Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Amsterdam di Ian McEwan. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 7,99.
Amsterdam: trama del libro
È lecito distruggere un uomo politico, sia pure spregevole e privo di scrupoli, attaccandolo sui segreti più intimi della vita privata? E un grande artista, per difendere la propria ispirazione, è autorizzato a ignorare una persona che sta rischiando la vita? Amsterdam è il palcoscenico ideale di una buffa e terribile resa dei conti, “una tragicommedia in cui nessun personaggio è amabile” che, con piacevole e insieme graffiante ironia, ci interroga sul valore di alcune scelte etiche fondamentali. Con questo romanzo Ian McEwan ci regala una sinfonia breve e grottesca sull’odio e la vendetta. Feroce e leggera, la penna di uno dei più grandi scrittori inglesi contemporanei ci trascina abilmente in un appassionante racconto che ritrae il deserto morale di fine millennio.
– Non ha neanche avuto il tempo di capire che cosa le succedeva.
– E quando l’ha capito era troppo tardi.
– Se ne è andata cosí in fretta.
– Povera Molly.
– Mmm.
Povera Molly. Tutto era cominciato con un formicolio mentre alzava il braccio per fermare un taxi fuori del Dorchester Grill; quella sensazione non l’aveva piú abbandonata. Nel giro di qualche settimana già faticava a ricordare i nomi delle cose. Finché si trattò di parlamento, chimica o propulsore riuscí ancora a perdonarsi; molto meno, quando toccò a letto, specchioe panna. Fu dopo la temporanea scomparsa di acanto e bresaolache decise di rivolgersi a un medico, convinta che l’avrebbe rassicurata. Invece le fu consigliato di sottoporsi a un controllo e, in un certo senso, non ne uscí piú. Come aveva fatto presto quella insolente di Molly a trasformarsi nella prigioniera malata di George, marito possessivo e scontroso. Molly, critico gastronomico, fine intellettuale, fotografa, la spregiudicata floricultrice, amata dal ministro degli Esteri, che alla bell’età di quarantasei anni riusciva ancora a eseguire perfettamente la ruota. La rapidità del suo declino nella follia e nel dolore divenne argomento di pettegolezzo generale: aveva perso il controllo delle funzioni corporali e, insieme, ogni senso dell’umorismo; si era andata spegnendo in una sorta di indeterminatezza illuminata da lampi improvvisi di vana violenza e grida soffocate.
Fu la vista di George che stava uscendo dalla cappella a far sí che gli amanti di Molly indietreggiassero un poco lungo il sentiero di ghiaia ingombro di erbacce. Si dispersero tra le aiuole ovali di rose, in quello che un cartello indicava come Giardino della rimembranza. Non c’era pianta che non fosse stata impietosamente potata a un’altezza di pochi centimetri dal terreno gelato, una pratica che Molly era solita deplorare. Il piccolo prato era lordo di mozziconi di sigaretta schiacciati, perché quello era il punto in cui la gente aspettava il proprio turno nel susseguirsi delle esequie funebri celebrate nella cappella. Passeggiando avanti e indietro, i due vecchi amici ripresero la conversazione già praticata almeno una mezza dozzina di volte e che tuttavia dava loro maggior conforto di un inno religioso.
Clive Linley aveva conosciuto Molly per primo, nel ’68, quando entrambi erano studenti; insieme avevano abitato in una caotica, inquieta casa a Hampstead.
– Che fine terribile ha fatto.
Osservò il vapore del proprio fiato levarsi in alto nell’aria grigia. La temperatura registrata al centro di Londra quella mattina era di undici gradi sotto zero. Undici sotto zero. C’era un male gravissimo al mondo del quale né Dio né la sua assenza potevano essere ritenuti responsabili. La fatale disobbedienza dell’uomo, la Caduta, una frase discendente, un oboe, nove, dieci note. Clive aveva il dono dell’orecchio assoluto e le sentí quelle note che discendevano dal sol. Non c’era bisogno di scriverle.
Proseguí: – Morire cosí, senza nemmeno rendersene conto, come un animale. Ridursi in quello stato umiliante, senza aver modo di esprimere una volontà, o almeno di salutare chi resta. Le è entrata in corpo la morte e poi…
Si strinse nelle spalle. Arrivarono alla fine del prato malridotto, fecero dietro front e ripresero a camminare.
– Si sarebbe uccisa piuttosto di finire cosí, – disse Vernon Halliday. Aveva vissuto con lei per un anno a Parigi, nel ’74, ai tempi del suo primo impiego alla Reuters, mentre Molly lavorava per «Vogue».
– Incapace di intendere e di volere e per di piú nelle mani di George, – disse Clive.
