Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La canzone di Susannah di Stephen King, sesto capitolo della saga della Torre Nera, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 13,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
La canzone di Susannah: trama del libro
La fine della Torre Nera è sempre più vicina. Solo due Vettori sono rimasti a sorreggerla, e quando crolleranno il perno dell’universo salterà e la realtà sarà sommersa dalle tenebre. Roland Deschain, l’ultimo cavaliere, e la sua banda combattono valorosamente l’avanzata del male, ma ora il gruppo non è più compatto. Il demone-femmina che si è impadronito del corpo di Susannah, la moglie di Eddie, ha usato la sfera del buio per trasportarsi dal Medio-Mondo nella New York del 1999: proprio qui, in un punto preciso di Manhattan, dovrà partorire la creatura concepita per distruggere la Torre. Sulle sue tracce si precipitano il piccolo Jake, Oy, il “bimbolo” parlante, e Père Callaban, per impedire che la donna arrivi all’appuntamento fatale.
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Nessuno rispose alla domanda di Roland. Così la pose di nuovo, questa volta volgendo lo sguardo in fondo al soggiorno della canonica, dove Henchick dei Manni sedeva con Cantab, che aveva sposato una delle sue numerose nipoti. I due uomini si tenevano per mano, secondo l’usanza della loro comunità. Quel giorno il vecchio aveva perso una nipote, ma se provava cordoglio, nella compostezza del suo volto di pietra non lo si leggeva.
Accanto a Roland, senza tenere per mano nessuno, silenzioso e pallidissimo, sedeva Eddie Dean. Di fianco a lui, a gambe incrociate sul pavimento, c’era Jake Chambers. Si era sistemato Oy in grembo, una cosa che Roland non aveva mai visto prima e non avrebbe pensato che il bimbolo gli avrebbe consentito. Eddie e Jake erano entrambi sporchi di sangue. Quello che macchiava la camicia di Jake apparteneva al suo amico Benny Slightman. E quello addosso a Eddie era di Margaret Eisenhart, colei che era stata Margaret di Redpath, la nipote defunta del vecchio patriarca. Roland vedeva in Eddie e Jake una stanchezza pari alla sua, ma era più che sicuro che li attendeva una notte senza riposo. Lontano, al villaggio, i botti dei fuochi artificiali facevano da sottofondo a canti e festeggiamenti.
Niente festa in canonica. Benny e Margaret erano morti e Susannah era scomparsa.
«Henchick, dimmelo, io prego: per quanto durerà la magia?»
Il vecchio si accarezzò distrattamente la barba. «Pistolero… Roland… non te lo so dire. La magia della porta in quella grotta mi elude. Come tu non puoi non sapere.»
«Dimmi che cosa pensi. Basandoti su quello che sai.»
Eddie alzò le mani. Erano sporche, aveva del sangue sotto le unghie, e tremavano. «Parla, Henchick», disse in un tono di voce umile e dimesso che Roland non gli aveva mai sentito. «Parla, io prego.»
Rosalita, la tuttofare di Père Callahan, entrò con un vassoio. Portava tazze e una caraffa di caffè fumante. Lei almeno aveva trovato il tempo per togliersi i jeans e la camicia sporchi di polvere e inzaccherati di sangue e indossare una veste da casa, ma i suoi occhi erano ancora stralunati. Sbirciavano dal suo viso come animaletti dalle loro tane. Versò il caffè e distribuì le tazze senza parlare. E non aveva eliminato tutto il sangue, notò Roland mentre riceveva la sua. Gliene era rimasta una striscia sul dorso della mano destra. Di Margaret o di Benny? Chissà. Importava poco. I Lupi erano stati sconfitti. Forse non sarebbero più tornati a Calla Bryn Sturgis, o forse sì. Era cosa di competenza del ka. A loro competeva invece Susannah Dean, che era scomparsa dopo la battaglia, portando con sé la Tredici Nera.
