Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La chiamata dei tre di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99 ed è il secondo capitolo del ciclo della Torre Nera.
La chiamata dei tre: trama del libro
“La chiamata dei tre” riprende la narrazione delle gesta di Roland, l’eroe solitario deciso a raggiungere la misteriosa Torre. Nel loro definitivo confronto-scontro l’uomo in nero aveva predetto la sorte a Roland con uno strano mazzo di tarocchi. Ora il pistolero si ritrova seduto su una spiaggia del Mare Occidentale, dopo un sonno che forse è durato anni. Sa che dovrà trovare le tre porte spazio-temporali per introdursi nel nostro mondo e raggiungere così i tre predestinati. Ma come individuarle? Mentre medita sul da farsi, mostruose creature emergono dalle acque e tentano di divorarlo, mutilandolo orrendamente.
Affoga, pistolero, gli diceva l’uomo in nero, e nessuno gli getta una cima. Il giovane Jake.
Ma non era un incubo. Era un bel sogno. Era bello perché era lui ad annegare, quindi lui non era affatto Roland, bensì Jake, e questo gli era di consolazione perché sarebbe stato mille volte meglio annegare come Jake che vivere nei panni di se stesso uomo che, nel nome di un gelido sogno, aveva tradito un ragazzino che in lui aveva riposto tutta la sua fiducia.
Bene, d’accordo, annegherò, pensò ascoltando il rumore del mare. Lasciatemi annegare. Ma quello non era il rumore degli abissi; quello era l’aspro sciacquio di un’onda pesante di sassi. Era davvero lui il marinaio? E in tal caso, perché la terra era così vicina? Anzi, non era in realtà sulla terraferma? Aveva la sensazione di…
Acqua fredda gli inondò gli stivali e gli corse su per le gambe fino all’inguine. Fu allora che spalancò gli occhi e a strapparlo dal sogno non fu il senso di gelo ai testicoli che tutt’a un tratto gli si erano avvizziti alle dimensioni di due noci e nemmeno l’orribile presenza alla sua destra, bensì il pensiero delle sue pistole… le sue pistole e, prima ancora, le cartucce. Si fa in fretta a smontare un’arma bagnata, per asciugarla e lubrificarla e asciugarla di nuovo e di nuovo lubrificarla e infine rimontarla; per le cartucce invece è lo stesso che per i fiammiferi, e se si bagnano non è detto che restino utilizzabili.
L’orribile presenza era un essere che, presumibilmente portato da un’onda precedente, avanzava lento verso di lui. Trascinava faticosamente sulla sabbia il corpo bagnato e lucido. Era lungo più di un metro, a quattro metri circa da lui sulla destra. Fissava Roland con occhi inespressivi in cima a due antenne. Aprì il becco seghettato e cominciò a produrre un suono che lo turbò per quanto somigliava alla parlata umana, a una serie lamentosa, se non disperata, di interrogativi in una lingua sconosciuta: «Didacevi? Damaciami? Didarami?»
Il pistolero conosceva le aragoste, ne aveva viste, ma non era un’aragosta quella, anche se non ricordava altra creatura alla quale potesse somigliare di più, seppure solo vagamente. Non dava l’impressione di avere la minima paura di lui. Non c’era modo di sapere se fosse pericolosa. Il pistolero non si curò della propria confusione mentale, della sua temporanea incapacità di ricordare dove fosse o come vi fosse arrivato, se avesse infine veramente raggiunto l’uomo in nero o se il suo incontro-scontro con lui fosse stato solo un sogno. Sapeva che doveva allontanarsi dall’acqua prima che gli si bagnassero le cartucce.
Udì crescere il roco boato dell’acqua e distolse lo sguardo dalla creatura (si era fermata e aveva sollevato le chele, nell’improbabile posa di un pugile all’inizio del combattimento, quella che, secondo gli insegnamenti di Cort, si chiamava la Posizione d’Onore) per girarsi verso il frangente con la sua cresta di schiuma.
Sente l’onda. Qualunque cosa sia, ha le orecchie.
Cercò di alzarsi, ma le gambe troppo intorpidite lo tradirono.
Sto ancora sognando, pensò, ma nonostante la confusione trovò l’ipotesi troppo allettante perché potesse veramente crederci. Cercò di nuovo di alzarsi e quasi ci riuscì, ma poi ricadde. L’onda si rompeva. Di nuovo non c’era tempo. Doveva accontentarsi di muoversi come la misteriosa creatura: affondò entrambe le mani e trascinò le natiche all’indietro sulla ghiaia minuta della spiaggia.
