Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il cacciatore del buio di Donato Carrisi. Il romanzo è pubblicato in Italia da TEA con un prezzo di copertina di 5,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è disponibile in eBook al prezzo di euro 9,99.
Il cacciatore del buio: trama del libro
«Se non sarà fermato, non si fermerà». Non esistono indizi, ma segni. Non esistono crimini, solo anomalie. E ogni morte è l’inizio di un racconto. Questo è il romanzo di un uomo che non ha più niente – non ha identità, non ha memoria, non ha amore né odio – se non la propria rabbia… E un talento segreto. Perché Marcus è l’ultimo dei penitenzieri: è un prete che ha la capacità di scovare le anomalie e di intravedere i fili che intessono la trama di ogni omicidio. Ma questa trama rischia di essere impossibile da ricostruire, anche per lui. Questo è il romanzo di una donna che sta cercando di ricostruire se stessa. Anche Sandra lavora sulle scene del crimine, ma diversamente da Marcus non si deve nascondere, se non dietro l’obiettivo della sua macchina fotografica. Perché Sandra è una fotorilevatrice della polizia: il suo talento è fotografare il nulla, per renderlo visibile. Ma stavolta il nulla rischia di inghiottirla. Questo è il romanzo di una follia omicida che risponde a un disegno, terribile eppure seducente. E ogni volta che Marcus e Sandra pensano di aver afferrato un lembo della verità, scoprono uno scenario ancora più inquietante e minaccioso. Questo è il romanzo che leggerete combattendo la stessa lotta di Marcus, scontrandovi con gli stessi enigmi che attanagliano Sandra, vivendo delle stesse speranze e delle stesse paure fino all’ultima riga.
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Lo stesso era accaduto a lui. Era nato una seconda volta, ma prima era dovuto morire. Il prezzo era stato dimenticare chi fosse.
Io non esisto, continuava a ripetersi, perché era l’unica verità che conoscesse.
Il proiettile che gli aveva perforato la tempia si era portato via il passato e, con esso, la sua identità. Invece non aveva intaccato la memoria generale e i centri del linguaggio, e – stranamente – parlava varie lingue.
Quel singolare talento per gli idiomi era l’unica cosa certa di sé.
Mentre, a Praga, attendeva in un letto di ospedale di scoprire chi era, una notte si era svegliato e al suo capezzale aveva trovato un uomo dall’aspetto mite, con i capelli neri pettinati con la riga da una parte e il volto di un ragazzino. Gli aveva sorriso, pronunciando solo una frase.
«Io so chi sei.»
Quelle parole avrebbero dovuto liberarlo, invece erano state solo il preludio a un nuovo mistero, perché, a quel punto, l’uomo vestito di scuro gli aveva messo davanti due buste sigillate.
In una, gli aveva spiegato, erano custoditi un assegno al portatore di ventimila euro e un passaporto con un nome inventato a cui mancava solo la fotografia.
Nell’altra c’era la verità.
L’uomo gli aveva accordato tutto il tempo che voleva per decidere. Perché non sempre è un bene conoscere tutto di se stessi e, anzi, a lui era stata concessa una seconda opportunità.
«Pensaci bene» gli aveva consigliato. «Quanti uomini desidererebbero essere nella tua condizione? Quanti vorrebbero che un’amnesia cancellasse per sempre ogni errore o fallimento o dolore del passato per ricominciare da capo, ovunque desiderino? Se sceglierai questa via, getta l’altra busta senza nemmeno aprirla, dammi retta.»
Per agevolare la decisione, gli aveva rivelato che là fuori nessuno lo stava cercando né aspettando. Perché non aveva né affetti né famiglia.
Poi era andato via, portandosi appresso i suoi segreti.
Lui, invece, era rimasto a osservare le due buste per il resto della notte e anche i giorni a venire. Qualcosa gli diceva che quell’uomo, in fondo, sapeva già cosa avrebbe scelto.
Il problema era che lui non lo sapeva.
L’idea che il contenuto della seconda busta potesse non piacergli era implicita in quella strana proposta. «Non so chi sono» si ripeteva, ma aveva compreso presto di conoscere bene una parte di sé: quella che non avrebbe potuto trascorrere il resto della vita con quel dubbio.
