Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Canone inverso di Paolo Maurensig. Il romanzo è pubblicato in Italia da Mondadori con un prezzo di copertina di 9,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Canone inverso: trama del libro
Il “canone inverso” è nel linguaggio tecnico musicale, una forma di fuga molto più complessa, perché non è basata sulla ripetizione dello stesso tema. A Vienna per la stagione concertistica, il narratore della storia incontra un suonatore ambulante in una taverna di Grinzing. Un po’ per scherzo, un po’ per scherno, gli chiede un pezzo difficilissimo: una ciaccona di Bach. L’ambulante la esegue alla perfezione, stende il cappello e riceve una ricca mancia dallo stupito ascoltatore. Il giorno dopo lo scrittore incontra di nuovo il singolare musicista che gli rivolge una domanda: ha mai raccontato una storia ambientata nel mondo della musica? Lui ne conosce una forte e misteriosa: una storia terribile. In seguito a quali disavventure un artista eccelso si è ridotto a trascinare per bettole e osterie un talento che avrebbe potuto aprirgli i palcoscenici dei teatri più celebri del mondo? Qual è la forza terribile che è entrata nella sua vita? Maurensig costruisce un’avventura in cui le sorprese, i trasalimenti, i colpi di scena non sono puri espedienti narrativi, ma simboli drammatici dello scontro tra le inquietudini, la delicatezza delle anime individuali e la ferocia della storia di questo secolo.
Approfondimenti sul libro
In ebook Canone inverso (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Lo strumento mi venne recapitato la mattina dopo all’albergo Dorchester, dov’ero alloggiato. Sulla scheda informativa, come ultimo proprietario figurava il nome di un istituto psichiatrico di Vienna che conoscevo bene.
Quel giorno approntai un preciso, meticoloso rituale. Per prima cosa ordinai il pranzo in camera, dopodiché, congedato il cameriere, chiusi la porta a chiave, scartai il pacco, tolsi lo strumento dall’imballo di cartone, e lo appoggiai ritto su una bassa poltrona di raso che avevo già collocato al centro della stanza. Scostai le tende, cambiai più volte di posto la poltrona per trovare la giusta luce, e infine sedetti a tavola. Già pregustavo un pomeriggio delizioso: l’incontro, la segretezza, gli sguardi, l’aspettativa; mi stavo comportando proprio come al mio primo rendez-vous con una bella donna. Il paragone difettava solo nel fatto che l’oggetto dei miei desideri aveva più di trecento anni. Ma per il resto c’era tutto: la passione, la gelosia, l’insaziabilità, uniti alla paura sempre incombente della perdita.
Mi apprestavo, dunque, a consumare il mio pasto in tutta calma, appagando nel contempo la vista. Solo alla fine del pranzo avrei osservato l’acquisto un po’ più da vicino. L’avrei dapprima soppesato a lungo, esaminandolo con una lente d’ingrandimento in ogni particolare, fino all’interno, per quanto mi era possibile, attraverso una delle sinuose fessure a forma di effe che lasciavano intravedere, incollata sul fondo, un’etichetta sbiadita e quasi illeggibile. Avrei sostituito, con una muta di corde nuove, le due sole rimaste che, consumate com’erano, si trovavano al limite di rottura. E finalmente ne avrei sentito la voce.
Lo strumento era in buone condizioni. Forse non era stato trattato con molta cura, ma di sicuro non necessitava di delicati interventi di liuteria, se non per qualche minuscola scheggiatura e per la vernice scomparsa in varie parti, e in un punto soprattutto, sul fondo, dove s’intravedeva il nudo legno: evidentemente il violino era stato sempre adoperato senza spalliera.
Un particolare notevole era costituito da una testina antropomorfa intagliata sul cavigliere al posto della chiocciola tradizionale. Particolare insolito per un violino, perché normalmente queste minuscole sculture lignee si ritrovano sulle viole e sugli strumenti più grandi, rappresentano per lo più teste leonine o volti grotteschi, e hanno un significato più scaramantico che ornamentale. Questa invece riproduceva molto finemente il volto di un uomo, si sarebbe detto un mammelucco, dai lunghi baffi spioventi, l’espressione feroce, e la bocca spalancata come in un urlo di dolore o di maledizione. Avevo sempre pensato che quello era l’ultimo violino di Stainer. In quel volto egli aveva forse voluto ritrarre la furia della pazzia che si approssimava e che l’avrebbe portato alla morte.
Mi ero appena seduto a tavola quando squillò il telefono. Dalla reception mi annunciavano la visita di una persona che veniva direttamente da Christie’s. Pensai si trattasse di qualche altra formalità relativa all’acquisto, ma l’uomo che lasciai entrare qualche minuto dopo non aveva l’aria di essere un impiegato.
Sembrava agitato. Mi chiese se ero io la persona che il giorno prima aveva acquistato un violino da Christie’s. Alla sua domanda così diretta temei di trovarmi di fronte un funzionario di polizia venuto, chissà, forse per notificarmi che nell’acquisto c’era qualcosa di irregolare. Infatti accade a volte, seppure raramente, che qualche oggetto messo all’asta risulti rubato, smarrito o anche solo non legittimato alla vendita. E ciò rende nulla la contrattazione. Fui preso da una forte inquietudine. Già mi vedevo nell’atto di dover restituire il mio prezioso violino. Ma l’uomo, del quale avevo già scordato il nome con cui si era presentato, non era un rappresentante della legge. L’acquisto era del tutto regolare. Me lo confermò lui stesso non appena si fu accorto del mio turbamento. Aveva già notato il violino in bella mostra sulla poltrona e, resosi conto d’aver interrotto con quell’intrusione il mio cerimoniale, volle riparare in qualche modo: mi disse che ero stato fortunato a non trovare contendenti, pagando per quello strumento il solo prezzo della stima iniziale. Aggiunse che, sebbene informato del bando, per una serie di malaugurate circostanze era arrivato troppo tardi all’appuntamento nelle sale di King Street, in St. James’s. Mentre parlava non riusciva a staccare lo sguardo dal violino, si muoveva avanti e indietro come se volesse osservarlo sotto ogni punto di luce. Non osava tuttavia avvicinarsi troppo, anche se intuivo che il suo desiderio era proprio quello di esaminarlo attentamente.
