Corredata da un’ampia anteprima, ecco la trama di Bacio feroce di Roberto Saviano, romanzo edito il 12 ottobre 2017 da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 19,50 euro (acquistabile online con il 15% di sconto).
Bacio feroce: trama del libro
Sigillano silenzi, sanciscono alleanze, impartiscono assoluzioni e infliggono condanne, i baci feroci. Baci impressi a stampo sulle labbra per legare anima con anima, il destino tuo è il mio, e per tutti il destino è la legge del mare, dove cacciare è soltanto il momento che precede l’essere preda. La paranza dei Bambini ha conquistato il potere, controlla le piazze di spaccio a Forcella, ma da sola non può comandare. Per scalzare le vecchie famiglie di Camorra e tenersi il centro storico, Nicolas ‘o Maraja deve creare una confederazione con ‘o White e la paranza dei Capelloni. Per non trasformarsi da predatori in prede, i bambini devono restare uniti. Ed è tutt’altro che facile. Ogni paranzino, infatti, insegue la sua missione: Nicolas vuole diventare il re della città, ma ha anche un fratello da vendicare; Drago’ porta un cognome potente, difficile da onorare; Dentino, pazzo di dolore, è uscito dal gruppo di fuoco e ora vuole eliminare ‘o Maraja; Biscottino ha un segreto da custodire per salvarsi la vita; Stavodicendo non è scappato abbastanza lontano; Drone, Pesce Moscio, Tucano, Briato’ e Lollipop sono fedeli a Nicolas, però sognano una paranza tutta loro…
Fra contrattazioni, tradimenti, vendette e ritorsioni, le vecchie famiglie li appoggiano per sopravvivere o tentano di ostacolarli, seminando discordia direttamente in seno alle paranze. Una nuova guerra sta per scoppiare? Prosegue il ciclo della Paranza dei bambini e Roberto Saviano torna a raccontare i ragazzi dei nostri giorni feroci, nati in una terra di assassini e assassinati, disillusi dalle promesse di un mondo che non concede niente, tantomeno a loro. Forti di fame. Forti di rabbia. Pronti a dare e ricevere baci che lasciano un sapore di sangue.
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– Come, è nato?!
– Sì, è nato.
Dall’altra parte silenzio, solo il respiro gracchiava sul microfono. Poi: – Ma sei sicuro?
Da settimane aspettava questa telefonata, ma ora che Tucano glielo diceva, Nicolas sentì il bisogno di farselo ripetere, per convincersi che finalmente era arrivato il giorno, per assaporarselo bene in testa. E per farsi trovare pronto.
– E no, mo’ pazzeo! Te lo sto dicendo. È nato mo’ mo’, adda murì mammà, ’a Koala praticamente sta ancora in sala parto… Dentino non si è visto, sono venuto subito sotto l’ospedale.
– Sì, figurati, quello non tiene le palle per farsi vedere. Ma a te chi te l’ha detto che è nato?
– Un infermiere.
– E chi cazz’è chisto mo’? Aró è uscito st’infermiere? –, Nicolas non si accontentava di informazioni generiche, stavolta voleva i particolari. Non poteva concedersi nessuna improvvisazione, niente doveva andare storto.
– Uno che faticava col padre di Biscottino, Enzuccio Niespolo. Gli ho detto che ’a Koala è amica nostra e volevamo saperlo prima di tutti, quando nasceva ’a criatura.
– E quanto gli hai promesso? Nunn’è che dice strunzate pecché nun c’hé passat’ancora nisciuna cient’euro?
– No no, gli ho promesso che gli davo l’iPhone. Quello non vedeva l’ora che sta criatura uscisse p’avé ’o telefono nuovo. Steva azzeccato c’’a ’recchia ’ncopp’’a pancia r’’a Koala.
– Amm’a fà a volo allora. Domani, appena viene il sole.
