Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Branchie di Niccolò Ammaniti, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 11,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Branchie: trama del libro
Protagonista è un ragazzo che fabbrica acquari e studia il comportamento dei pesci. Malato di cancro, si trascina abulico da una festa all’altra al seguito di una fidanzatina, nei quartieri alti di Roma. Finché gli arriva una proposta curiosa: trasferirsi in India e costruire un acquario per una misteriosa signora. L’India di Ammaniti si rivela un continente fragorosamente eccessivo, che sembra nato da una mente eccitata e febbricitante. Succede di tutto: il ragazzo è sequestrato da una banda di arancioni, si unisce a un gruppo di musicisti che vivono sottoterra, viene sedotto da una ragazza che vive in un castello, e scopre che la signora capeggia una banda di delinquenti specializzati in trapianti di organi prelevati ad indiani vivi.
- Per altri dettagli rimandiamo alla scheda completa di Branchie su Amazon.
- Qui potete leggere le recensioni dei lettori su Amazon.
Io no. Io mi perdo. Soprattutto quando bevo.
E stanotte fa un freddo cane e piove. Ho girato un sacco, magari fossi stato una salamandra. Avrei guardato gli astri e messo il naso all’aria e sarei tornato al negozio. Sí, forse avrei dovuto provarci.
Ma a Roma le stelle non si vedono. Una cappa grigio-fosforescente e i casermoni nascondono il cielo; e poi ho il raffreddore.
Devo vomitare.
Ho l’impressione di avere la pancia piena di murene.
Forza. Alzati, allora.
Da un sacco di tempo sono seduto sul cofano di questa macchina e sono tutto bagnato.
Alzati, sei arrivato.
Mi tiro su. Poggio la testa e le mani sulla saracinesca per bloccare il moto vorticoso della strada, dei lampioni e di tutto il resto. Trovo le chiavi in fondo alla tasca del cappotto.
Entro.
Passo attraverso il negozio ormai in disuso; dagli acquari che un tempo servivano ad attirare i clienti proviene un odore di decomposizione. Madonna quanta polvere.
Barcollando oltrepasso un corridoio lungo e scuro e sono finalmente nella tana.
È un enorme stanzone che dà su un giardino interno. Di giorno, i raggi del sole attraversano le grandi vetrate e permettono lo sviluppo di una densa vegetazione. Ci sono vasche di tutte le dimensioni, alcune cosí grandi che si potrebbe nuotarci dentro. Lunghi fili sostengono le lampade. I tubi dell’acqua si intrecciano per terra.
Gli acquari piú grandi riproducono interi ecosistemi regionali. Uno dell’America del Sud con piante dai lunghi steli. Un altro del Sudest asiatico con le ninfee galleggianti. Ci sono poi quello europeo e quello africano.
Entrando sento l’umidità aderire ai vestiti e respirare diventa difficile. Le lampade basse riempiono gli acquari di una luce calda e dimessa. I pesci si muovono pigramente in banchi. Piú su, l’oscurità e un odore forte, dolce. Pioggia e vegetazione. Mi riempie il naso e mi stordisce. I vetri sono appannati dal vapore. Su una parete, sopra un bancone ci sono una ventina di acquari piú piccoli. Lí si trovano gli avannotti, i pesci appena nati.
A lato c’è un divano mezzo sfondato, il frigorifero, una televisione e una brandina.
Mi ci getto su.
Non ce la faccio a spogliarmi. Mi levo le scarpe e basta.
Trovo il telecomando nascosto sotto il cuscino e accendo la tv.
Tengo gli occhi chiusi.
– Allora, come lo ha scoperto? – fa Maurizio Costanzo.
– Forse quando sono rientrata in casa e non c’era piú niente. L’argenteria, i quadri, lo stereo, addirittura la gondola comprata a Venezia, tutto scomparso… – dice una donna.
Spengo ma sento il silenzio. Stasera questo posto mi fa venire i brividi. Le gocce si rompono sugli specchi d’acqua e le rane africane gracidano.
La testa mi gira. Riaccendo la tele.
– … Sono andata da mio figlio che dormiva nella sua stanza, l’ho svegliato e l’ho spogliato. Era nudo e non riuscivo a vedere neanche un buco, niente, tutto il corpo pulito. Poi ho visto che aveva lividi blu tra le dita dei piedi. Gliele ho aperte e c’erano tantissimi piccoli fori di siringa.
– La donna comincia a piangere e diventa sempre piú difficile capire quello che sta dicendo.
– E lei cosa ha provato? – chiede ancora Costanzo.
– In che senso?
Comincio a immaginare di avere degli spilloni lunghi e acuminati infilzati tra le dita dei piedi.
Non male.
Mi giro verso il muro. Ho un sonno terribile e devo vomitare.
Da un paio di mesi ho cominciato a sfondarmi sul serio. Prima me ne stavo a casa.
Non me frega un cazzo, un bar vale l’altro. Ho fatto fuori tutti quelli del mio quartiere poi mi sono spostato, calando come un ragnone sopra quelli del centro. Sto tessendo una tela. I punti in cui la ancoro sono i locali dove vado a bere. Voglio imprigionarla tutta quanta questa cazzo di città.