Non si spostò abbastanza da evitare del tutto l’onda, ma comunque quanto gli era sufficiente per il suo proposito: l’onda gli sommerse solo gli stivali, salì fin quasi alle sue ginocchia e defluì. Forse la prima non mi ha bagnato tanto quanto ho temuto. Forse…
In cielo c’era una mezza luna. La copriva una cuffia di foschia, ma alla fioca luce che diffondeva vide che le fondine erano troppo scure. Le pistole come minimo erano state bagnate. Gli era impossibile stabilire quanto grave fosse il danno o se le cartucce infilate nei tamburi o quelle nei cinturoni incrociati in vita fossero state raggiunte dall’acqua. Ma prima di controllare doveva allontanarsi dalla risacca. Doveva…
«Dodaciomi?» Il suono giungeva da molto più vicino. Tutto preso dal problema della risacca si era dimenticato della creatura gettata dal mare sulla spiaggia. Si girò e vide che era ormai a poco più di un metro da lui. Si spingeva in avanti affondando le chele nella sabbia frammista a pietrisco e conchiglie. Sollevò la coda frastagliata e carnosa e per un attimo somigliò a uno scorpione, sebbene Roland non vedesse alcun pungiglione all’estremità del corpo.
Un altro rombo crescente, questa volta più forte di prima. Subito la creatura si fermò e sollevò le chele in quella sua singolare versione della Posizione d’Onore.
L’onda era più alta. Roland riprese a trascinarsi su per la spiaggia e quando allungò di nuovo le mani la creatura si mosse con una rapidità che il suo lento procedere non avrebbe mai lasciato intuire.
Il pistolero avvertì una folgorante esplosione di dolore nella mano destra, ma non poté nemmeno pensarci in quel momento. Spinse con i tacchi degli stivali inzuppati, si issò facendo leva sulle mani e riuscì a sottrarsi all’onda.
«Didacevi?» lo interrogò il mostro con quella sua voce lamentosa che sembrava chiedergli: «Perché non mi aiuti? Non vedi come sono disperato?» e Roland vide scomparire nel suo becco seghettato le ultime falangi dell’indice e del medio della sua mano destra. Poi la creatura si avventò di nuovo e Roland sollevò la mano gocciolante appena in tempo per salvare le tre dita restanti.
«Damaciami? Dedaceri?»
Il pistolero si alzò in piedi barcollando. L’essere vorace gli lacerò il calzone bagnato dei jeans, gli squarciò uno stivale la cui vecchia pelle era sì ammorbidita ma resistente come il ferro, e gli staccò un brano di carne dal polpaccio.
Roland estrasse l’arma con la destra e solo quando la rivoltella cadde con un tonfo sordo nella sabbia si rese conto di non avere più due delle dita che gli servivano per eseguire l’antica procedura dell’uccisione.
Il mostro piombò avidamente sull’arma.
«Fermo, bastardo!» ringhiò Roland e gli sferrò un calcio. Fu come scalciare una roccia… una roccia che morsicava. Gli strappò l’estremità dello stivale destro, gli tranciò quasi tutto l’alluce e gli sfilò lo stivale dal piede.
Il pistolero si chinò, raccolse la rivoltella, se la lasciò sfuggire di nuovo, imprecò, e finalmente la impugnò. Un gesto che gli era stato sempre così facile da non richiedere nemmeno di doverci pensare, gli era diventato improvvisamente arduo come un gioco di prestigio.
La creatura si era abbarbicata allo stivale e lo faceva a pezzi mentre ripeteva le sue incomprensibili domande. Un’onda rotolò sulla spiaggia e la schiuma che la coronava brillò debolmente, pallida e smorta, nella luce velata della mezza luna. La pseudoaragosta abbandonò lo stivale per sollevare le chele in quella posa da pugile.
Roland estrasse con la sinistra e schiacciò tre volte il grilletto. Clic, clic, clic.
Ora sapeva che sorte era toccata quanto meno alle cartucce nei tamburi.
Ripose la pistola nella fondina sinistra. Quanto all’altra, dovette indirizzarne all’ingiù la canna con la mano sinistra; il vecchio calcio di sandalo era viscido di sangue, che sporcò la fondina e il consunto pantalone di jeans al quale questa era legata. Il sangue sgorgava dai moncherini delle sue dita.
Il piede destro mutilato era ancora troppo intorpidito per essere sensibile al dolore, ma la mano destra era una palla di fuoco. Gli spiriti delle dita abilissime che già cominciavano a decomporsi nei succhi gastrici dell’orribile creatura protestarono gridando la loro presenza, lamentando il terribile bruciore.
Prevedo seri problemi, rifletté distrattamente il pistolero.
L’onda si ritirò. Il mostro abbassò le chele, aprì un nuovo squarcio nello stivale del cavaliere e poi concluse che il proprietario della calzatura era mille volte più saporito di quello scampolo di pelle un po’ macerato.
«Damaciami?» domandò e saettò verso di lui con raccapricciante velocità. Il pistolero batté in ritirata muovendo istintivamente le gambe che quasi non sentiva affatto, mentre pensava che quella creatura era dotata di una micidiale intelligenza. Gli si era avvicinata con prudenza, giungendo forse da lontano su quel litorale, quando ancora non sapeva che cosa fosse e di che cosa fosse capace. Se non fosse stato svegliato dall’onda che lo aveva inzuppato, la diabolica creatura gli avrebbe dilaniato la faccia mentre lui era ancora immerso nel sogno. Ora aveva concluso che non solo era saporito, ma anche vulnerabile, una preda facile.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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