Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La briscola in cinque di Marco Malvaldi. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 12,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La briscola in cinque: trama del libro
La rivalsa dei pensionati. Da un cassonetto dell’immondizia in un parcheggio periferico, sporge il cadavere di una ragazza giovanissima. Siamo in un paese della costa intorno a Livorno, l’immaginaria Pineta, “diventata località balneare di moda a tutti gli effetti, e quindi la Pro Loco sta inesorabilmente estinguendo le categorie dei vecchietti rivoltandogli contro l’architettura del paese: dove c’era il bar con le bocce hanno messo un discopub all’aperto, in pineta al posto del parco giochi per i nipoti si è materializzata una palestra da body-building all’aperto, e non si trova più una panchina, solo rastrelliere per le moto”. L’omicidio ha l’ovvio aspetto di un brutto affare tra droga e sesso, anche a causa della licenziosa condotta che teneva la vittima, viziata figlia di buona famiglia. E i sospetti cadono su due amici della ragazzina nel giro delle discoteche. Ma caso vuole che, per amor di maldicenza e per ammazzare il tempo, sul delitto cominci a chiacchierare, discutere, contendere, litigare e infine indagare il gruppo dei vecchietti del BarLume e il suo barista. In realtà è quest’ultimo il vero svogliato investigatore. I pensionati fanno da apparato all’indagine, la discutono, la spogliano, la raffinano, passandola a un comico setaccio di irriverenze. Sicché, sotto all’intrigo giallo, spunta la vita di una provincia ricca, civile, dai modi spicci e dallo spirito iperbolico, che sopravvive testarda alla devastazione del consumismo turistico modellato dalla televisione.
Approfondimenti sul libro
In ebook La briscola in cinque (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Erano le quattro e dieci di mattina, in pieno agosto, e tre ragazzi stavano in piedi accanto a una Micra verde. Avevano bevuto tutti più dello stretto necessario, il proprietario della Micra più degli altri. Altri che ora stavano cercando di convincerlo a non guidare.
– Ti porto a casa io, scusa – diceva il più basso dei tre, che aveva i capelli rasati dappertutto tranne che sulla sommità del cranio, cosa che gli conferiva un aspetto da palma. – Lasci la macchina qui e ti ci porto io.
Il secondo tentava di negare. Era appena uscito di discoteca e oltre all’alcolemia da disoccupato russo aveva la testa tutta piena di lucine che gli rendevano difficile pensare, ma opponeva comunque le sue ragioni:
– Guarda che se mi’ pa’ vede che ho lasciato la macchina e son venuto con te, mi dice Te se’ tornato briào, e mi fa un culo come un granaio. Mica è stupido mi’ pa’.
– Guarda che se ti vede torna’ da te in queste condizioni – insisteva Testa a Palma – fa il culo a teperché sei tornato da solo, e a me perché ’un t’ho accompagnato, primo. Secondo…
– No, no, torno da solo. Tranquillo, ci arrivo.
– Ma te ’un gli dici nulla? – chiese preoccupato Testa a Palma al terzo vertice del triangolo, che quella sera era andato dal parrucchiere e aveva richiesto – con una certa fermezza, si presume – e ottenuto di uscire dal negozio con i capelli biondo polenta, vezzosamente decorati da macchie viola in guisa di leopardo punk. Due occhi vispi come quelli di un bovino e una bocca semiaperta completavano adeguatamente il suo aspetto.
– Se se la sente, cazzi sua… – autorizzò.
– O stupido, ma lo vedi fra dieci metri divide un albero in due?
– Senti, io m’avvio. Se non me la sento ti do una botta col cellulare e mi vieni a prende’ te.
Testa a Palma guardò l’altro con l’aria di chi pensa «allora quando uno è duro è duro», ne ricevette come risposta uno sguardo ancora più vacuo che significava «a me ’un me ne frega nulla, io tra du’ minuti vado a letto».
– Allora vai, ti s’aspetta qui dieci minuti. Se…
– Tranquillo, se non ce la faccio ti chiamo.
Il giovine aveva tentato di parlare chiaro e pulito, meglio che poteva, per dare l’impressione che gli stesse passando. In realtà la testa gli rimbombava ancora, e se la muoveva aveva l’impressione che il mondo lo seguisse con un attimo di ritardo.
Prese un grosso respiro e cercò a tastoni la chiave in tasca, trovandola subito, cosa che gli parve di buon augurio. La guardò un attimo, approvò il suo aspetto con un cenno malcerto della testa e si infilò in macchina. Chiuse lo sportello, girò la chiave e partì tutto sommato senza problemi.