Perciò, la sera prima che lo dimettessero dall’ospedale, si era disfatto della busta con l’assegno e il passaporto con l’identità fittizia – perché non ci fossero ripensamenti. Poi aveva aperto il plico che avrebbe dovuto svelargli tutto.
Conteneva un biglietto ferroviario per Roma, qualche soldo e l’indirizzo di una chiesa.
San Luigi dei Francesi.
Aveva impiegato un giorno intero per giungere a destinazione. Si era messo a sedere in uno dei banchi in fondo alla navata centrale di quel capolavoro – sintesi perfetta fra Rinascimento e Barocco – ed era rimasto lì per ore. I turisti che affollavano il luogo di culto, distratti dall’arte, non si curavano della sua presenza. E anche lui aveva scoperto lo stupore di trovarsi circondato da tanta bellezza. Fra le inedite conoscenze di cui si nutriva la sua vergine memoria, quelle che riguardavano le opere che aveva intorno non le avrebbe dimenticate facilmente, ne era sicuro.
Ma non sapeva ancora quanto c’entrasse con lui.
Quando, a tarda sera, le comitive di visitatori avevano cominciato a defluire dalla chiesa, incalzate da un imminente temporale, si era nascosto in uno dei confessionali. Non avrebbe saputo dove altro andare.
I portoni erano stati sbarrati, le luci si erano spente, solo le candele votive rischiaravano l’ambiente. Fuori, la pioggia aveva iniziato a cadere. Il brontolio delle nubi faceva vibrare l’aria all’interno della chiesa.
E allora era apparsa una voce, riecheggiando. «Vieni a vedere, Marcus.»
Era così che si chiamava. Sentir pronunciare il suo nome non gli aveva fatto l’effetto sperato. Era un suono come un altro, nessuna familiarità.
Marcus era uscito dal nascondiglio e si era messo in cerca dell’uomo che aveva incontrato una sola volta, a Praga. Lo aveva scorto al di là di una colonna: in piedi, di fronte a una cappella laterale. Era di spalle e non si muoveva.
«Chi sono?»
L’uomo non aveva risposto. Continuava a guardare davanti a sé: sulle pareti della piccola cappella c’erano tre grandi quadri.
«Caravaggio realizzò questi dipinti fra il 1599 e il 1602. La Vocazione, l’Ispirazione e il Martirio di san Matteo. Il mio preferito è proprio quest’ultimo» e aveva indicato quello a destra. Poi si era rivolto a Marcus: «Secondo la tradizione cristiana, san Matteo, apostolo ed evangelista, fu assassinato».
Nel quadro, il santo era riverso per terra mentre il suo omicida brandiva contro di lui una lama, pronto a colpirlo a morte. Intorno, i presenti scappavano inorriditi da ciò che stava per accadere, facendo spazio al male che si sarebbe consumato di lì a poco. Matteo, invece di sottrarsi al proprio destino, allargava le braccia in attesa del fendente che gli avrebbe donato il martirio e, con esso, la santità eterna.
«Caravaggio era un dissoluto, frequentava la parte più marcia e corrotta di Roma e spesso, per realizzare le proprie opere, prendeva spunto da ciò che vedeva per strada. In questo caso, la violenza. Perciò, prova a immaginare che non ci sia niente di sacro o di salvifico in questa scena, prova a raffigurartela con persone comuni… Adesso cosa vedi?»
Marcus ci aveva pensato un momento. «Un omicidio.»
L’altro aveva annuito, piano, e poi aveva detto: «Qualcuno ti ha sparato alla testa in una camera d’albergo, a Praga».
Il suono della pioggia si era fatto più intenso, favorito dall’eco della chiesa. Marcus pensava che l’uomo gli avesse mostrato il dipinto con uno scopo preciso. Indurlo a domandarsi chi avrebbe potuto essere lui stesso in quella scena. La vittima o il carnefice?
«Gli altri in questo quadro vedono la salvezza, ma io riesco a scorgere solo il male» aveva detto Marcus. «Perché?»
Mentre un fulmine rischiarava le vetrate, l’uomo sorrideva. «Mi chiamo Clemente. Noi siamo preti.»
La rivelazione aveva scosso Marcus nel profondo.
