Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La ballata di Adam Henry di Ian McEwan. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Einaudi con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 6,99.
La ballata di Adam Henry: trama del libro
“Divino distacco, diabolica perspicacia”: cosi si mormora negli ambienti giudiziari londinesi a proposito di Fiona Maye, giudice dell’Alta Corte britannica in servizio presso la litigiosa Sezione Famiglia. Sposata da trentacinque anni con lo stesso uomo e senza figli, il giudice Maye ha dedicato tutta la sua carriera alla composizione di dissidi sanguinosi spesso giocati nella carne di chi un tempo si è amato. Battaglie feroci per l’affidamento di figli non più condivisi, baruffe patrimoniali, esplosioni d’irrazionalità cui il giudice Maye oppone un paziente esercizio di misura e sobrietà nella convinzione di “poter restituire ragionevolezza a situazioni senza speranza”. I casi su cui è chiamata a pronunciarsi popolano i giorni e ossessionano le notti di Fiona, calcandone la coscienza. Forse la rendono più sfuggente, distratta. Sarà dunque a questo che si deve l’oltraggiosa richiesta di suo marito Jack? “Ho bisogno di una bella storia passionale”, un “ultimo giro” extraconiugale con la ventottenne Melanie, esperta di statistica. Umiliata, ferita, “abbandonata agli albori della vecchiaia”, Fiona cerca rifugio, come d’abitudine, nel caso successivo. È quello di Adam Henry, violinista dilettante, poeta in erba, diciassette anni e nove mesi, troppo pochi per decidere autonomamente della propria vita o della propria morte. Adam è affetto da una forma aggressiva di leucemia che richiede trattamento immediato.
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In mano, il secondo bicchiere di scotch con acqua. Si sentiva scossa, cercava di riprendersi da una brutta lite con suo marito. Beveva di rado, ma quel Talisker allungato era proprio un conforto, tanto che aveva contemplato l’ipotesi di andare a versarsene un terzo. Meno scotch e piú acqua perché l’indomani era in tribunale e anche adesso, mentre cercava di recuperare la calma, risultava in servizio come giudice di turno, a disposizione per qualsiasi richiesta improcrastinabile. Con quella dichiarazione traumatica, lui le aveva scaricato addosso un peso insostenibile. Per la prima volta da anni Fiona si era sentita alzare la voce; le era rimasta nelle orecchie l’eco di quel che gli aveva urlato: – Stronzo! Sei solo uno stronzo! – Non usava quel linguaggio dai tempi spregiudicati delle sue visite adolescenziali a Newcastle, anche se qualche parola forte ogni tanto si insinuava nei suoi pensieri, quando le toccava ascoltare dichiarazioni senza fondamento o punti di diritto irrilevanti.
E poco dopo, senza fiato per l’indignazione, aveva aggiunto con voce stentorea almeno un paio di volte: – Ma come ti permetti!
Non era una domanda, ma lui aveva risposto lo stesso, pacatamente: – Ne ho bisogno. Ho cinquantanove anni. È la mia ultima occasione. Sull’aldilà non ho ancora raccolto prove inconfutabili.
Battuta arrogante alla quale lei non aveva saputo replicare. Si era limitata a fissarlo, forse a bocca aperta. Solo adesso, a scoppio ritardato, aveva trovato una risposta degna: – Cinquantanove? Jack, guarda che ne hai sessanta! Quanto sei patetico, quanto sei scontato.
Invece, banalmente, le era uscito un: – È una cosa talmente ridicola.
– Fiona, quand’è l’ultima volta che abbiamo fatto l’amore?