L’alba lo trovò vestito, pronto all’azione. Il letto su cui stava seduto appena sgualcito, non aveva dormito neppure un minuto. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, poi buttò fuori l’aria, un suono secco. Era il giorno. Doveva mantenersi lucido, non farsi risucchiare dai ricordi. Aveva la sua missione da compiere, dopo ci sarebbe stato tutto il tempo per il resto.
La voce di Tucano agì come l’interruttore che avvia la corrente. Si ficcò la Desert Eagle nei jeans e fu subito in strada.
Tucano si era già infilato il casco integrale.
– Ce l’hai il telefono? – gli chiese Nicolas infilandosi il suo. – È ancora nella confezione, ’overo?
– Maraja, è tutto a posto.
– Allora andiamo a accattarci i fiori. – Nicolas si mise alla guida e partì a velocità ridotta. Provava una calma che gli riscaldava tutto il corpo. Di lì a un’ora si sarebbe sistemato tutto. Capitolo chiuso.
– Ma che spacimma… – disse Tucano, – dicono che non guadagnano e poi dormono sempre.
Le saracinesche del fiorista erano abbassate, altri chioschi non sapevano dove trovarne e comunque bisognava fare in fretta, pensò Nicolas. Poi inchiodò e il casco di Tucano cozzò contro il suo.
– Maraja, maronna…
– La Maronna, appunto, – disse Nicolas e, spingendosi indietro con i piedi, fece arretrare il motorino fino all’imbocco del vicolo. Protetta da una gabbia in ferro che in quella fatiscenza brillava come oro, un’edicola votiva era illuminata da un faretto. Le foto di ex voto e immaginette di Padre Pio quasi la coprivano, la Madonna, ma lei sorrideva rassicurante, e Nicolas ricambiò il sorriso. Scese dal T-Max, le mandò un bacio, come gli faceva fare sua nonna da bambino, e alzandosi sulle punte sfilò da un vaso un mazzo di calle bianche.
– Ma la Madonna non si incazza? – chiese Tucano.
– ’A Maronna non si incazza mai. Perciò è ’a Maronna, – disse Nicolas, tirando giù la zip della felpa per accomodare le calle. Ripartirono sgasando. A quell’ora Pesce Moscio, come deciso, stava per entrare in azione.
Appena dietro ai cancelli li aspettava l’infermiere; batteva i piedi sull’asfalto avvolto in un piumino. Tucano lo salutò alzando una mano, e lui continuò a saltellare sul posto, anche se adesso a muoverlo non era più il tentativo di scacciare il freddo, quanto la sottile paura che quei due in motorino con i caschi integrali non fossero lì per ringraziarlo del favore.
– Allora purtateme a fà ’a sorpresa a’’a criatura, – esordì Nicolas.
L’infermiere cercò di temporeggiare per capire che aria tirasse. Rispose che non erano parenti, non poteva farli entrare.
– Ma come, nun simmo parenti, – disse Nicolas, – mica mo’ i parenti sono solo i cugini. Noi siamo parenti più parenti, perché siamo amici, siamo famiglia vera.
– Ora sta alla nursery. Tra poco lo portano alla madre.
– È maschio?
– Sì.
– Meglio.
– Perché? – disse l’infermiere per prendere tempo.
– È più facile…
– Cosa è più facile? – insisté.
Nicolas ignorò la domanda.
– Crescere, è cchiù facile se sei maschio o no? – intervenne Tucano. – O forse è più facile femmina, almeno se sai chiavare arrivi addo vuo’ tu?
Nel silenzio di Nicolas l’infermiere si convinse che avrebbero aspettato. Fece per allargare le braccia, come dire che non si poteva fare nulla, erano le regole.
– Voglio veré ’o criaturo prima che va tra le zizze della madre. – La voce impaziente, carica di collera, lo colpì come una frustata e, prima di poter formulare una risposta, l’infermiere si trovò con la faccia spiaccicata contro la visiera del casco di Nicolas. – T’ho detto che lo voglio vedere, stu criaturo. Ho pure i fiori per la signora. Ora mi dici come ci arrivo, – e con una spinta gli fece riguadagnare la posizione eretta.