«Mi state chiedendo del kaven?» domandò Henchick.
«Aye, padre», rispose Roland. «La persistenza della magia.»
Père Callahan accettò una tazza di caffè con un cenno del capo e un sorriso distratto, ma senza una parola di ringraziamento. Da quando erano tornati dalla grotta aveva parlato poco, sulle ginocchia aveva un libro intitolato Le notti di Salem, di un autore che non aveva mai sentito. Voleva essere un’opera di fantasia, ma parlava di lui, Donald Callahan. Lui era vissuto nella cittadina di cui raccontava, aveva preso parte agli avvenimenti di cui narrava. Aveva cercato la fotografia dell’autore sulla copertina, con la strana certezza di trovarci il proprio ritratto (risalente al 1975, quando avevano avuto luogo quei fatti, con tutta probabilità), ma non c’erano immagini, solo una nota sullo scrittore che rivelava poco. Viveva nello stato del Maine. Era sposato. In precedenza aveva scritto un altro libro, molto ben recensito, a voler credere alle citazioni riportate.
«Più è grande la magia, più a lungo persiste», disse Cantab e poi rivolse a Henchick uno sguardo interrogativo.
«Aye», confermò Henchick. «Magia e malìa sono la stessa cosa e di sicuro giungono da dietro.» Fece una pausa. «Dal passato, capite?»
«Questa porta si apre su molti luoghi e in molti tempi del mondo da cui vengono i miei amici», spiegò Roland. «Io vorrei aprirla di nuovo, ma solo sugli ultimi due. I due più recenti. Si può fare?»
Attesero mentre Henchick e Cantab riflettevano. I Manni erano grandi viaggiatori. Se qualcuno sapeva se fosse possibile fare quello che Roland desiderava – quello che tutti loro desideravano – era senz’altro un Manni.
Cantab si protese rispettoso verso il vecchio, il dinh di Calla Redpath. Bisbigliò. Henchick ascoltò, impassibile, poi ruotò la testa di Cantab con la mano deformata dall’età e, sempre bisbigliando, gli rispose.
Eddie ebbe un moto e Roland sentì che stava per reagire, forse mettendosi a protestare. Gli posò una mano sulla spalla e Eddie si placò. Almeno per il momento.
Il sommesso consulto durò forse cinque minuti mentre gli altri aspettavano. Dal villaggio giungevano gli echi dei festeggiamenti: anche Roland aveva difficoltà a sopportarli; Dio solo sapeva quanto stessero straziando Eddie.
Finalmente Henchick accarezzò la guancia di Cantab e si girò verso il pistolero.
«Noi pensiamo che si possa fare», annunciò.
«Grazie a Dio», mormorò Eddie. Poi, più forte: «Grazie a Dio! Andiamo lassù. Diamoci appuntamento sull’East Road…»
I due uomini barbuti stavano scuotendo la testa, Henchick con una sorta di penoso rammarico, Cantab con un’espressione quasi di orrore.
«Non saliremo alla Grotta delle Voci al buio», dichiarò Henchick.
«Ma dobbiamo!» proruppe Eddie. «Voi non capite. Non è solo questione di quanto possa durare la magia, è una questione di tempo dall’altra parte! Di là scorre più veloce e una volta passato, è passato! Cristo, forse Susannah sta partorendo in questo momento e se il bambino che le nasce è una specie di cannibale…»
«Ascoltami, giovanotto», ribatté Henchick, «e ascoltami molto bene, io prego. Il giorno si è quasi consumato.»
Era vero. Mai un giorno si era sgranato così rapidamente tra le dita di Roland. C’era stata la battaglia contro i Lupi nelle prime ore del mattino, poco dopo l’alba, poi la festa per la vittoria nella strada e il cordoglio per i caduti (che, tirate le somme, erano stati sorprendentemente pochi). Poi ci si era resi conto che Susannah era scomparsa, c’erano state la salita alla caverna e le scoperte che vi avevano fatto. Ora che erano ridiscesi al campo di battaglia sull’East Road, era mezzogiorno passato. Quasi tutti erano tornati al villaggio portando in trionfo i bambini salvati. Henchick aveva accettato volentieri quel conciliabolo, ma quando finalmente erano giunti in canonica, il sole era ormai sul lato sbagliato del cielo.