Già, quand’era stato? Non era la prima volta che le faceva quella domanda, in un tono che andava dall’afflitto al querulo. Ma gli ingorghi del passato recente a volte faticavano a riaffiorare alla memoria. La Sezione Famiglia dell’Alta Corte pullulava di strane discrepanze, ragionamenti tendenziosi, intime mezze verità, accuse bizzarre. Nonché, come ogni altro ramo del diritto, di cavillose circostanze particolari che occorreva analizzare con rapidità. Solo una settimana prima aveva ascoltato le conclusioni di una coppia di genitori ebrei, non egualmente ortodossi, i quali si contendevano l’educazione delle figlie. Quella poggiata a terra accanto alla chaise longue era la bozza ultimata della sua sentenza. L’indomani invece si sarebbe trovata davanti una disperata signora inglese pallida, magra, colta, madre di una bambina di cinque anni, convinta, a dispetto delle ripetute assicurazioni contrarie alla corte, che il padre della piccola, uomo d’affari marocchino e musulmano osservante, intendesse sottrarre la figlia alla giurisdizione portandola con sé a Rabat dove si sarebbe ricostruito una vita. In alternativa, le solite zuffe sull’affidamento dei figli, o su case, pensioni, rendite, eredità. In Alta Corte arrivavano i patrimoni cospicui. Perlopiú, la ricchezza falliva, come garanzia di consolidata felicità. Padri e madri imparavano presto il lessico nuovo e le procedure pazienti della legge e restavano storditi dalla battaglia feroce contro la persona che avevano amato. Intanto, in attesa dietro le quinte, bambini citati col nome di battesimo nelle carte processuali, spaventati piccoli Ben e piccole Sarah che si stringevano gli uni alle altre mentre i loro numi tutelari combattevano all’ultimo sangue dal Tribunale di contea, all’Alta Corte, fino alla Corte d’Appello.
Tutta questa sofferenza presentava tematiche comuni, rivelava un’umana monotonia che però non aveva smesso di affascinarla. Fiona era convinta di poter restituire ragionevolezza a situazioni senza speranza. Nel complesso, aveva fiducia nelle disposizioni del diritto di famiglia. Nei momenti di ottimismo considerava un segnale importante del progresso civile il fatto di sancire per legge la priorità dei bisogni del figlio su quelli dei genitori. Le sue erano giornate piene, che si concludevano, negli ultimi tempi, con cene di vario tipo, di quando in quando il ritrovo alla Middle Temple per il collega che andava in pensione, un concerto al Kings Place (Schubert, Scriabin) e poi taxi, metropolitane, abiti da ritirare in tintoria, la lettera alla direzione dell’istituto specializzato per raccomandare il figlio autistico della signora delle pulizie e, finalmente, una notte di sonno. In tutto questo, dove si collocava il sesso? Ora come ora, non le veniva in mente.
– Non tengo i conti.
Lui aveva allargato le braccia: l’accusa non ha altro da aggiungere.
Fiona l’aveva osservato attraversare la stanza e andare a versarsi una dose di scotch, di quel Talisker che adesso beveva anche lei. Da qualche tempo le sembrava piú alto, piú sciolto nei movimenti. Mentre le dava le spalle aveva avuto il raggelante presagio di un rifiuto, dell’umiliazione di essere abbandonata per una donna piú giovane, di essere lasciata indietro, inutile e sola. Si era domandata se non le convenisse assecondare semplicemente le sue richieste, ma aveva scartato subito l’ipotesi.
Jack era tornato da lei con il bicchiere in mano. Non per proporle un Sancerre come faceva di solito verso quell’ora.
– Che cosa vuoi, Jack?
– Non ho intenzione di rinunciare a questa storia.
– Vuoi il divorzio.
– No. Voglio tutto cosí com’è. Senza bugie.
– Non capisco.
– Invece sí. Non sei stata tu a dirmi una volta che nei matrimoni che durano tanti anni si finisce per sentirsi come fratello e sorella? Beh, ci siamo arrivati, Fiona. Sono diventato tuo fratello. È un rapporto dolce, affettuoso, e io ti voglio bene, ma prima di tirare le cuoia ho bisogno di una bella storia passionale.
Scambiando lo sbalordimento di lei per irrisione, per scherno forse, aveva aggiunto brusco: – Di esaltazione, quella che non ti fa capire piú niente. Te la ricordi? Voglio farmi un ultimo giro, anche se a te non va. O magari sí, invece.
Fiona lo fissò incredula.
