tempo e denaro, nonostante non sia multimilionario, come tutti i miei ex fidanzati. Inoltre è adorato da tutta la sua eclettica corte di amici ‒ come Manolito de Arnaude, cercatore di tesori ‒ e da centinaia di donne le cui vite si dividono in “prima di Aníbal” e “dopo Aníbal”. Il suo unico difetto è un’incorreggibile dipendenza dalla polverina da naso; io la detesto, ma lui l’adora al di sopra dei suoi figli, di me, del denaro, di tutto. Prima ancora che il poveretto possa rispondere alla mia raffica di domande, il portellone dell’aereo si apre ed entra la tipica aria calda del Tropico che invita a godere di quella che nel mio Paese privo di stagioni chiamiamo Tierra Caliente.9Salgono due degli uomini armati che vedendo i nostri visi attoniti esclamano:
«Oddio! Non ci crederete, ma stavamo aspettando delle gabbie con una pantera e alcune tigri, ma a quanto pare le hanno imbarcate su un altro aereo! Mille scuse, signori! Che vergogna, con le signore e i bambini… Quando il padrone lo verrà a sapere, ci ammazzerà!».
Ci spiegano che la tenuta ha un enorme giardino zoologico, ed evidentemente c’è stato un problema di coordinamento tra il volo degli invitati e quello con cui sarebbero dovute arrivare le fiere. E mentre gli uomini armati si profondono in scuse, i piloti scendono dall’aereo con l’aria indifferente di chi non è tenuto a dare spiegazioni a estranei poiché ha solo la responsabilità di rispettare un piano di volo e non di controllare il carico.
Tre Jeep ci stanno aspettando per portarci alla casa padronale della tenuta. Mi metto gli occhiali da sole e il cappello da safari, scendo dall’aereo e, ben lungi dall’esserne consapevole, metto piede nel luogo che cambierà la mia vita per sempre. Saliamo in macchina e quando Aníbal mi mette un braccio intorno alle spalle mi tranquillizzo, pronta a godermi ogni minuto di quel che resta della gita.
«Che posto meraviglioso! E sembra enorme. Credo che il viaggio sia valso la pena…» commento sottovoce, indicandogli due aironi che stanno spiccando il volo da una riva in lontananza.
Assorti e immersi in un totale silenzio contempliamo quello scenario magnifico di terra, acqua e cielo che sembra perdersi oltre l’orizzonte. Sento una ventata di felicità, di quelle che non si annunciano, ti prendono all’improvviso e ti avvolgono tutta, per poi andarsene senza salutare. Da una capanna in lontananza arrivano le note di Caballo Viejo10 di Simón Díaz con l’inconfondibile voce di Roberto Torres, l’inno della pianura venezuelana che gli uomini di un tempo hanno fatto proprio in tutto il continente per cantarlo all’orecchio di puledre saure quando vogliono sciogliersi la briglia, nella speranza che anch’esse sciolgano la loro. Cuando el amore llega así, de esta manera, uno no se da cuenta…, avverte il cantore mentre racconta le prodezze del vecchio stallone. Cuando el amor llega así, de esta manera, uno no tiene la culpa…, si giustifica il mandriano, finendo per invitare la specie umana a seguire il suo esempio, porque después de esta vida no hay otra oportunidad…,11 con un tono pieno di saggezza popolare quanto di cadenze ritmiche, complici dell’aria tiepida carica di promesse.
Sono troppo felice e impregnata di quello spettacolo per chiedere vita, morte e miracoli, del nostro ospite.
«Il padrone di tutto questo deve essere un tipo così: uno di quei politici vecchi e furbacchioni, pieni di soldi e di puledre, che si credono il Re del Popolo» mi dico appoggiando di nuovo la testa sulla spalla di Aníbal, quel grandissimo edonista il cui amore per l’avventura è morto solo poche settimane prima che riuscissi a riunire le forze per iniziare a raccontare questa storia, intessuta degli istanti sepolti nei meandri della mia memoria e popolata di miti e mostri che non avrebbero mai dovuto essere resuscitati.
Per la biografia della giornalista colombiana rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Virginia Vallejo.