Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Buick 8 di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Buick 8: trama del libro
Fa la sua comparsa nel lontano 1979 e continua la sua presenza sorniona in un capannone dietro la stazione di polizia della squadra D. È una macchina, una Buick blu notte, dentro sembra un giocattolo, ma un fatto è certo: dai copertoni sui quali non si posa mai un grammo di polvere, alla carrozzeria che si guarisce da sola, è viva come un animale… uno strano essere animato che a lunghi periodi di letargo alterna brevi, violenti attimi di attività.
Era l’ultimo anno di Ned Wilcox al liceo di Statler. Doveva aver lasciato il football: quando era arrivato il momento di scegliere, aveva preferito la squadra D. Difficile immaginare un ragazzo che decide di fare lavoretti non pagati invece di trascorrere i venerdì sera allo stadio e i sabato sera alle feste, ma è quello che fece. Credo che nessuno di noi gli avesse parlato della sua decisione, ma lo rispettavamo per averla presa. Aveva stabilito che era giunto il momento di accantonare le ragazzate, tutto qui. Gli adulti sono spesso incapaci di prendere decisioni simili; Ned lo fece a un’età in cui non poteva ancora comprare alcolici. O sigarette, se è per questo. Suo padre ne sarebbe stato fiero. Ne sono certo.
Con tutto il tempo che il ragazzo passava da noi, immagino fosse inevitabile che vedesse che cosa c’era nel capannone B, e che chiedesse a qualcuno che cos’era e che cosa ci faceva lì. Probabile che quel qualcuno fossi io, perché ero stato l’amico più caro di suo padre. L’amico più caro ancora poliziotto, quantomeno. Forse volevo che succedesse. O la va o la spacca, dicevano i veterani. Che il gatto curiosone abbia moltasoddisfazione.
Quello che era accaduto a Curtis Wilcox era semplice. Un ubriacone recidivo della nostra contea, uno che Curt conosceva bene e che aveva arrestato sette, otto volte, gli tolse la vita. L’ubriacone, Bradley Roach, non voleva fare del male a nessuno, come quasi tutti gli ubriachi. Questo non ti impedisce, naturalmente, di desiderare di prenderli a calci in culo fino a Rocksburg.
Verso la fine di un caldo pomeriggio del luglio 2001, Curtis fermò uno di quei grossi autoarticolati a sedici ruote, un bestione che aveva abbandonato l’autostrada, stufo di Burger King o Taco Bell e desideroso di cucina casalinga. Curt era fermo sul piazzale asfaltato della vecchia stazione di servizio Jenny, all’incrocio fra la Pennsylvania State Road 32 e Humboldt Road – lo stesso posto, in altre parole, in cui molti anni prima quella dannata vecchia Buick Roadmaster aveva fatto la sua comparsa nel nostro angolo di universo conosciuto. Potete chiamarla coincidenza, se volete, ma io sono un poliziotto e non credo alle coincidenze, ma soltanto alle catene di eventi che si allungano e diventano sempre più fragili finché non vengono spezzate dalla sfortuna o dalla pura e semplice malvagità umana.
Il padre di Ned aveva fermato quel camion perché aveva notato una gomma difettosa. Quando il veicolo gli era passato davanti, aveva visto il brandello che vorticava da uno dei pneumatici posteriori come una grossa girandola nera. Molti camionisti indipendenti usano pneumatici ricoperti, con il prezzo del gasolio così alto ci sono praticamente costretti, e a volte il battistrada si stacca. Le autostrade sono sempre piene di grumi e riccioli di gomma, lasciati sulla carreggiata o spinti sulla corsia di emergenza come mute di giganteschi serpenti neri preistorici. È pericoloso trovarsi dietro a una gomma difettosa, specialmente su una strada a due corsie come la SR 32, un tratto piacevole, ma trascurato, di Interstate compreso fra Rocksburg e Statler. Curt di certo voleva che il camionista la facesse riparare prima che il battistrada esplodesse in faccia a qualche altro ignaro guidatore. Un frammento abbastanza grosso sarebbe stato in grado di sfondare il parabrezza di un’auto. E anche se ciò non fosse avvenuto, avrebbe potuto spaventare il conducente facendolo finire nel fosso, o contro un albero, o nel torrente Redfern, che accompagna la 32 curva dopo curva per quasi dieci chilometri.
Curt accese il lampeggiatore, e il camionista accostò, da bravo ragazzo. Curt si fermò dietro di lui, informò il centralino della sua posizione e della natura del suo intervento e aspettò che Shirley rispondesse. Fatto questo, scese dall’auto e s’incamminò verso il camion.