Ci sarà data una notte di riposo, alla fin fine, pensò Roland, ma non seppe se esserne contento o deluso. Che avesse bisogno di dormire, era pacifico.
«Io ascolto e odo», disse Eddie, ma Roland gli teneva ancora la mano sulla spalla e lo sentì tremare.
«Anche se volessimo andare noi, non riusciremmo a persuadere abbastanza degli altri a seguirci», spiegò Henchick.
«Tu sei il loro dinh…»
«Aye, così dite voi, e immagino che io lo sia, anche se questa non è parola nostra, sapete. E in generale mi seguirebbero e sono consapevoli del debito che hanno contratto con il vostro ka-tet per il lavoro di oggi e vi direbbero grazie in tutti i modi che sanno. Ma non imboccherebbero quel sentiero e non salirebbero in quel luogo stregato dopo il buio.» Henchick stava scuotendo la testa, lentamente e con gran convinzione. «No, questo non lo faranno. Ascolta, giovanotto. Io e Cantab possiamo essere di ritorno al Redpath Kra-ten ben prima che faccia notte. Lì possiamo convocare i nostri al Tempa, che per noi è lo stesso della Casa delle assemblee per gli smemorati.» Così chiamavano coloro che lasciavano le comunità Manni. Lanciò una breve occhiata a Callahan. «Dico perdono, Père, se il termine ti offende.»
Callahan fece un cenno assente senza alzare gli occhi dal libro che continuava a rigirarsi tra le mani. Era stato ricoperto con una plastica protettiva, come spesso avviene per le preziose prime edizioni. Il prezzo scritto con tratto leggero sul risvolto era $ 950. Il secondo romanzo di un giovane scrittore. Si domandava che cosa lo rendesse tanto prezioso. Se si fossero imbattuti nel libraio, quel certo Calvin Torre, di sicuro glielo avrebbe chiesto. E sarebbe stato solo l’inizio di un autentico interrogatorio.
«Spiegheremo che cosa volete e cercheremo dei volontari. Dei sessantotto uomini del Redpath Kra-ten, credo che solo quattro o cinque non saranno disposti ad aiutare… a unire le loro forze. Ne uscirà un khef potente. Non è così che lo chiamate? Khef? La comunione?»
«Sì», rispose Roland. «La comunione dell’acqua, diciamo noi.»
«Impossibile far entrare tanti uomini in quella grotta», obiettò Jake. «Nemmeno se metà di loro prendesse in spalla l’altra metà.»
«Non c’è bisogno», ribatté Henchick. «Faremo entrare i più potenti, quelli che noi chiamiamo senders. Gli altri potranno disporsi in fila sul sentiero, uniti mano nella mano e piombo con piombo. Saranno su domani, prima che il sole sia alto in cielo. La mia parola in pegno.»
«Avremo comunque bisogno di questa notte per radunarci con magneti e piombi», disse Cantab. Guardava Eddie come per scusarsi e non senza soggezione. Il giovane era in grave sofferenza, si vedeva bene. Ed era un pistolero. I pistoleri possono reagire d’impeto e, quando lo fanno, hanno sempre un bersaglio.
«Potrebbe essere troppo tardi», mormorò Eddie. Girò su Roland gli occhi nocciola. Erano ora iniettati di sangue e scuri di stanchezza. «Domani potrebbe essere troppo tardi anche se la magia non si fosse esaurita.»
Roland aprì la bocca e Eddie alzò un dito.
«Non dire ka, Roland. Se dici ka una volta ancora, giuro che mi scoppia la testa.»
Roland chiuse la bocca.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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