Le informazioni arrivarono con precisione, il tragitto era semplice. Allora Tucano prese la scatola dell’iPhone e la lanciò in aria, mentre l’infermiere, gli occhi al cielo fissi sulla traiettoria, si sbracciava con il terrore che il telefono potesse cadere. Era così concentrato sul suo gioiello tecnologico che non si accorse del fumo nero e denso che saliva a pochi metri di distanza, e forse neanche sentì il lezzo acre di copertoni bruciati. Pesce Moscio era stato puntualissimo. Nicolas glielo aveva chiesto, anzi gliel’aveva ordinato. Voglio tanto fumo. Tutto devi oscurare. Gli aveva spiegato che il gabbiotto dove stazionavano le guardie lo voleva vuoto, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era uno stuolo di vigilantes all’inseguimento di un motorino. – Il diversivo, Pescemo’, – e Pesce Moscio aveva scelto una toilette del Policlinico vicina al gabbiotto. I copertoni li aveva rubati da un gommista quella stessa mattina e con un po’ di kerosene e un accendino sarebbe stato una grande festa di fumo tossico e puzza, avrebbe convogliato tutta l’attenzione verso quel bagno.
Intanto il T-Max varcava il cancello a passo d’uomo. Fino a quel punto il piano aveva seguito una sua logica. Nicolas aveva calcolato tempi e possibili intoppi, e anche Tucano, facendo la sua parte diligentemente, si era sentito un ingranaggio di questa macchina ben oliata. Poi Nicolas aprì il gas e mandò all’aria ogni logica. Il mezzo si impennò per salire la prima rampa, quasi come un cavallo che salta l’ostacolo, e rimbalzando gradino dopo gradino arrivò in cima all’ingresso. Le porte automatiche dell’ospedale si aprirono e il T-Max piombò nella hall.
Al chiuso il motore sembrava quello di un Boeing. Ancora non avevano incontrato nessuno, a quell’ora il via vai delle prenotazioni e delle visite non era ancora iniziato, ma la loro irruzione fece accorrere il personale dell’ospedale, che uscì dalle porte degli ambulatori incredulo. Nicolas non ci badò. Cercava l’ascensore.
Entrarono nel reparto Nascite, accolti dal silenzio. Nessuno nei corridoi, non una voce né un vagito che potesse indicare la direzione della nursery. Tutto il caos che avevano scatenato di sotto sembrava non aver intaccato la tranquillità del piano.
– Come cazzo si chiama ’o criaturo?
– Ci saranno i cognomi, no? – rispose Tucano. Conosceva fin troppo bene ’o Maraja per arrischiarsi a domandargli come pensava di uscire dal budello in cui si erano infilati. Proprio quella era la forza di Nicolas, spingerti al limite senza fartene nemmeno rendere conto.
Lasciarono il T-Max a ingombrare il corridoio. Lucido e nero, lo scooter pareva un enorme scarafaggio fra quelle pareti color verdino tappezzate di poster che decantavano i benefici dell’allattamento al seno. Partirono di corsa lungo il corridoio alla ricerca della nursery. Tucano davanti, il casco ancora ben calato in testa, Nicolas subito dietro. Un’infilata di porte a destra e a sinistra, e il gracchiare delle loro suole sul linoleum.
Spuntarono su un atrio con due scrivanie vuote, oltre le quali splendeva la vetrata della nursery. Erano tutti lì i bambini freschi di vita, allineati, paonazzi dentro le tutine pastello; qualcuno dormiva, qualcun altro muoveva i pugni minuti sopra la testa.
Maraja e Tucano si accostarono, come due parenti curiosi di capire se il bambino assomiglia più alla madre o al padre.
– Antonello Izzo, – disse Tucano. La copertina azzurra con il nome ricamato in un angolo si alzava e scendeva in maniera quasi impercettibile. – Eccolo, – si voltò verso Nicolas, che se ne stava fermo, con i palmi sulla vetrata, la testa puntata verso quel neonato che ora sorrideva, o così pareva a Tucano.
