Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il battesimo del fuoco di Andrzej Sapkowski. Il romanzo è pubblicato in Italia da Nord con un prezzo di copertina di 18,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 8,99.
Il battesimo del fuoco: trama del libro
Geralt di Rivia ha fallito. Durante la rivolta scoppiata sull’isola di Thanedd, non è riuscito a portare in salvo Ciri, l’ultima erede al trono di Cintra, e ora la principessa è scomparsa. La sua unica speranza di ritrovarla è affidarsi a Milva, la più abile spia delle driadi. E Milva non lo delude: scopre che Ciri è prigioniera dell’imperatore Emhyr var Emreis e si offre di guidare lo strigo fino alla capitale di Nilfgaard. Benché sia ancora debole a causa delle ferite riportate, Geralt lascia la sicurezza dei boschi di Brokilon e si mette in viaggio con Milva, ma bastano pochi giorni di cammino per rendersi conto che raggiungere il palazzo imperiale è un’impresa quasi impossibile: ovunque infuriano violente battaglie tra le truppe di Nilfgaard e gli eserciti dei regni del Nord; le strade sono pattugliate giorno e notte da ronde di soldati, mentre i villaggi sono lasciati alla mercé dei gruppi di elfi ribelli. Lo strigo e la driade sono quindi costretti a tagliare per la foresta, senza sapere che così facendo cadranno nella trappola preparata da una creatura che da tempo li segue nell’ombra, pronto a tutto pur di evitare che Geralt arrivi vivo a Nilfgaard…
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Il pendio del burrone era ricoperto da un fitto intrico di rovi e crespini. Era un luogo ideale per nidificare e trovare cibo, dunque non c’era da stupirsi che brulicasse di uccelli. I verdoni gorgheggiavano, i fanelli e le bigiarelle cinguettavano, risuonava senza posa anche il sonoro pinc-pinc del fringuello.
Il fringuello annuncia pioggia, pensò Milva alzando lo sguardo al cielo. Non c’erano nuvole. Ma i fringuelli annunciano sempre pioggia. E un po’ di pioggia, finalmente, non avrebbe guastato.
Il punto di fronte allo sbocco della conca era una buona postazione e prometteva una caccia abbastanza fruttuosa, soprattutto lì a Brokilon, che abbondava di selvaggina. Le driadi che regnavano su gran parte del bosco cacciavano assai di rado, e l’uomo osava inoltrarvisi ancor più di rado. Lì il cacciatore in cerca di carne o di pelli si trasformava a sua volta in una preda. Le driadi di Brokilon non avevano pietà per gli intrusi. Milva aveva avuto modo di sperimentarlo sulla propria pelle.
A ogni modo, a Brokilon gli animali non mancavano ma, sebbene Milva fosse appostata da oltre due ore, continuava a non venirle nulla a tiro. Cacciare camminando non poteva: la siccità che regnava da mesi aveva ricoperto il terreno di foglie e ramoscelli che scricchiolavano a ogni passo. In simili condizioni, solo rimanendo appostata immobile poteva sperare di procurarsi una preda.
Una farfalla ammiraglio si posò sulla punta di un flettente dell’arco. Milva non la cacciò. La osservava aprire e chiudere le piccole ali senza staccare lo sguardo dall’arco, il nuovo acquisto di cui non cessava di rallegrarsi. Era un’arciera nata, amava le buone armi. E quella che impugnava era la migliore di tutte.
Milva aveva avuto molti archi in vita sua. Aveva imparato a tirare con dei normali archi di frassino e tasso, ma ben presto li aveva abbandonati in favore di quelli riflessi multistrato, usati dalle driadi e dagli elfi. Gli archi elfici erano più corti, più leggeri e maneggevoli e, essendo composti da strati di legno e tendini animali, anche molto più «veloci» di quelli di tasso: una freccia tirata da essi raggiungeva il bersaglio in molto meno tempo e con una traiettoria rettilinea, il che eliminava in notevole misura la possibilità che fosse deviata dal vento. Gli esemplari migliori di tali armi, con una curvatura quattro volte maggiore del normale, venivano chiamati dagli elfi zefhar, poiché i flettenti piegati e le punte dell’arco formavano quel segno runico. Milva aveva usato gli zefar per parecchi anni credendo che non potessero esistere archi migliori.