Vi sembrerà una stronzata ma secondo me la disposizione dei locali non è casuale, ha un senso profondo, una logica nascosta. Qualcuno, non so chi, li ha disposti cosí. Con una strategia che non capisco.
Mi fermo poco. Uno, due bicchieri al massimo, poi riparto. Quando rimango di piú mi prende la frenesia e allora sento la sedia scaldarsi sotto il culo, le gambe che mi spingono fuori, di nuovo in strada, alla ricerca di altri locali.
Anche agli squali prende la frenesia quando mangiano l’uovo sodo. Adorano l’uovo sodo. Piú della carne, piú del sangue. Non capiscono piú niente quando si mangiano un uovo sodo. E mordono tutto quello che hanno intorno.
Il pub «Il vecchio marinaio», lo snack-bar «La perla», le vinerie del centro, presi uno per uno sono pezzi senza importanza. Ma tutti insieme dimostrano che non riesco piú ad abbattermi, a rilassarmi, e che il nero ha superato i livelli di guardia.
Ho un tumore ai polmoni. Non ditelo a nessuno.
Un dolore sordo mi accompagna tutto il giorno, come un cane.
Tranquilli, comunque, ho imparato a conviverci.
È un rumore di fondo, un po’ come i ronzii e le vibrazioni dei frigoriferi consumati.
Smettere di fumare è stata la cosa piú difficile.
Veleno, questo è per me il fumo. Lo ha detto il medico.
Mi sono abituato, prima fumavo una cifra. Un pacchetto al giorno, di quelle forti.
Ora ne faccio a meno. Mi stacco dai piaceri. Foglie secche che cadono dai rami.
Immagino me stesso come una bicicletta superaccessoriata. All’inizio levo gli specchietti e un po’ mi dispiace. Poi levo il cambio, il sellino e tutto il resto fino ad arrivare a un telaio, due ruote e una catena. Quanto basta a definire il concetto di bicicletta.
Non è male perdere pezzi superflui. Mi domando a che cosa non potrei rinunciare, ma non so darmi una risposta.
La rinuncia può essere un piacere.
Un pugno di bisogni fisiologici primari, che cos’altro mi può definire? Bevo. Mangio. Dormo. Piscio. Caco. E basta.
Non parlo granché dei miei problemi. Me li tengo dentro e gli ho trovato un bel posticino, nell’ultimo e piú polveroso cassetto del mio cervello.
Mi faccio scuotere dal male come una vecchia quercia. Lascio che le cellule impazzite facciano il loro lavoro.
Mia madre, qualche settimana fa, mi ha trovato che rantolavo a terra e scatarravo roba verde. Siamo andati dal medico. Mi hanno fatto un sacco di analisi.
– Non è grave, dovrai essere solo piú attento, seguire le cure.
– Quali cure?
– Be’, sicuramente una dieta controllata e un trattamento di chemioterapia…
Come? Chemioterapia? Stiamo scherzando?
Bombardare con la bomba atomica una città di civili inermi per annientare una banda di lestofanti?
E diciamolo, cazzo. Sono spacciato.
Mia madre mi viene a trovare. Mi fa dei regali. L’ultima volta mi ha portato un vassoio di paste. Io odio le paste. Che cosa vuole farmi capire? Forse che è solo questione di tempo, un mese, un anno e poi l’oscurità?
Posso farcela da solo a guardare in faccia il mistero dell’eternità, grazie mamma.
Mi sono letto un paio di libri di medicina e cristo, sono un maledetto malato terminale.
I medici mi volevano fregare. Qual era la differenza se mi sottoponevo alla chemioterapia? Me ne è venuta in mente solo una: muoio un paio di anni dopo senza piú un capello in testa.
Scusatemi, mi sono lasciato andare.
Ma tutti mi si stringono intorno quando invece voglio respirare le ultime boccate in santa pace.
Mi piacerebbe rimanere lucido fino alla fine. Spero tanto di poter vedere le ombre coprirmi piano, lentamente, come un mare di inchiostro nero.
Voglio sentire il cuore riempirsi di paura, lo stomaco rivoltarsi impazzito, la gola chiudersi in un nodo, senza rimedio.
Ma perché questo accada è necessario recidere i cavi che mi tengono attaccato al terreno, non avere esitazioni, liberarmi dalla zavorra. Volare.
E i rapporti sociali e familiari e sentimentali sono piombo.
Mia madre la evito come posso.
Gli amici, mai avuti.
Maria, la mia fidanzata, è forse il peso piú difficile da scrollarsi. Mi inchioda quella ragazza. Non le ho detto nulla. Le ho tenuto tutto nascosto: le visite, le attese degli esami istologici, i pacchi di medicinali.
Ho appuntamento con Maria al centro.
Sto appoggiato al bancone dello «Sputo».
A Maria questo locale piace per via della gente.
Mi guardo in giro mentre bevo una vodka. C’è folla. Intellettuali, baldracche travestite, fighetti si confondono insieme perdendo ogni caratteristica individuale, per trasformarsi in un organismo superiore con tante teste e mille braccia. Per di piú, rumoroso e saputello.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore romano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Niccolò Ammaniti.
Libro bello