– Maraja…
Silenzio.
– Maraja, mo’ che facimmo?
– Come s’accide ’nu criaturo, Tuca’?
– Che cazzo ne so, mo’ ti viene in mente?
Nicolas estrasse la Desert Eagle dalle mutande e con il pollice tolse la sicura.
– Secondo me è come quando si schiatta un palloncino, no? – continuò Tucano.
Nicolas spinse delicatamente la porta, come volesse usare la gentilezza di non far troppo chiasso per evitare di svegliare gli altri bambini. Si avvicinò ad Antonello, il figlio di Dentino, il figlio di chi aveva ucciso suo fratello Christian sparandogli alla schiena come l’ultimo dei traditori.
– Christian… – disse, a fior di labbra. Era la prima volta che pronunciava il suo nome dal giorno del funerale. Pareva vittima di un incantesimo, gli occhi neri fissi davanti a sé ma sprofondati chissà dove. Tucano avrebbe voluto prendere a pugni il vetro, urlare a Nicolas di spicciarsi, che quel figlio di infame doveva spararlo subito, immediatamente, e invece quello aveva appoggiato la bocca della Desert sul pancino ma il dito sul grilletto non si spostava. La pistola faceva su e giù, piano, come se i polmoni di quella creatura fossero davvero in grado di sollevare i due chili del ferro. Tucano si voltò a controllare l’imbocco del corridoio e si accorse che nel tempo di quell’esitazione un’infermiera era apparsa alle loro spalle. Si stava avvicinando rapida, imbracciando come una lancia l’asta di una flebo: – E tu che ci fai qua? –. Poi inquadrò Nicolas e prese a urlare: – Stanno arrubbando i criaturi! Stanno arrubbando i criaturi! –. Tucano la puntò veloce con la sua Glock e l’infermiera si bloccò all’istante, con l’asta a mezz’aria, però non la piantava di gridare.
– Stanno arrubbando i bambini! Si stanno portando via i bambini! Aiuto! Aiuto! – La voce sempre più stridula, come una sirena.
– Maraja, spara, fai ampress’, c’hanno sgamato, schiattalo… – Ma Nicolas adesso aveva anche piegato la testa di lato, come a osservare meglio il figlio di Dentino e della Koala. Dormiva sereno, il respiro ancora profondo e costante, nonostante la pistola: anche Christian – quando sua madre era tornata a casa dall’ospedale, dopo il parto – dormiva in quell’identico modo. Lei lo faceva sedere in poltrona e glielo metteva fra le braccia, e Christian continuava a dormire. Attorno ad Antonello, invece, gli altri bambini presero a svegliarsi. In un attimo la nursery fu una bolgia, il pianto di un neonato contagiava quello a fianco, un’onda assordante che riuscì a scuotere Nicolas dal suo torpore.
– Stanno arrubbando i criaturi! Stanno arrubbando i criaturi! – continuava l’infermiera, e roteava l’asta, a guadagnare inerzia per scagliarla con più forza possibile.
– Maraja, spara, schiattalo ampress’! – urlò Tucano. L’infermiera continuava ad avvicinarsi e lui non sapeva se stenderla con un pugno in faccia, spararla per ferirla o per ucciderla. Non sapeva.
– Maraja, la situazione si sta facendo malamente, ce ne dobbiamo andare via da qua. Subito. Ma proprio ampress’ ampressa.
Nicolas si portò la mano sinistra sul tatuaggio che si era fatto imprimere sulla nuca, che gli desse la forza, che gli confermasse anche lì, davanti a un altro innocente, che quella era la cosa giusta da fare. Per sé, per sua madre, per la paranza dei Bambini. Perché quello era il tempo della tempesta, e lui era la tempesta che si stava abbattendo sulla città. Premette con forza la pistola sul corpo del neonato e anche Antonello iniziò a piangere.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Roberto Saviano.
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