– Ecco, tutto qui.
Fu a quel punto che ritrovò la voce per dirgli che stronzo era. Fiona aveva un risoluto controllo su ciò che risultava convenzionalmente corretto. Il fatto che Jack, per quanto ne sapeva, le fosse sempre stato fedele, rendeva la sua dichiarazione ancora piú scandalosa. E se per caso l’aveva tradita in passato, l’aveva fatto in modo impeccabile. Il nome dell’altra lo conosceva già. Melanie. Non molto diverso da quello di una forma mortale di cancro alla pelle. Fiona era consapevole che la relazione con quella esperta di statistica ventottenne avrebbe potuto annientarla.
– Se fai una cosa simile tra noi è finita. È molto semplice.
– Cos’è, una minaccia?
– Una promessa solenne.
Ormai aveva recuperato lucidità. E la questione le pareva semplice sul serio. Il momento giusto per proporre un’unione aperta era prima delle nozze, non trentacinque anni dopo. Mettere a repentaglio tutto quello che avevano solo per dargli la possibilità di rivivere il brivido passeggero dei sensi! Se provava a immaginare come sarebbe stato per lei desiderare qualcosa di analogo – la sua «ultima avventura» che poi sarebbe stata anche la prima – le venivano in mente solo disagi, convegni segreti, delusioni, telefonate inopportune. L’imbarazzo di imparare come si sta a letto con una persona nuova, l’invenzione di una serie di vezzeggiativi inediti, il pacchetto completo di imposture. Infine, la necessità di uscire dall’impiccio, la fatica di essere onesti fino in fondo. E niente piú come prima, dopo il distacco. No, meglio una vita imperfetta, meglio la vita che aveva.
Ora però, dalla prospettiva della chaise longue, aveva chiare davanti agli occhi le autentiche proporzioni dell’oltraggio subíto, il fatto che Jack fosse deciso a concedersi il proprio piacere a costo della sua sofferenza. Senza pietà. Lo aveva conosciuto capace di risolutezze a spese d’altri, quasi sempre a fin di bene. Ma questo le giungeva nuovo. Che cosa era cambiato? Era rimasto saldo, tetragono mentre mesceva il suo scotch, e le dita della mano libera segnavano il tempo di una melodia che aveva in testa, forse una canzone ascoltata insieme a qualcuno, ma non lei. Mentre la feriva con indifferenza: questa era la novità. Era sempre stato una persona gentile, oltre che leale, e la gentilezza – ne aveva conferma quotidiana alla Sezione Famiglia dell’Alta Corte – è l’ingrediente umano essenziale. Fiona aveva l’autorità di sottrarre un bambino a un genitore che mancasse di gentilezza, e qualche volta la esercitava. Poteva fare altrettanto per sé e sottrarsi a un marito privo di gentilezza? Adesso che era fragile e affranta? Che fine aveva fatto il suo nume tutelare?
Il vittimismo negli altri l’aveva sempre messa a disagio, perciò non intendeva concederselo. Si versò un terzo bicchiere, invece. Dose irrisoria di alcol, tuttavia, e molta acqua, prima di tornare al divano. In effetti la loro conversazione era stata di quelle durante le quali bisognerebbe prendere appunti. Ricordare le esatte parole era importante, valutare appieno la misura dell’offesa. Quando lo aveva minacciato di rompere il matrimonio se non cambiava idea, Jack si era limitato a ripetersi, dicendole ancora una volta che lui l’amava e che l’avrebbe amata sempre, che non c’era una vita diversa da quella che avevano, ma che i suoi bisogni sessuali non soddisfatti gli procuravano grande infelicità, che gli era capitata quell’occasione e che voleva coglierla, non senza informare lei e nella speranza di ottenere anche il suo consenso. Le parlava in spirito di assoluta franchezza. Avrebbe potuto fare ogni cosa «alle sue spalle». Le sue gracili spalle incapaci di perdonare.
– Oh, – aveva mormorato Fiona. – Ma come è nobile da parte tua, Jack.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore inglese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Ian McEwan.
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