Dopo circa un chilometro, arrivato al parcheggio della pineta, si dovette fermare. Mentre guidava la macchina sembrava di gomma, ondeggiava paurosamente sempre nello stesso verso, senza mai andare nell’altro: era come trovarsi dentro una lavatrice, con la chiusura del cestello che roteava intorno a lui. Swosh, swosh, swosh.
Aprì lo sportello, non senza difficoltà stavolta, e si drizzò in piedi.
– Un po’ d’aria fresca mi farà bene senz’altro.
Si sforzava di parlare pulito anche se era solo, per convincersi che stava quasi bene. E anche per tenersi sveglio, che non era facile.
– Ora però dovrei urinare. Eh sì. Proprio. Già, già. Credo sia necessario.
Mentre svolgeva questo soliloquio, si avvicinò a uno dei cassonetti.
La notte prima era piovuto e la terra del parcheggio era ancora fangosa, nonostante il caldo. Evitando le pozzanghere, giunse al cassonetto e con un breve discorso mentale lo elesse vespasiano imperatore.
Mentre si tirava su la cerniera, dopo circa un secolo, notò che c’era una ragazza nel cassonetto. Pensò anche che era piuttosto bellina. Quasi contemporaneamente, qualcosa gli disse che doveva anche essere morta. Non se ne stupì subito. Anzi, conservando una flemma che solo l’alcol era in grado di conferirgli, cominciò a pensare a voce alta. La scoperta, contrariamente a quanto si legge nei gialli, non aveva contribuito a renderlo più lucido.
– La conosco? No, non mi sembra. Devo avvertire la polizia. Vado in macchina e prendo il cellulare.
Fece, e scoprì che il cellulare era completamente scarico.
– Ma porca vacca, proprio ora? E ora dove vado?
Il giovane si guardò intorno come se qualcuno potesse suggerirgli la risposta.
– Aspetta, aspetta. Ho visto un bar mentre venivo, era aperto. Ora, un bel respiro, su. Devo concentrarmi e smettere di vedere tutto ruotare, perché sennò non ci arrivo.
Prima di montare in macchina, le mani aperte e rivolte davanti a sé, si concentrò per due o tre minuti. Paradossalmente, si sentiva leggero: aveva paura di tornare a casa a quell’ora e in quello stato, e la scoperta del cadavere avrebbe giustificato sia il ritardo sia l’alcolemia, visto che uno che trova un morto ha diritto a qualcosa di forte, no? Ergo, almeno la paura gli era passata.
– Ecco, ora va bene. Tranquillo, segui la striscia bianca e vedrai che arrivi.
Arrivò davvero, dopo un altro minuto da paura, e si diresse verso la porta del bar. Ripigliati, si disse mentalmente prima di entrare. Girò la maniglia della porta a vetri ed entrò. Dietro il bancone, il barista stava lavando e mettendo a posto i bicchieri. Lo guardò con curiosità. Il giovine tentò di darsi un contegno sorridendo, cosa che sottolineò ulteriormente il suo stato, e sempre sorridendo chiese:
– Scusa, ce l’hai il telefono?
– Lì dietro il frigo dei gelati.
Stava per andare a telefonare quando una voce interna lo bloccò. Alzò un dito e chiese:
– Devo mica ordinare qualcosa?
– Non è necessario al funzionamento del telefono – disse il barista.
Raggiunse il telefono, fece il numero e parlò:
– Pronto centotredici? Senta, le volevo dire che ho trovato il cadavere di una ragazza morta in un cassonetto, morta davvero, sono sicuro.
Breve silenzio.
– Ma sì, al parcheggio della pineta dove ci vanno i tedeschi a fare il picnic, però quella ragazza mi sembra italiana, è mora.
Breve silenzio.
– Sì, in un cassonetto. È quello grigio vicino al parcheggio dei camper, quello dove ci vanno i tedeschi. Sì, a fare il picnic.
Breve silenzio.
– Sì, lo so da solo che sono ubriaco, ma guardi che è vero! Ma davv… scusi, ma lei è duro come una pina! È vero…
Silenzio.
Si fermò e guardò un attimo il telefono.
– Hanno riattaccato – comunicò, con tono incredulo e vagamente offeso.
Intanto il barista era uscito da dietro al bancone e lo guardava con un certo stupore misto a severità.
– C’è davvero un cadavere?
– Diobono, sì. È lì al parcheggio della pineta, quello dove…
– Ho capito. Vieni, andiamoci e fammi vedere, poi alla polizia telefono io.
Il barista prese le sigarette dal bancone, ne accese una mentre guardava l’ora, poi uscì seguito dall’altro.
– Dammi le chiavi, guido io.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Marco Malvaldi.
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