«Una parte di te, che hai dimenticato, riesce a scorgere i segni del male. Le anomalie.»
Marcus non poteva credere di possedere un simile talento.
A quel punto, Clemente gli aveva posato una mano sulla spalla. «C’è un luogo in cui il mondo della luce incontra quello delle tenebre. È lì che avviene ogni cosa: nella terra delle ombre, dove tutto è rarefatto, confuso, incerto. Tu eri un guardiano posto a difesa di quel confine. Perché ogni tanto qualcosa riesce a passare. Il tuo compito era ricacciarlo indietro.»
Il prete aveva lasciato che il suono di quella frase si sciogliesse nel fragore del temporale.
«Molto tempo fa hai pronunciato un giuramento: nessuno dovrà sapere della tua esistenza. Mai. Potrai dire chi sei solo nel tempo che intercorre fra il lampo e il tuono.»
Nel tempo che intercorre tra il lampo e il tuono…
«Chi sono io?» Marcus si sforzava di capire.
«L’ultimo rappresentante di un ordine sacro. Un penitenziere. Tu hai dimenticato il mondo, ma anche il mondo si è dimenticato di voi. Però, una volta, la gente vi chiamava cacciatori del buio.»
La Città del Vaticano è lo Stato sovrano più piccolo del mondo.
Appena mezzo chilometro quadrato nel pieno centro di Roma. Si sviluppa alle spalle della basilica di San Pietro. I suoi confini sono protetti da una poderosa cinta muraria.
Un tempo l’intera Città Eterna apparteneva al papa. Ma da quando Roma era stata annessa al neonato Regno d’Italia, nel 1870, il pontefice si era ritirato all’interno di quella piccola enclave dove avrebbe potuto continuare a esercitare il suo potere.
In quanto Stato autonomo, il Vaticano ha un territorio, un popolo e organi di governo. I suoi cittadini si dividono fra ecclesiastici e laici, a seconda che abbiano preso o meno i voti. Alcuni abitano all’interno delle mura, altri al di fuori, in territorio italiano, e ogni giorno fanno la spola per raggiungere il posto di lavoro o uno dei tanti uffici e dicasteri, attraversando una delle cinque «porte» da cui si può accedere.
All’interno della cinta ci sono infrastrutture e servizi. Un supermercato, un ufficio postale, un piccolo ospedale, una farmacia, un tribunale che giudica sulla base del diritto canonico e una piccola centrale elettrica. Anche un eliporto e perfino una stazione ferroviaria, ma a uso esclusivo degli spostamenti del pontefice.
La lingua ufficiale è il latino.
Oltre che dalla basilica, dalla residenza papale e dai palazzi del governo, l’area della piccola città è occupata dai vastissimi giardini e dai musei vaticani, visitati ogni giorno da migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo, che concludono il loro tour ammirando con il naso all’insù la meravigliosa volta della Cappella Sistina con l’affresco del Giudizio universale di Michelangelo.
Fu proprio lì che ebbe inizio l’emergenza.
Verso le sedici, due ore prima della chiusura ufficiale dei musei, i custodi cominciarono gentilmente a far defluire i visitatori senza fornire alcuna spiegazione. Nello stesso momento, nel resto del piccolo Stato, il personale laico fu pregato di raggiungere le proprie abitazioni, fuori o dentro le mura. Quelli che risiedevano all’interno non avrebbero potuto allontanarsi da casa fino a nuove disposizioni. La raccomandazione riguardava anche i religiosi, che infatti vennero invitati a rientrare nelle residenze private o a ritirarsi nei vari conventi interni.
Le guardie svizzere, il corpo di soldati mercenari del papa i cui membri erano reclutati dal 1506 esclusivamente nei cantoni svizzeri cattolici, ricevettero l’ordine di serrare tutti gli ingressi alla città, iniziando da quello principale di Sant’Anna. Le linee telefoniche dirette furono interrotte e fu inibito il segnale dei cellulari.
Alle diciotto di quel freddo giorno d’inverno, la cittadella era completamente isolata dal resto del mondo. Nessuno poteva entrare, uscire o comunicare con l’esterno.
Nessuno tranne i due individui che percorrevano il cortile di San Damaso e la loggia di Raffaello, al buio.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore e regista pugliese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Donato Carrisi.