Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La carta più alta di Marco Malvaldi. Il romanzo è pubblicato in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 13,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La carta più alta: trama del libro
“Non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo”, sbotta disperato Massimo il barrista. Ma è impossibile sottrarsi al nuovo intrigo in cui stanno per trascinarlo i quattro vecchietti del BarLume: nonno Ampelio, il Rimediotti, il Del Tacca del Comune, Aldo il ristoratore. Dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, i pensionati, investigatori per amor di maldicenza, sono arrivati a dedurre l’omicidio del vecchio proprietario, morto, ufficialmente, di un male rapido e inesorabile. Massimo il barrista, ormai in balìa dei vecchietti che stanno abbarbicati tutto il giorno al tavolino sotto l’olmo del suo bar nel paese immaginario e tipico di Pineta, al solito controvoglia trasforma quel fiume di malignità e di battute in una indagine. Il suo lavoro d’intelletto investigativo si risolve grazie a un’intuizione che permette di ristrutturare le informazioni, durante un noioso ricovero ospedaliero: proprio come avviene nei classici del giallo deduttivo. E a questo genere apparterrebbero, data la meccanica dell’intreccio, i romanzi del BarLume, se non fosse per le convincenti innovazioni che vi aggiunge Marco Malvaldi. La situazione comica dei quattro temibili vecchietti che sprecano allegramente le giornate tra battute diatribe e calunnie, le quali fanno da base informativa e controcanto farsesco al mistero. La feroce satira che scioglie nell’acido ogni perbenismo ideologico. La rappresentazione, umoristica e aderente insieme, della realtà della provincia italiana…
Approfondimenti sul libro
In ebook La carta più alta (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 8,99 euro.
Un tempo, a Pineta, gli stabilimenti erano solide e funzionali costruzioni in cemento armato, apparentemente ispirate ai concetti estetici dell’architettura sovietica: dei dadoni grigi e tetri collegati allo stradone principale da un accesso in asfalto, che portava ad un parcheggio sterrato, sorvegliato (si fa per dire) da un custode in zoccoli e canottiera, solitamente il cugino scemo del proprietario, la cui unica attività era aiutare il cliente nella manovra di posteggio, e che passava il resto della giornata trincerato dietro un muro di carta rosa.
Oggi, invece, gli stabilimenti balneari sono naturali ed ecosostenibili, belli a vedersi e a toccarsi; vi si accede a piedi, lungo un camminamento di legno, e di legno è tutto il resto della costruzione. Al posto del parcheggio c’è un cocktail bar, e se al suo interno cercaste la «Gazzetta» restereste delusi. Sulla spiaggia si vedono giovani, meno giovani e diversamente giovani che parlano di Santo Domingo, delle Maldive, di Bali e della California, e chissà come mai tutti gli anni te li ritrovi fra le palle a Pineta. Comunque, il legno è più gradevole del cemento, e questo cambiamento non è certo un male.
Anche il resto del paese è cambiato, nell’offerta al turista: estinte piano piano le pizzerie a taglio, scomparsi per pensionamento del gestore i barrini col bancone di marmo e i tavoli di fòrmica, adesso per tutto il paese sorgono una miriade di locali in franchising. C’è il sandwich bar a km zero, che utilizza solo ed esclusivamente prodotti del territorio, e nonostante questo è capace di offrirti nel menù il bocadillo al pescespada. C’è la gelateria ayurvedica, che offre solo prodotti naturali e quindi, secondo una implicita logica distorta, salutari e benefici; ci sono persone convinte, evidentemente, che l’oppio non si estragga dal papavero, che veleni come l’atropina e il curaro siano stati sintetizzati in laboratorio e che non avrebbero nessuna obiezione ad una dieta a base di rabarbaro.
Tutti questi locali fanno un larghissimo uso della cosiddetta maieutica della fiducia: ovvero, ognuno di questi posti è tappezzato di cartelli nei quali viene svelato al cliente il motivo per cui, di quell’esercizio, ci si può fidare. Perché i nostri gelati hanno una consistenza così soda? Perché non usiamo grassi idrogenati, ma solo ingredienti naturali. Come mai le vostre borsette costano così tanto? Perché non facciamo uso di lavoro minorile: i nostri arredi e i nostri gadget sono fatti in Cina da operai privi di qualsiasi diritto sindacale, ma rigorosamente maggiorenni. Come mai le tovagliette hanno questo colore strano? Perché sono fatte di carta igienica riciclata, così hanno un minore impatto sull’ambiente. In questo modo, il cliente è consapevole che il proprio pasto, oltre che genuino e dieteticamente inappuntabile, non ha richiesto l’abbattimento di un singolo albero, e si sente immediatamente più giusto e più buono.
