Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La chiave delle tenebre di Morgan Rhodes, terzo libro della saga dei tre regni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Nord, con un prezzo di copertina di 17,60 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto).
La chiave delle tenebre: trama del libro
In una terra in decadenza e governata da un tiranno senza scrupoli, tre giovani sono destinati ad affrontare insieme epiche battaglie, intrighi di corte e tradimenti. Perché loro sono l’ultima speranza per la libertà… Chi riunirà i quattro Catalizzatori, avrà la chiave per dominare il mondo. Ecco perché re Gaius Damora è disposto a tutto pur di trovare quei cristalli leggendari. Anche a offrire in dono la figlia Lucia in cambio dell’aiuto dei Guardiani, esseri immortali che da sempre vegliano sui destini degli uomini. Ciò che Gaius non sa, però, è che i Catalizzatori sono inutili se non si è in grado di controllarli. E per farlo servono immensi poteri magici, gli stessi poteri che Lucia sta lentamente sviluppando e che i Guardiani vogliono sfruttare a proprio vantaggio… E loro non sono gli unici a tramare alle spalle di Gaius: la principessa Cleiona Bellos ha infatti architettato un piano per impadronirsi dei cristalli e riconquistare il trono. Grazie a un anello incantato, Cleiona è in grado di entrare nella mente di Lucia e di costringerla a obbedire a ogni suo ordine. Ma ben presto la principessa scoprirà che sta giocando col fuoco: ogni giorno che passa, Lucia diventa sempre più forte, ed è ormai stanca di essere usata come pedina. Anzi, è pronta a fare la sua prima mossa nella partita per il potere…
Approfondimenti sul libro
La chiave delle tenebre è in vendita anche in formato eBook al prezzo di euro 9,99.
La voce di Rufus era fastidiosa come un insistente tafano. Nell’oscurità, Jonas lanciò un’occhiata stizzita al suo compagno ribelle. «Ma non mi dire. A che proposito?»
«Di tutta questa storia. Dobbiamo andarcene da qui finché siamo in tempo.» Rufus allungò il collo massiccio e sudato per scrutare tra gli alberi che li circondavano, guidato solo dalla luce della torcia che avevano conficcato nel terreno. «Ha detto che i suoi amici sarebbero arrivati da un momento all’altro.»
Si riferiva alla guardia limeriana che avevano catturato dopo aver scoperto che si aggirava troppo vicino alla foresta. L’uomo era legato a un albero, privo di sensi.
Ma a Jonas un soldato svenuto non serviva a niente. Lui aveva bisogno di risposte. Anche se su una cosa Rufus aveva ragione: il tempo per loro era agli sgoccioli, soprattutto considerato che si trovavano così vicini a un villaggio infestato dai servi del re con le loro uniformi rosse.
«Certo che l’ha detto. Si chiama ’bluff’», gli spiegò.
Rufus inarcò le sopracciglia, come se quella possibilità non gli fosse venuta in mente. «Ah… Davvero?»
Era passata una settimana dall’assalto ribelle contro l’accampamento nella Paelsia orientale, ai piedi delle Montagne Proibite. Una settimana da quando l’ultimo piano di Jonas per sconfiggere re Gaius era fallito nel peggiore dei modi.
Quarantasette ribelli erano calati all’alba sull’accampamento dormiente nel tentativo di catturare il progettista della strada, Xanthus, e l’erede al trono di Limeros, il principe Magnus, per poterli usare come ostaggi contro re Gaius.
Non ci erano riusciti. Un’esplosione di un misterioso fuoco blu aveva bruciato ogni cosa, e Jonas era a malapena riuscito a salvarsi la vita.
Rufus era l’unico ribelle che aveva trovato qualche ora dopo ad aspettarlo nel punto in cui si erano dati appuntamento. Se ne stava lì col volto sudicio solcato dalle lacrime, tremava di paura e blaterava di fuoco magico, streghe e incantesimi.
Solo due sopravvissuti su quarantasette. Era stata una sconfitta schiacciante sotto fin troppi aspetti, e se Jonas ci pensava non riusciva più a ragionare con lucidità, era a malapena in grado di andare oltre il senso di colpa e il rammarico.
Il suo piano. I suoi ordini.
Colpa sua.
Di nuovo.
Nel disperato tentativo di scacciare il dolore, aveva subito cominciato a raccogliere informazioni su altri possibili sopravvissuti, su chi fosse stato catturato vivo e portato via.
La guardia che avevano trovato indossava l’uniforme rossa. Era il nemico.
Di sicuro aveva le risposte che servivano a Jonas. Doveva averle.
