Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Per chi suona la campana di Ernest Hemingway. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Mondadori, con un prezzo di copertina di 14,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Per chi suona la campana: trama del libro
Robert Jordan è un giovane intellettuale americano volontario nell’esercito antifranchista. Il suo incarico consiste nel far saltare un ponte d’acciaio librato in territorio nemico. Per questa missione entra in contatto con la ‘banda di Pablo’, un gruppo di partigiani di cui fanno parte due donne: Pilar, moglie di Pablo, e Maria, una ragazza che incarna tutte le virtù morali e naturali che un uomo come Robert può desiderare. L’azione dura solo tre giorni, ma l’evento si dilata con fatti paralleli: la storia d’amore fra Robert e Maria, le conversazioni, i monologhi interiori, i richiami al passato. Pur attanagliato da mille dubbi, Robert darà l’ordine di far saltare il ponte anche se il suo sacrificio non avrà in sé alcun esito positivo.
Approfondimenti sul libro
In ebook Per chi suona la campana (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di euro 7,99.
Parallelo alla strada correva un torrente e giù, sulla sponda del valico, l’uomo vedeva una ruota idraulica e l’acqua scrosciante della chiusa, bianca sotto il sole estivo.
«Quella è la segheria?» l’uomo domandò.
«Sì.»
«Non me la ricordavo.»
«È stata costruita dopo che sei stato qui. La vecchia ruota è molto più giù del valico.»
L’uomo stese la carta militare in terra e la esaminò attentamente. Il vecchio guardava al di sopra della sua spalla; era un vecchio basso e robusto con un camiciotto nero da contadino, calzoni grigi, duri che sembravano di latta, e ai piedi scarpe con suole di corda. Stanco della salita, respirava faticosamente; teneva una mano su uno dei fagotti pesanti che avevano portato fin lassù. «Allora, da qui il ponte non si può vedere.»
«No,» disse il vecchio «siamo sul versante piano del valico, qui il fiume scorre lento. Più giù la strada si nasconde fra gli alberi e il terreno precipita bruscamente in una gola profonda…»
«Ora ricordo.»
«Il ponte passa su quella gola.»
«E dove sono le loro sentinelle?»
«C’è un posto di guardia nella segheria che si vede laggiù.»
Il giovanotto che studiava la regione tirò fuori dalla tasca della camicia di flanella cachi un binocolo, pulì le lenti col fazzoletto, mise a fuoco gli oculari. A un tratto le ruote della segheria apparvero chiarissime; ora il giovanotto vedeva la panca di legno accanto alla porta, il mucchio enorme di trucioli dietro il magazzino aperto dov’era la sega circolare e un tratto del piano inclinato che sull’altra riva del fiume portava i tronchi giù per la china. Il nastro liscio del fiume appariva chiarissimo nel cerchio delle lenti; sotto la chiusa, dove l’acqua cadendo si gonfiava arricciandosi, la schiuma si sperdeva nel vento.
«Non vedo sentinelle.»
«Dalla segheria esce del fumo» disse il vecchio. «Ci sono anche dei panni stesi su una corda.»
«Li vedo anch’io, ma non vedo la sentinella.»
«Forse si è messa all’ombra» disse il vecchio. «Laggiù a quest’ora fa caldo. La sentinella si sarà messa all’ombra dall’altra parte. Di qui non si può vedere.»
«Forse. Il posto più vicino dov’è?»
«Più in giù del ponte, nel casotto del cantoniere, a cinque chilometri dal valico.»
«E quanti uomini ci sono qui?» Il giovanotto accennava alla segheria.
«Forse quattro e un caporale.»
«E laggiù?»
«Di più. Saprò dirtelo.»
«E al ponte?»
«Sempre due sentinelle, una a ogni estremità.»
«Avremo bisogno di parecchi uomini» disse il giovanotto. «Quanti puoi procurarmene?»
«Quanti nei vuoi» disse il vecchio. «Qui nei monti c’è molta gente.»
«Quanti?»
«Più di cento, ma in piccole bande. Quanti te ne serviranno?»
«Te lo dirò quando avrò visto il ponte.»
«Vuoi vederlo ora?»
«No, ora voglio vedere il posto dove nasconderemo la dinamite fino al momento buono; vorrei metterla in un posto assolutamente sicuro, lontano dal ponte non più di mezz’ora se è possibile.»
«È facile» disse il vecchio. «Quando saremo arrivati là dove stiamo andando, vedrai che fino al ponte è tutta discesa. Ma ora dobbiamo fare ancora un poco di salita seria. Hai fame?»
«Sì» disse il giovanotto. «Ma mangeremo poi. Tu come ti chiami? Non me lo ricordo più.» Averlo dimenticato gli sembrò un cattivo presagio.
«Anselmo,» rispose il vecchio «e sono di Barco de Avila. Vieni, ti aiuto a mettere il sacco in spalla.»
Il giovanotto, che era alto e magro, coi capelli biondi pezzati dal sole in un viso cotto dal sole e dal vento, e portava una camicia di flanella scolorita, pantaloni da contadino e scarpe con suola di corda, si chinò, infilò il braccio in una delle cinghie e buttò con uno strattone il sacco pesante sulla spalla. Infilò poi l’altro braccio nella seconda cinghia ed equilibrò il peso sulla schiena. Il sudore della salita faticosa gli inzuppava ancora la camicia.