George, l’editore ricco e mesto che l’adorava e che, con grande stupore di tutti, Molly non aveva lasciato pur trattandolo sempre malissimo. Adesso lo osservavano là fuori dalla porta, nell’atto di ricevere le condoglianze da una piccola folla di persone. La morte di lei lo aveva riscattato dalla disistima generale. Sembrava quasi cresciuto di qualche centimetro, teneva la schiena dritta, gli si era abbassata la voce e nei suoi occhi avidi e servili si era accesa una nuova dignità. Dopo essersi rifiutato di ricoverarla in clinica, si era occupato personalmente di lei. Ma c’era di piú: nei primi tempi, quando gli amici chiedevano ancora di andarla a trovare, lui li aveva selezionati con cura. Clive e Vernon li poteva vedere poco perché, secondo George, le loro visite la emozionavano per poi lasciarla depressa. Altro uomo chiave a essere rigorosamente razionato fu il ministro degli Esteri. La gente incominciò a mormorare, si lessero alcune velate allusioni al caso su un paio di rubriche mondane. Poi, però, la questione cessò di fare notizia perché era corsa voce che Molly non fosse piú in sé; nessuno voleva piú andarla a trovare e furono tutti lieti che ci fosse George a impedirlo. Clive e Vernon comunque continuavano a detestarlo con soddisfazione.
Stavano per voltarsi un’altra volta, quando squillò il cellulare nella tasca di Vernon – il quale si scusò, si fece di lato e rallentò il passo. Dovevano esserci almeno duecento persone nella folla nerovestita davanti al crematorio, adesso. Di lí a poco sarebbe sembrato scortese non avvicinarsi per dire qualcosa a George. L’aveva avuta, finalmente, quando lei ormai non riconosceva piú la sua faccia allo specchio. Sugli amori passati non c’era piú niente da fare, alla fine però Molly era stata soltanto sua. Clive stava perdendo la sensibilità nei piedi; prese a batterli a terra e il ritmo gli fece tornare alla mente la frase di dieci note discendenti, ritardando, un cor anglais e, in contrappunto, una frase ascendente dolcissima di violoncelli, come un’immagine nello specchio. Il viso di lei. La fine. In quel momento non desiderava altro che il tepore, il silenzio del suo studio, lo spartito incompleto, e arrivare alla conclusione. Sentí Vernon chiudere la telefonata, – D’accordo. Riscrivi il sommario e passa il pezzo in quarta pagina. Sarò lí nel giro di un paio d’ore –. Poi disse a Clive: – ’Sti israeliani del cazzo. Mi sa che è meglio andare.
– Credo anch’io.
E invece si fecero un altro giro del prato perché, dopo tutto, erano venuti lí per il funerale di Molly.
Con un visibile sforzo di concentrazione, Vernon vinse le proprie ansie professionali. – Era una donna in gamba. Te la ricordi quella del biliardo?
A Natale del 1978 un gruppo di amici aveva affittato una grossa villa in Scozia. Molly e il tale con cui stava in quel periodo, un procuratore legale di nome Brady, avevano improvvisato la scenetta di Adamo ed Eva su un vecchio tavolo da biliardo, lui in slip e lei in mutande e reggiseno, con una custodia da stecca a far da serpente e una palla rossa come mela. La storia riferita però, quella comparsa sulla stampa e persino ricordata da qualcuno dei presenti, era diversa: Molly aveva «ballato nuda la notte di Natale su un tavolo da biliardo in un castello scozzese».
– Una ragazza in gamba.
Lo aveva guardato dritto in faccia mentre fingeva di addentare la mela e masticando gli aveva sorriso spudoratamente, con una mano sul fianco come la parodia di una sgualdrina da operetta. Lui l’aveva inteso come un segnale quel modo di sostenere il suo sguardo e, manco a dirlo, entro l’aprile di quell’anno erano di nuovo insieme. Molly si trasferí nello studio di South Kensington e ci rimase per tutta l’estate. Era piú o meno il periodo in cui stava decollando la sua rubrica sui ristoranti, quando andava in televisione a denunciare la guida Michelin definendola «il kitsch in materia di cucina». Era anche il periodo della prima occasione di Clive, le Variazioni per orchestra al Festival Hall. La loro seconda volta. Lei forse non era cambiata, ma lui sí. In quei dieci anni aveva imparato quanto bastava per permetterle di insegnargli qualcosa. Era sempre stato uno di quelli che ci davano dentro a martellate. Lei gli insegnò la segretezza in amore, la necessità di fermarsi ogni tanto. «Sta’ fermo, cosí, e guardami, ma guardami davvero. Siamo una bomba a orologeria». Allora lui aveva quasi trent’anni, secondo gli standard attuali sarebbe stato in ritardo sui tempi. Quando Molly si trovò una casa e fece i bagagli, le chiese di sposarlo. Lei lo baciò e gli recitò all’orecchio: «Sposò una donna per impedirle d’andarsene | Adesso è là tutto il giorno». E aveva ragione perché dopo la sua partenza Clive si scoprí piú felice che mai di essere solo e scrisse le Tre canzoni d’autunno in meno di un mese.
– Ti ha mai insegnato niente? – chiese all’improvviso Clive.
Anche per Vernon c’era stata con lei una seconda volta, intorno alla metà degli anni Ottanta; erano in vacanza in una cascina umbra. Lui era corrispondente a Roma per il giornale che adesso dirigeva, ed era sposato.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore inglese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Ian McEwan.
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