Alla fine il soldato aprì gli occhi. Era più vecchio di gran parte dei suoi commilitoni, con qualche capello grigio sulle tempie. Era anche zoppo, cosa che aveva reso più semplice la sua cattura.
«Tu… io ti conosco. Sei Jonas Agallon, l’assassino della regina Althea», mormorò, gli occhi che gli brillavano alla debole luce della torcia.
Gli aveva scagliato contro quelle parole come fossero un’arma. Dentro di sé Jonas accusò il colpo, ma non mostrò nessun segno del dolore causato da quella che era la più esecrabile delle menzogne sul suo conto.
«Non l’ho uccisa io, la regina», ruggì.
«Perché dovrei crederti?»
Ignorando l’espressione disgustata di Rufus, Jonas prese a camminare lentamente intorno alla guardia legata all’albero, cercando di capire quanto sarebbe stato difficile far parlare quell’uomo.
«Non sei costretto a credermi. Ma dovrai rispondere ad alcune domande», disse, avvicinandosi.
La guardia sollevò il labbro superiore e ringhiò, mettendo in mostra i denti gialli. «Non ti dirò nulla.»
Jonas l’aveva previsto, ovviamente. Non c’era mai niente di semplice. Estrasse il pugnale ingioiellato dal fodero che portava in vita. La lama d’argento ricurva catturò la luce della luna, attirando all’istante l’attenzione dell’uomo.
Era l’arma che aveva tolto la vita a suo fratello maggiore. Il pomposo e vanesio nobile auraniano l’aveva lasciata lì, conficcata nella gola di Tomas. Quel pugnale era diventato un simbolo per Jonas, rappresentava la linea di confine tra il suo passato di figlio di un povero mercante di vino che sgobbava ogni giorno e il suo futuro di ribelle, con la certezza di morire combattendo per ciò in cui credeva sopra ogni altra cosa: la libertà dalla tirannia per i suoi cari. E per quelli che neppure conosceva.
Un mondo senza le mani di re Gaius avvinte alla gola dei poveri e dei deboli.
Jonas premette la lama sul collo della guardia. «Ti suggerisco di rispondere alle mie domande, se stanotte non vuoi veder scorrere il tuo stesso sangue.»
«Mi succederà di peggio se il re verrà a sapere che ti ho assecondato.»
Aveva ragione: aiutare un ribelle era un reato punito con la tortura o l’esecuzione. Oppure entrambe. Per quanto al re piacesse tenere i suoi eleganti discorsi sui regni uniti di Mytica con un gran sorriso stampato sul bel volto, non si era certo guadagnato il soprannome di «Re del Sangue» perché era un uomo giusto e compassionevole.
«Una settimana fa i ribelli hanno attaccato l’accampamento a est di qui. Ne sai qualcosa?»
La guardia resse il suo sguardo senza vacillare. «Ho sentito che sono morti tra atroci sofferenze.»
Jonas ebbe una fitta al cuore. Strinse forte il pugno: la voglia di far soffrire quel soldato era così forte da essere dolorosa. Si sentì scuotere da tremiti al ricordo della settimana precedente, ma si sforzò di concentrarsi sul problema attuale. Solo sul problema attuale.
Rufus si passò le dita tra i capelli scarmigliati e prese a camminare avanti e indietro, nervoso.
«Devo sapere se hanno catturato vivo qualche ribelle. E devo sapere dove li ha rinchiusi il re», continuò Jonas.
«Non ne ho idea.»
«Non ti credo. Comincia a parlare o giuro che ti taglio la gola.»
Non c’era paura negli occhi della guardia, soltanto derisione. «Ho sentito tante storie terribili sul capo dei ribelli paelsiani. Ma le storie non sono fatti, no? Magari tu sei soltanto un contadinotto di Paelsia, e non sei tanto spietato da ammazzare qualcuno a sangue freddo. Neanche un nemico.»
Jonas aveva già ucciso, così tante volte da aver perso il conto. In una stupida guerra che aveva convinto i paelsiani ad allearsi coi limeriani contro Auranos. Nella battaglia all’accampamento. Lui combatteva solo per annientare i nemici e rendere giustizia agli amici, alla sua famiglia e ai suoi compatrioti. E per difendersi.
Dietro tutte le morti che aveva causato c’era sempre un significato, per quanto contorto o confuso. Combatteva per uno scopo, credeva in un ideale.
Non provava piacere nello spegnere una vita, e si augurava di non provarne mai.
«Dai, Jonas. Quest’uomo non ci serve a niente», disse Rufus, la voce distorta dall’ansia. «Andiamocene, finché siamo in tempo.»