Finché non si era imbattuta in quell’arco. Naturalmente era accaduto al Bazar del mare di Cidaris, famoso per la ricca offerta di merci strane e rare che i marinai portavano dai più sperduti angoli della terra, da tutti i luoghi raggiunti da cocche e galeoni. Non appena poteva, Milva visitava il bazar e osservava gli archi venuti d’oltremare. E là appunto aveva acquistato quello che riteneva l’avrebbe servita per molti anni: uno zefar di Zerrikania rinforzato da corno di antilope levigato. Le era sembrato perfetto. Per un anno. Perché l’anno seguente, sullo stesso banco, presso lo stesso mercante, aveva visto un vero portento.
L’arco veniva dal lontano Nord. Lungo sessantadue pollici, aveva un’impugnatura in mogano perfettamente equilibrata e flettenti piatti costituiti da strati alternati di legno nobile, tendini cotti e osso di balena. A distinguerlo dagli altri che gli stavano accanto era non solo la lavorazione, ma anche il prezzo. Ed era stato appunto il prezzo ad attirare l’attenzione di Milva. Tuttavia, quando aveva preso in mano l’arma e l’aveva provata, aveva pagato senza batter ciglio e senza mercanteggiare quanto richiesto dal venditore. Quattrocento corone di Novigrad. Naturalmente non aveva con sé una somma così vertiginosa, ma pur di concludere l’affare aveva sacrificato il suo zefar di Zerrikania, un fascio di pelli di zibellino e un medaglione elfico di squisita fattura, un cammeo di corallo in un anello di perle di fiume.
Però non se n’era pentita. Mai. L’arco era incredibilmente leggero e preciso al millesimo di pollice. Sebbene non troppo lungo, aveva una notevole forza nei flettenti compositi. Munito di una corda di seta e canapa fissata alle punte piegate a puntino, con una tensione di ventiquattro pollici sviluppava una potenza pari a cinquantacinque libbre. C’erano archi che ne sviluppavano perfino ottanta, è vero, ma Milva la riteneva un’esagerazione. Una freccia tirata col suo cinquantacinque di osso di balena copriva la distanza di duecento passi nell’intervallo di tempo tra due battiti del cuore, e da cento passi aveva una tale forza d’impatto da colpire a morte un cervo e trapassare un uomo da parte a parte, sempre che non indossasse un’armatura. Animali più grandi dei cervi e uomini in armatura pesante Milva li cacciava di rado.
La farfalla volò via. I fringuelli continuavano a gridare tra i cespugli. E continuava a non venire nulla a tiro. Milva appoggiò la schiena al tronco di un pino e iniziò a ricordare. Così, tanto per ammazzare il tempo.
Il suo primo incontro con lo strigo risaliva a luglio, due settimane dopo gli avvenimenti accaduti sull’isola di Thanedd e lo scoppio della guerra nella Dol Angra. Milva era tornata a Brokilon dopo un’assenza di una quindicina di giorni. Accompagnava i superstiti di un commando di Scoia’tael che era stato decimato in Temeria, mentre cercava di penetrare nel territorio di Aedirn sconvolto dalla guerra. Gli Scoiattoli volevano unirsi alla rivolta fomentata dagli elfi nella Dol Blathanna. Non ci erano riusciti e, se non fosse stato per Milva, sarebbero morti. Ma avevano trovato Milva e asilo a Brokilon.
Subito dopo il suo arrivo, era stata informata che Aglaïs l’aspettava urgentemente a Col Serrai. Si era un po’ stupita. Aglaïs era a capo delle guaritrici di Brokilon e la conca di Col Serrai, profonda e piena di sorgenti e grotte, era il luogo in cui esercitavano le loro arti.
Tuttavia obbedì alla chiamata, credendo che magari un elfo in via di guarigione desiderasse contattare tramite suo il proprio commando. Quando però vide lo strigo ferito e venne a sapere di cosa si trattava, Milva montò su tutte le furie. Corse fuori dalla grotta coi capelli scompigliati e scaricò tutta la sua rabbia su Aglaïs. «Mi ha vista! Ha visto il mio viso! Capisci che minaccia rappresenta per me?»
