Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Amori miei e altri animali di Paolo Maurensig. Il romanzo è pubblicato in Italia da Giunti con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Amori miei e altri animali: trama del libro
Qual è la storia preferita da ogni lettore? Una storia d’amore, naturalmente, una storia che commuova fino alle lacrime. “Amori miei e altri animali” non è però una vera e propria storia d’amore, bensì una storia “di amori”, quegli amori che sono come pietre miliari lungo il percorso dell’esistenza, dalla prima infanzia alla vecchiaia: gatti e cani, per intenderci, con l’aggiunta di qualche altro animaletto. Così, in una serie di episodi della vita dell’autore, dal lontano passato fino ad oggi, legati alla presenza, a volte discreta a volte invadente, e spesso davvero coinvolgente, di questi insostituibili compagni di viaggio, Paolo Maurensig si racconta in un modo del tutto inedito. Un apprendistato alla vita che avviene passo passo anche attraverso l’avvicendarsi di questi compagni di strada: un gatto birmano, un golden retriever, il micio Felix, Dalmazia la combina guai e tanti altri simpatici cuccioli. Un libro delicato che offre parecchi spunti di riflessione sul senso dell’esistenza e che ci aiuta a capire come la relazione con gli animali sia ragione di arricchimento. Ed esercizio di rispetto verso tutti gli esseri viventi, umani e non.
Approfondimenti sul libro
In ebook Amori miei e altri animali (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Oggi gli animali da compagnia hanno acquisito diritti che erano impensabili solo qualche decina d’anni fa. Non c’è rotocalco che non ospiti una rubrica dedicata ai nostri simpatici amici, si pubblicano notizie di cani e gatti, amati o maltrattati, annunci di varie associazioni che si appellano al buon cuore dei lettori perché procurino ai trovatelli un tetto e un focolare. Attori, politici e personaggi di successo si fanno fotografare in compagnia dei loro beniamini, e persino in televisione la presenza di un cucciolo fa aumentare l’audience. Gli animalisti intanto continuano a insorgere contro l’aberrante e inutile pratica della vivisezione, protestano contro lo sterminio dei randagi, contro il traffico illecito, l’abbandono, i maltrattamenti. Paradossalmente, ci sono pene più severe in Occidente per chi maltratta un cane che nel Terzo mondo per chi stupra una bambina.
Gli animali sono per l’uomo una sorta di pietra di paragone e un legame con il resto del creato: per quanto possano distinguersi da noi, ci assomigliano, poiché escono da quell’eterna fucina che è la vita, in cui la natura li ha forgiati come prototipi dell’umanità. Dai rettili fino ai mammiferi, rappresentano gli esperimenti eseguiti sul banco di prova dell’evoluzione, ed è al loro “sacrificio” che dobbiamo la nostra stessa esistenza. Se il mondo ne fosse privato, patiremmo le condizioni di un orfano senza passato, di un’umanità senza storia; saremmo ancora più soli e sperduti nell’universo. Si dice che a distinguerci dagli animali sia il dono della parola, e in un tempo in cui la comunicazione è imperante (poco importa se ridotta a monosillabi), il loro silenzio ci turba. Se nello sguardo sognante di un gatto si riflettono le insondabili profondità dello spirito, in quello, più vivace, di un cane scorgiamo le nostre impellenti necessità terrene. Che siano loro i depositari della vera saggezza? Spesso, infatti, ci rendono consapevoli del tempo che sprechiamo rinchiusi in scatole ricolme di futili meraviglie, e di quanto povere sono le nostre vere esperienze. Abituati come siamo a prendere per buone quelle altrui, le nostre priorità e gli obiettivi che ci prefiggiamo finiscono per allontanarci dal vero significato dell’esistenza, come in quel gioco di società, dove una frase, sussurrata da orecchio a orecchio, infine viene completamente stravolta.
Da decine di migliaia di anni alcuni animali si sono uniti alla spedizione terrena, procedendo passo passo a fianco dell’uomo, e quando quest’ultimo smarrisce il senso della sua ricerca, sono proprio loro a rammentargli che il fine primario della vita è la ricerca della felicità.