Cercavo di mantenermi saldo nella convinzione che lo sconosciuto non rappresentasse alcuna minaccia per il mio prezioso strumento. Ma non ero tranquillo. Continuavo a interrogarmi sul motivo di quella visita. A giudicare dal suo comportamento, avrei detto che era un collezionista, un amatore di strumenti antichi, il quale, battuto sul tempo, era venuto a congratularsi con chi era stato più fortunato di lui, e a dare forse un ultimo addio a quel pezzo prezioso che si era lasciato sfuggire. A meno che…
E quel che temevo accadde quasi subito. Fattosi improvvisamente nervoso, quasi stesse per propormi qualcosa di poco pulito, l’uomo mi chiese se sarei stato disposto a cedergli il violino per il doppio, anzi per il triplo della cifra che avevo pagato. Fissassi io il prezzo, disse, quasi travolto dalla sua stessa improntitudine. Infine, come esaurito da quello sfogo, mi chiese il permesso di sedere e si lasciò cadere su una poltrona.
«Questa è la prova che non ho sognato…» mi sembrò di sentirgli dire sottovoce, ma evidentemente non era a me che si rivolgeva. Né io cercai di scoprire che cosa intendesse con quelle parole. Restammo immersi in un silenzio che sembrava senza via di uscita. Io non mi sentivo di chiedergli nulla, né lui sembrava disposto ad aprir bocca. Gli versai un bicchiere di vino che non rifiutò, ma che tenne in mano per lungo tempo senza mai portarlo alle labbra. Sembrava essersi calmato, o meglio, rassegnato. A un certo punto si alzò, posò il bicchiere e, avviandosi verso la porta, si scusava per l’inopportuna intrusione e per la richiesta impossibile. Si rendeva conto, mi disse, della propria ingenuità. L’offerta di ricomprarmi il violino a un prezzo triplicato era oltre tutto fuori dalla realtà, non potendosi egli permettere di sborsare una somma simile. E comunque era certo che, anche se avesse potuto disporne, io non avrei mai ceduto alle sue richieste. Si diceva dunque molto dispiaciuto di avermi messo a disagio, e di avermi rovinato la colazione.
Mi sentii sollevato. Ma solo per un momento. Questa sua inaspettata decisione di andarsene senza dirmi chi era e perché s’interessava tanto a quel violino, mi indispettì.
«Non pensa di dovermi una spiegazione?» gli chiesi un attimo prima che aprisse la porta. L’uomo si arrestò e tornò sui suoi passi, scuotendo la testa.
«Non sono un collezionista deluso,» spiegò «come il mio comportamento lascerebbe supporre. E non sono neppure un violinista» aggiunse. «Sono solo un dilettante, un appassionato. Posseggo, è vero, alcuni strumenti, ma la mia non può dirsi una collezione. Ho a casa un paio di violini del Mittenwald, appartenuti a mio nonno, e un violoncello moderno sul quale a volte mi esercito, ma per puro diletto personale.»
«Mi sembrava un intenditore» dissi.
«Quel poco che so sui violini l’ho appreso da un mio amico che fa il liutaio.»
«E perché mai s’interessa a questo violino?»
«Sono uno scrittore, e questo strumento è legato a una storia. A una storia terribile a cui però vorrei mettere la parola fine. Ed è anche la prova che la persona che me l’ha raccontata è realmente esistita, sebbene questo non spieghi ancora tutto.»
«Realmente esistita? Che cosa intende dire?» Cominciavo a temere di trovarmi di fronte a uno squilibrato.
A quest’ultima domanda l’uomo attraversò la stanza a grandi passi e afferrò con sicurezza il violino. Era un gesto che non mi aspettavo e che mi spaventò. Lo portò accanto alla finestra per osservarlo meglio. «Lei permette, vero?» Dentro di me tremavo. In quel momento avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Infilare la porta e fuggire con lo strumento, o, anche peggio, frantumarlo contro la parete, o ancora, visto che la finestra era socchiusa, lanciarlo fuori, sull’affollata Park Lane. Per mia fortuna non fece nulla di tutto questo, e quando mi restituì il violino non potei fare a meno di provare un senso di benessere, di allegrezza quasi.
«Che cosa intendeva dire con quel realmente esistita?» gli chiesi per la seconda volta.
L’uomo pensò a lungo prima di rispondere. «Intendevo dire un essere vivente, in carne e ossa.»
Mi guardò come per studiare le mie reazioni. «Non vorrei essere preso per pazzo. Io ho conosciuto il proprietario di questo violino, e poi in seguito ho dubitato della sua esistenza. Finché non mi è capitato per puro caso di sfogliare il catalogo di Christie’s. Per questo mi premeva avere quest’unica prova. Ma forse dovrei raccontarle tutto dall’inizio.»
Io sedetti in poltrona, invitandolo a fare altrettanto, e a raccontare. Lo sconosciuto esitò un attimo, poi cominciò a parlare.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore italiano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paolo Maurensig.
Lascia un commento