«No, non lo capisco», rispose Aglaïs, fredda. «È Gwynbleidd, lo strigo. Un amico di Brokilon. È qui da due settimane, dalla luna nuova. E passerà ancora qualche tempo prima che possa alzarsi e camminare normalmente. Desidera notizie dal mondo, notizie sulle persone a lui care. Solo tu puoi procurargliele.»
«Notizie dal mondo? Devi essere ammattita, driade! Sai che cosa accade adesso nel mondo, oltre i confini del tuo pacifico bosco? Ad Aedirn c’è la guerra! A Brugge, in Temeria e in Redania regnano il caos, l’inferno, grandi cacce all’uomo! Coloro che hanno fomentato la ribellione su Thanedd vengono inseguiti ovunque! È pieno di spie e di an’givare, spesso basta lasciarsi sfuggire una parola o storcere la bocca al momento sbagliato perché il boia ti trascini in una segreta e ti conci per le feste coi ferri incandescenti! E io dovrei andare a spiare, a fare domande, a raccogliere informazioni? A rischiare la pelle? E per chi? Per uno strigo mezzo morto? Che cos’è per me, un fratello, un mezzano? Ti deve aver dato di volta il cervello, Aglaïs!»
«Se hai intenzione di gridare, andiamo nel bosco. Lui ha bisogno di quiete», la interruppe con calma la driade.
Senza volere, Milva gettò un’occhiata all’entrata della grotta dove un istante prima aveva visto il ferito. Un pezzo d’uomo, pensò istintivamente, un po’ magro, ma tutto muscoli… I capelli bianchi, ma la pancia piatta come un ragazzo, si vede che pensa a lavorare, e non a ingozzarsi di lardo e di birra…«Era a Thanedd», affermò, più che chiedere. «Un ribelle.»
«Non lo so», disse Aglaïs scrollando le spalle. «È ferito. Ha bisogno di aiuto. Il resto non m’interessa.»
Milva ebbe un moto di stizza. La guaritrice era famosa per non essere molto loquace. Ma Milva aveva avuto modo di ascoltare i resoconti concitati delle driadi del confine orientale di Brokilon, era già al corrente degli avvenimenti di due settimane prima. Della maga dai capelli castani apparsa a Brokilon in un lampo di magia, del ferito col braccio e con la gamba rotti che lei aveva portato con sé. Ferito che si era rivelato essere lo strigo noto alle driadi come Gwynbleidd, il Lupo Bianco.
All’inizio, raccontavano le driadi, non si sapeva bene che fare. Lo strigo, tutto insanguinato, gridava e sveniva; Aglaïs gli faceva delle medicazioni provvisorie, la maga imprecava. E piangeva. A quest’ultima cosa Milva non poteva proprio credere: si era mai vista una maga piangere? Più tardi, da Duén Canell era giunto un ordine di Eithné Occhi Argentei, signora di Brokilon. Allontanare la maga, diceva l’ordine della sovrana del Bosco delle Driadi. Curare lo strigo.
E lo stavano curando. Milva l’aveva visto. Era steso nella grotta, in un avvallamento pieno di acqua proveniente dalle magiche sorgenti di Brokilon. Le sue membra, immobilizzate da stecche e tenute in trazione, erano avvolte da uno spesso strato di conynhaela, una pianta officinale rampicante, e da tralci di consolida maggiore purpurea. Aveva i capelli bianchi come latte. Era cosciente, sebbene chi viene curato con la conynhaela di solito giaccia privo di sensi e deliri… la magia parla attraverso di lui…
«Allora?»
La voce impassibile della guaritrice la strappò alle sue riflessioni.
«Che facciamo? Cosa devo dirgli?»
«Che vada al diavolo», ringhiò Milva aggiustandosi la cintura appesantita dalla bisaccia e dal coltello da caccia. «E vacci anche tu, Aglaïs.»
«Come vuoi. Non ti costringo.»
«Brava. Non costringermi.» Andò nel bosco, tra i radi pini, senza guardarsi indietro. Era furiosa.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore polacco rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrzej Sapkowski.
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