I
Dove si narra di un gatto maldestro e degli incontri ravvicinati con un cane cattivo e un altro invece che amava gli scacchi.
Se è vero che la nostra personalità può essere rappresentata da un totem formato da animali che simboleggiano le qualità formative del carattere, nel mio, tra tanti ibridi e chimere, c’è di sicuro anche il gatto. O perlomeno, lo è stato nella mia prima infanzia.
Di solito, il primo animale con cui socializziamo da piccoli è il gatto. È il primo disegno che si insegna all’asilo, il più semplice: due cerchi, uno grande sormontato da uno più piccolo, al quale aggiungiamo due triangoli per le orecchie e una S per la coda, ed ecco la sagoma di un gatto seduto.
Da bambino avevo un’ammirazione smisurata per questo piccolo felino domestico. La sua agilità, l’equilibrio, la capacità di arrampicarsi sugli alberi, e poi l’incredibile facoltà di poter vedere nel buio lo rendevano ai miei occhi un animale magico. Il gatto era il padrone di casa, aveva libero accesso in ogni stanza, dormiva dove gli faceva più comodo (non di rado sul letto matrimoniale) e, oltre al presunto compito di tenere a bada i topi, non aveva altre incombenze domestiche. Certi diritti, ottenuti dal gatto, il sindacato canino a quel tempo se li sognava.
Uno di questi gatti superprivilegiati era quello dei miei zii che abitavano in campagna e allevavano conigli e oche. D’inverno, questo bel soriano che, data la mia statura, mi sembrava gigantesco, riusciva a entrare nella cassetta per la legna che si trovava accanto al focolare. Spingeva il bordo del coperchio con il muso finché non riusciva a ficcarci la testa, e poi si intrufolava aiutandosi con il resto del corpo. Per uscire compiva la stessa manovra, ma un giorno non fece in tempo a ritirare una zampa, che gli rimase schiacciata dal coperchio. Ricordo che per qualche tempo lo vidi zoppicare. Infine guarì. Mio zio disse che i gatti avevano nove vite, ma che cosa fosse la vita non mi era ancora chiaro.
Da bambino anch’io amavo arrampicarmi sugli alberi, e nel mio mondo immaginario avrei voluto essere un gatto. E quando un giorno sentii mio zio che diceva di me: «Si arrampica come una scimmia» arrossii dalla vergogna. Una scimmia? Ma zio, dovevi dire gatto, gatto e non scimmia. Imperdonabile da parte tua!
Più tardi, in prima elementare, escogitai il modo per farmi dare il soprannome che desideravo. Confidai al mio compagno di banco, notoriamente inaffidabile a mantenere un segreto, che quanto più detestavo era di sentirmi chiamare “gatto”. In breve tutti in classe cominciarono a chiamarmi “il gatto”, e io, fingendo disappunto, sorridevo sotto i baffi, o meglio, sotto le vibrisse.
Nel profondo della mia memoria infantile persiste ancora il ricordo di due incidenti mortali occorsi ad alcuni gatti di casa. Ho l’immagine sfocata di un gattino grigio che si trascina sul pavimento con le zampe anteriori, lasciando dietro a sé una scia di sangue. Nell’intento di superare con un balzo il varco di una porta che si stava chiudendo, era rimasto schiacciato dal battente che gli aveva spezzato la schiena. Rivedo mio padre (o meglio, la sua sagoma) che, sistematolo in una scatola per le scarpe, esce di casa dicendo che l’avrebbe portato dal dottore. E poi, un altro episodio ancora peggiore: in una torrida giornata di agosto riceviamo la visita di una corpulenta signora, cliente di mia madre, che a quel tempo cuciva in casa. Eccola entrare trafelata nella nostra cucina ansando, tutta sudata, e di botto lasciarsi cadere con tutto il suo peso su una sedia dove, raggomitolata come un morbido cuscino di pelo…
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore italiano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paolo Maurensig.
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