Ma lui non si arrese, e si costrinse a concentrarsi di nuovo sul problema attuale. Non era arrivato fin lì solo per fermarsi adesso. «In quella battaglia ha combattuto anche una ragazza, si chiama Lysandra Barbas. Devo sapere se è ancora viva.»
La guardia incurvò le labbra in un sorriso maligno. «Ah, ecco perché tieni tanto alle tue risposte. Questa ragazza ti appartiene?»
Jonas ci mise un po’ a capire cosa intendesse. «È come una sorella per me.»
«Jonas, Lysandra non c’è più. È morta. La tua ossessione servirà solo a farci finire ammazzati come lei!» gemette Rufus.
Il capo dei ribelli rispose con un’occhiata che lo fece trasalire, ma bastò a tappargli quella stupida bocca.
Lysandra non era morta. Non era possibile. Era una combattente formidabile, la migliore arciera che avesse mai visto.
Ed era stata presuntuosa, saccente e incredibilmente fastidiosa fin dal primo istante in cui si erano incontrati. Ma, se era ancora viva, Jonas era disposto a tutto pur di trovarla.
Aveva bisogno di lei, come ribelle e come amica.
Premette con più forza il pugnale sulla gola del soldato. «Devi pur sapere qualcosa. E devi dirmelo, in questo preciso istante.»
Non importa quanto fosse alta la posta in gioco, lui non si sarebbe mai arreso. Fino all’ultimo respiro.
«La ragazza… vale la pena morire per lei?» fece il soldato, a denti stretti.
Jonas non aveva bisogno di pensarci su. «Sì.»
«Allora sono sicuro che è spacciata, proprio come te.» La guardia rideva di lui malgrado il rivolo di sangue che le scorreva lungo il collo. «Da questa parte!» chiamò a gran voce.
Il rumore dei passi sul terreno e lo schiocco dei rami spezzati furono l’unico segnale della presenza delle guardie limeriane che all’improvviso irruppero nella radura. Avevano le spade sguainate, e due di loro brandivano una torcia.
«Gettate le armi, ribelli!»
Rufus cercò di tirare un pugno a uno dei soldati, ma lo mancò, e non di poco. «Jonas, fa’ qualcosa!»
Invece di lasciar cadere il pugnale, Jonas lo rinfoderò, poi estrasse la spada che aveva rubato al principe Magnus una settimana addietro, prima di riuscire a scappare. La sollevò appena in tempo per parare un colpo mirato al suo torace. Rufus provò a battersi, usando pugni e calci, ma non ci volle molto perché una guardia lo afferrasse per i capelli e gli tirasse indietro la testa per poi accostargli una lama alla gola.
«Ho detto gettate le armi. Oppure il tuo amico muore», sibilò il soldato.
Il mondo si fermò di colpo quando per l’ennesima volta Jonas fu schiacciato dal ricordo dell’uccisione di Tomas. Era successo tutto così in fretta, non c’era stato tempo per salvarlo, per combattere, neppure per supplicare. E poi gli tornò un altro ricordo che gli avrebbe marchiato per sempre l’anima: il suo migliore amico, Brion, trucidato dallo stesso assassino, sotto il suo sguardo impotente.
Approfittando della momentanea distrazione, una guardia colpì Jonas al volto con un pugno. Mentre il sangue gli sgorgava caldo dal naso, un altro soldato gli strappò di mano la spada e quasi gli ruppe le dita. Un altro ancora gli assestò un calcio dietro le ginocchia e lo sbatté a terra.
Il mondo girava e gli lampeggiava davanti agli occhi, ma lui si sforzò di non perdere i sensi.
Sapeva che era la fine, che in realtà il suo tempo era scaduto già da una settimana. Questa volta non ci sarebbe stata nessuna magia a salvarlo. La morte non gli faceva più paura, ma il momento era sbagliato. C’erano ancora troppe cose da fare.
E proprio in quell’istante un altro individuo entrò nella radura rischiarata dalle torce, facendo girare di scatto i soldati.
«Sto interrompendo qualcosa di importante?» esordì il giovane. Sembrava più grande di Jonas di un paio d’anni, con occhi e capelli neri. Portava un mantello scuro, il cappuccio tirato indietro per mostrare l’abbronzatura. Sorrideva con naturalezza, mettendo in risalto i denti dritti e bianchi, ostentando indifferenza, come se fosse capitato per caso nel bel mezzo di una schermaglia. Si guardò intorno, cominciando da Rufus, ancora immobilizzato da una guardia, per arrivare fino a Jonas, steso nel terreno fangoso con due spade puntate alla gola.
Per la biografia e la bibliografia dello scrittore rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Morgan Rhodes.
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