Anche Massimo, volente o nolente, si è dovuto adeguare. Per cui, il bar è stato rifatto di sana pianta, in modo radicale. Estirpato il bancone di legno maròn e piano in finto marmo con la targhetta di ottone «D’Anteo Licurgo – Arredi per la ristorazione – Navacchio (pi)», e messo in opera un magnifico lingottone di legno scuro e metallo brunito che a pulirlo ci vuole il doppio, ma è tutta un’altra cosa. Mandata in pensione la vetrinetta per le paste con l’apertura dal davanti, il cui posto è stato preso da una teca ultratecnologica in vetro con tanto di faretti led che esaltano il colore del croissant. Abolita la specchiera con pubblicità della Ceres che raddoppiava la bruttezza del locale e installato un magnifico specchio con il logo «BarLume» scritto in lettere satinate. Ci sono state altre migliorie, ma la sostanza è che adesso quando uno entra al BarLume non sente più il bisogno di toccarsi le palle.
Alcuni cambiamenti sono stati solo estetici: per esempio, la frutta fresca con cui Massimo prepara i succhi e le granite non è più tenuta prigioniera in magazzino, ma esposta in bellavista dentro una cassetta di legno, e nei momenti in cui il bar è deserto allietata con una bella passata di acqua fresca grazie ad un piccolo spruzzatore, così è molto più appetibile. Altri cambiamenti, invece, sono stati evitati: per cui, accanto al registratore di cassa c’è ancora un mazzo da quaranta carte, così che al momento di pagare Massimo può proporre al cliente di giocare alla carta più alta. Se la prende il cliente, non paga; se la pesca Massimo, paga doppio.
Per seguire le tendenze fino in fondo, Massimo si è perfino sforzato di rendere edotto il proprio cliente delle particolarità del locale con quella tecnica di cui prima si parlava. Per cui, adesso, nei punti focali del BarLume campeggiano vari pannelli che illustrano, con un rassicurante carattere Helvetica corpo ottanta, le varie caratteristiche dell’esercizio. Sotto il banco con le piastre dei panini («Perché questi panini sono così buoni? Perché benedico personalmente tutti i prosciutti ogni mattina»), vicino all’estremità sud del locale («Cerchi il cesso? È in fondo a destra, come tutti i cessi che si rispettino») e perfino accanto al tavolo sotto l’olmo («Ma perché questi vecchiacci devono restare a questo tavolino tutto il giorno? Vorrei tanto saperlo anch’io»).
Perché non c’è niente da fare. Può cambiare il paese, può cambiare il bar, e il mondo potrebbe anche cambiare verso di rotazione: ma tutte le mattine che Loro Signore mette in terra (Massimo è ateo) si può star certi che, uno alla volta o tutti insieme, i quattro reduci del Novecento arriveranno e si installeranno sulle loro poltroncine. E da lì, semplicemente, non ce li schiodi più.
Anche stamattina, per esempio, tre dei quattro anziani ragazzi sono già con le zampe sotto il tavolo dalle otto: guardinghi, però, ed insolitamente taciturni. Da qualche parte, presumibilmente nel retrobottega, ci dev’essere anche Massimo il barrista, di cui però al momento si sente solo la voce, visto che sta parlando al telefono. Anzi, sarebbe meglio dire ascoltando, dato che il suo interlocutore parla molto più di lui.
– Sì, ho capito. Ma guardi, signora, che io…
Silenzio forzato.
– No, ascolti, la prego. Io non ci posso fare nulla, signora. Vediamo di essere chiari: questo è un bar, non è una stazione termale. Se uno entra e vuole un panino con lo stinco di maiale, io glielo preparo e glielo servo. È il mio lavoro.
Silenzio prolungato.
– Il cappuccino è un altro paio di maniche. È questione di civiltà, non di salute. E comunque… Sì. Sì. Va bene, signora, ho capito. Adesso glielo dico. Sì. Va bene. Auguri anche a lei.
Massimo uscì dal bar, con in mano un vassoio vuoto. Arrivato al tavolo sotto l’olmo, iniziò a mettere sul vassoio le tazzine usate e intanto chiese:
– Pilade, ma una moglie più rompicoglioni di come è lei come ha fatto a trovarla?
– Chi si somiglia si piglia – disse il Rimediotti. – Anche la tua di moglie ’un era male, vero, Massimino?
– Primo, non stiamo parlando di me. Secondo, sono alto trenta centimetri più di lei. Massimino lo dice a qualcun altro.
L’imputato, ovvero Pilade Del Tacca, si strinse nelle spalle piccole e lardose con fare fatalista.
– Povera donna, lei fa il mestiere suo. Però, guarda, dopo che sono andato dar dottore è diventato un tormento.
In quel momento, mentre Pilade parlava, era arrivato Ampelio. Che non perse tempo.
– Sei andato dar dottore? Bravo scialucco. E cosa t’ha detto?
Il Del Tacca si voltò verso Ampelio, e disse con aria solenne:
– M’ha messo a dieta.
– Boia, allora è un luminare. Sei arto come una damigiana e pesi come un canterale, cosa volevi, lo sciroppino? Capace l’hai anche pagato.
– Mah, dice che è per ir còre – disse Pilade accendendosi una Stop. – M’ha detto che dovrei perdere venti chili prima che si pòle.
– Tagliati una gamba – suggerì Ampelio. – Per quel che ti servano…
– E ora la mi’ moglie rompe i coglioni da du’ giorni – disse Pilade ignorando il suggerimento. – A tutti. Ha appena telefonato qui per dire a Massimo… cosa t’ha detto, di preciso?
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Marco Malvaldi.
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