Se fosse andato direttamente fino alla portiera da cui il camionista si stava sporgendo verso di lui, forse oggi sarebbe ancora sul pianeta Terra. Invece si fermò a esaminare il lembo di battistrada che sbatacchiava dal copertone posteriore esterno, e gli diede perfino un bello strattone per vedere se riusciva a staccarlo. Il camionista vide ogni cosa, e testimoniò al processo. Curt che si fermava davanti alla ruota fu il penultimo anello della catena di eventi che avrebbe avvicinato suo figlio alla squadra D e l’avrebbe reso parte di quello che siamo. L’ultimo anello, direi, fu Bradley Roach che si chinava a prendere un’altra birretta dal pavimento della sua vecchia Buick Regal (non la Buick, ma sì, un’altra Buick: è strano come, quando ripensi ai disastri e alle storie d’amore, le cose sembrino allinearsi come pianeti sulla carta di un astrologo). Meno di un minuto dopo, a Ned Wilcox e alle sue sorelle veniva a mancare un padre e a Michelle Wilcox un marito.
Non molto dopo il funerale, il figlio di Curt cominciò a farsi vedere alla stazione della squadra D. Quell’autunno rientravo dal turno dalle tre alle undici (o magari passavo a dare una controllata; quando sei il caporione è difficile starsene alla larga) e mi capitava di scorgerlo prima ancora di vedere chiunque altro. Mentre i suoi amici erano al campo sportivo Floyd B. Clouse a studiare le varie tattiche, a placcare i manichini e a scambiarsi dei gran «cinque», Ned era da solo sul prato davanti alla stazione, imbacuccato nel suo giubbotto verde e oro del liceo, tutto preso a formare grossi mucchi di foglie secche. Mi rivolgeva un saluto e io lo ricambiavo: ciao anche a te, ragazzo. Qualche volta, dopo aver parcheggiato, andavo sul davanti e facevo due chiacchiere con lui. Magari mi raccontava le ultime marachelle delle sue sorelline, e ne rideva, ma anche mentre le prendeva in giro dimostrava tutto il suo amore per loro. Altre volte mi limitavo a entrare dal retro e chiedevo a Shirley che cosa c’era di nuovo. Le forze dell’ordine della Pennsylvania occidentale sarebbero crollate senza Shirley Pasternak, potete starne certi.
Con l’arrivo dell’inverno, Ned lo si poteva trovare nel parcheggio sul retro, dove gli agenti tengono i loro veicoli privati, impegnato a spazzare la neve. Ci sono due responsabili della manutenzione del nostro parcheggio, i fratelli Dadier, dei furbacchioni locali, ma la stazione della squadra D si trova nel territorio amish ai confini delle Short Hills, e quando arriva una bufera il vento forma nuovi cumuli nel piazzale non appena lo spazzaneve si allontana. Quei cumuli mi ricordano sempre un’enorme, bianca cassa toracica. Ma Ned vi sapeva tener testa. Usciva anche se c’erano quindici gradi sotto zero e il vento infuriava dalle colline, vestito con una tuta da neve con sopra il suo giubbotto verde e oro, un paio di guanti di ordinanza imbottiti di pelle e un passamontagna calato sul volto. Io lo salutavo con un cenno. Lui ricambiava, poi riprendeva ad aspirare i cumuli di neve con la macchina. Più tardi magari veniva dentro a bere un caffè, o una tazza di cioccolata calda. Gli uomini gli si avvicinavano e gli parlavano, chiedendogli come andava la scuola, domandandogli se stava tenendo in riga le gemelle (le sue sorelle avevano dieci anni nell’inverno del 2001, credo). Gli chiedevano se sua madre aveva bisogno di qualcosa. A volte fra questi c’ero anch’io, se nessuno stava alzando troppo la voce o se non c’erano troppe scartoffie da esaminare. Non si parlava mai di suo padre, ma si parlava sempre di suo padre. Voi mi capite.
Rastrellare le foglie e impedire che i cumuli di neve si impadronissero del piazzale era in realtà compito di Arky Arkanian. Arky era il custode. Ma era anche uno di noi, e non si arrabbiava mai né si metteva sulla difensiva riguardo al suo lavoro. Diamine, quando si trattava di disperdere i cumuli di neve scommetto che si inginocchiava e ringraziava Dio per avergli mandato il ragazzo. Doveva avere sessant’anni a quei tempi, e per lui i giorni di gloria del football erano ormai molto lontani. Altrettanto lontani erano i tempi in cui era in grado di passare un’ora e mezzo all’aria aperta con dodici gradi sotto zero (trenta, se tenevi conto del fattore vento) quasi senza accorgersene.
Poi il ragazzo cominciò a stare con Shirley, tecnicamente «l’addetto alle comunicazioni Pasternak». All’arrivo della primavera, Ned passava sempre più tempo assieme a lei nel piccolo cubicolo del centralino con i telefoni, il TDD (il congegno telefonico per i sordi), la Tabella Localizzazione Agenti (altrimenti nota come mappa D) e il quadro di comando, che è il cuore pulsante di quel piccolo mondo ad alta pressione. Lei gli mostrava la batteria di telefoni (il più importante è quello rosso, la nostra linea di pronto intervento). Gli spiegava che il dispositivo per rintracciare le chiamate doveva essere controllato ogni settimana, e come si faceva, e che ogni giorno dovevi confermare il registro di servizio per sapere chi era di pattuglia nelle strade di Statler, di Lassburg e di Pogus City, chi doveva presentarsi in tribunale e chi era a riposo.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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