«Ora è a posto» disse. «E da qui come si continua?»
«Bisogna arrampicarsi» disse Anselmo.
Sudando, chini sotto il peso dei fagotti, i due uomini ripresero ad arrampicarsi con energia nella pineta che copriva il monte. Non si vedevano sentieri, i due salivano faticosamente girando intorno alla montagna. A un certo punto passarono un ruscello e il vecchio continuò a salire andando diritto su per il ciglio del letto roccioso. La salita diventò sempre più erta e difficile, finché gli uomini si videro davanti una liscia parete di granito giù dalla quale l’acqua sembrava precipitare bruscamente. Ai piedi della parete il vecchio attese il giovanotto.
«Come vai?»
«Benissimo» disse il giovanotto, ma sudava abbondantemente e i muscoli delle cosce gli tremavano per lo sforzo della salita.
«Aspettami qui, vado avanti ad avvertirli. Non vorrai mica che ti sparino addosso, con quella roba sul groppone.»
«Non scherziamo» disse il giovanotto. «È lontano?»
«Vicinissimo. Tu come ti chiami?»
«Roberto» rispose il giovanotto. Si era tolto il sacco dalla schiena e lo stava posando con precauzione tra due rocce sulla sponda del fiume.
«Allora aspettami qui, Roberto. Verrò a prenderti.»
«Bene» disse il giovanotto. «Ma tu pensi di arrivare al ponte per questa strada, dimmi?»
«No, per andare al ponte prenderemo un’altra strada più corta e più comoda.»
«Non vorrei lasciare questa roba molto lontano dal ponte.»
«Vedrai. Se il posto non ti piacerà ne sceglieremo un altro.»
«Vedremo» disse il giovanotto.
Si sedette accanto ai sacchi e si mise a guardare il vecchio che scalava la parete. Non era un’arrampicata difficile e dal modo come trovava i punti d’appoggio senza cercarli, il giovanotto capì che il vecchio aveva scalato quella parete più volte. Ma quelli che stavano lassù si erano preoccupati di non lasciar tracce.
Il giovanotto, che si chiamava Robert Jordan, aveva fame ed era molto preoccupato. Affamato era spesso, ma si preoccupava raramente perché non dava importanza a quanto gli accadeva; sapeva per esperienza come fosse facile circolare in tutta quella regione dietro il fronte nemico; quello che importava era l’avere una buona guida, poi ci si poteva spostare dietro le linee e anche attraversarle. Ciò che rende difficili le cose è dar importanza a quello che può accadere se si è catturati; e il dover decidere di chi conviene fidarsi. Delle persone con cui si lavora bisogna fidarsi completamente o non fidarsi affatto; e bisogna decidere se fidarsene o no. Ma nulla di tutto questo preoccupava il giovanotto; c’era dell’altro.
Anselmo era una brava guida e conosceva benissimo le montagne. Robert Jordan era da parte sua un buon camminatore e poiché seguiva dall’alba il vecchio, sapeva benissimo che questi aveva anche più resistenza di lui. Per ora si fidava in tutto di Anselmo, tranne per il modo di giudicare le cose. Non aveva avuto ancora l’occasione di mettere alla prova il cervello del vecchio e, del resto, la responsabilità di giudicare era sua. No, Anselmo non lo preoccupava e il problema del ponte non era più spinoso di tanti altri problemi. Jordan sapeva come si fanno saltare i ponti di ogni genere; ne aveva fatti saltare un’infinità, di ogni tipo e grandezza. I due pacchi contenevano abbastanza dinamite e tutto il materiale necessario per far saltare a regola d’arte quel ponte, anche se fosse stato più grande il doppio di come lo descriveva Anselmo o di come Jordan stesso lo ricordava, quando nel 1933 lo aveva attraversato andando a piedi a La Granja, o anche di come gliene aveva letto la descrizione Golz due sere prima, in quella stanza all’ultimo piano della casa accanto all’Escurial.
«Far saltare il ponte è una cosa da niente» aveva detto Golz, il cranio rasato pieno di cicatrici nel cerchio del lume, indicando con la matita sulla grande carta. «Capite?»
«Sì, capisco.»
«È proprio niente. Far semplicemente saltare in aria il ponte sarebbe un insuccesso.»
«Sì, compagno generale.»
«Quello che occorrerebbe è di far saltare il ponte in un certo momento, che dipenderà dall’ora fissata per l’attacco. Voi naturalmente lo capite. Questo si avrebbe il diritto di attendersi e così andrebbe fatto.»
Golz esaminò la matita, poi se la batté sui denti.
Robert Jordan non aveva fiatato.
«Voi lo capite. Questo si avrebbe il diritto di attendersi e così andrebbe fatto» seguitò Goiz guardando Jordan e scuotendo il capo. Adesso batteva la matita sulla carta. «È così che farei. Ma questo non possiamo ottenerlo.»
«Perché, compagno generale?»
«Perché?» chiese Golz arrabbiandosi. «Chissà quanti attacchi avete visto, e mi chiedete perché. Chi mi garantisce che i miei ordini non siano alterati? Chi mi garantisce che non si rinunci all’attacco? Chi mi garantisce che l’attacco non venga ritardato? Chi mi garantisce che non sia sferrato sei ore dopo l’ora stabilita? Un attacco è forse mai andato come doveva?»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore francese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Ernest Hemingway.
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