Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Christine – La macchina infernale di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 12,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Christine: trama del libro
Tre amici vivono la loro adolescenza in una tranquilla cittadina di provincia. Le novità sono poche, finché non compare Christine, un’auto – una Playmouth del 1958 – che Arnie, uno dei ragazzi, vuole a ogni costo rimmettere a nuovo. Un’impresa disperata, che per lui si trasforma in un’ossessione, mentre la macchina inizia a manifestare un’inquietante vita propria. E nelle buie strade del paese la gente comincia a morire.
«Che cosa c’è?» chiesi io. Con gli occhi strabuzzati dietro gli occhiali dalla montatura d’acciaio e una mano premuta sulla bocca, si era voltato per guardare indietro girando il collo, come se fosse montato su cuscinetti a sfera.
«Ferma la macchina, Dennis! Torna indietro!»
«Ma che cavolo…»
«Indietro, voglio rivederla.»
Finalmente capii. «Oh, ma lascia perdere», replicai. «Se è per quel… ‘coso’ che abbiamo appena superato…»
«Torna indietro!» ripeté quasi gridando.
Tornai indietro pensando che si trattasse di uno dei soliti simpatici scherzetti di Arnie. Non era così. Era partito, fatto e fuso. Arnie si era innamorato.
Lei era uno sgorbio e che cosa attirò Arnie quel giorno non lo saprò mai. Il lato sinistro del parabrezza era un’intricata ragnatela di crepe. La fiancata posteriore destra era ammaccata e corrosa dalla ruggine. Il paraurti posteriore era di traverso, il coperchio del baule era socchiuso e l’imbottitura dei sedili fuoriusciva dai lunghi strappi nel rivestimento. Qualcuno sembrava essersi divertito con un coltello. Una gomma era a terra. Le altre erano tanto malandate che si vedeva la camera d’aria. Per finire c’era una bella pozzanghera nera di olio sotto il blocco motore.
Arnie si era innamorato di una Plymouth Fury del 1958, una di quelle lunghe con le pinne grandi. C’era anche un cartello con la scritta VENDESI, ormai stinta dal sole, sul lato destro del parabrezza, quello che non era tutto crepato.
«Guarda che linee, Dennis!» bisbigliò Arnie. Correva intorno alla macchina come un invasato mentre ciocche di capelli sudaticci si sollevavano e gli ricadevano sul cranio. Provò la portiera posteriore del lato destro che si aprì con uno stridio.
«Arnie, mi stai prendendo per i fondelli, vero?» gli domandai. «Hai preso un colpo di sole, non è vero? Dimmi che è solo un colpo di sole. Adesso ti porto a casa, ti metto sotto il condizionatore d’aria e dimentichiamo tutta questa storia, okay?» Ma non ci speravo troppo. Era in gamba come burlone, ma in quel momento aveva l’aria di fare sul serio. Colsi invece sul suo viso un’espressione di istupidita follia che non mi piacque molto.
Non mi rispose neppure. Dalla portiera aperta venne fuori uno sbuffo di aria calda e stantia che puzzava di olio e di avanzata decomposizione. Sembrò non accorgersi nemmeno di quello. Montò in macchina e si sedette sul sedile posteriore tutto squarciato e stinto. A suo tempo, una ventina d’anni prima, era stato rosso. Adesso era di un rosa incerto.
Infilai dentro la mano per prendere un pezzetto di imbottitura. Lo guardai e lo soffiai via dal palmo. «Sembra che ci sia passata sopra l’Armata Rossa in marcia su Berlino», commentai.
Finalmente notò che io ero ancora lì. «Già… già… Ma la si può rimettere in sesto. Potrebbe… potrebbe venirne fuori una bella cosina. Un bell’elemento viaggiante, Dennis. Un gioiellino. Un…»
«Ehi! Ehi! Che cosa state armeggiando voi due?»
Era un vecchio che si stava godendo, più o meno, la sua settantesima estate. Ripensandoci, direi che era piuttosto sul meno. Mi diede l’impressione di uno di quei tipi che non se la godono molto. Aveva capelli lunghi e radi e una evidente psoriasi sulla pelata.
Indossava un paio di calzoni verdi da vecchio e scarpe scollate. Niente camicia. Aveva invece qualcosa allacciato attorno alla vita che mi sembrava un corsetto da donna. Quando fu più vicino mi accorsi che era un busto ortopedico. A occhio e croce l’ultima volta che se l’era cambiato doveva essere stato al tempo della morte di Lyndon Johnson.
«Che cosa state combinando?» chiese con voce stridula.
«Scusi, questa macchina è sua?» domandò Arnie. Non che ci fossero dubbi. La Plymouth era parcheggiata sul prato della casa dalla quale era uscito il vecchio. Il prato era orribile eppure sembrava più verde che mai con quel rottame a fare da contrasto.
«E se lo fosse?» ribatté il vecchio.
«Desidero…» e qui Arnie dovette deglutire «… desidero comperarla.»
Gli occhi del vecchio scintillarono. L’espressione burbera di prima scomparve e un lampo di furbizia e di avidità balenò nel suo sguardo. Alla fine esibì un largo sorriso splendente da lupo mannaro. Fu quello il momento, credo, proprio in quell’istante, che mi sentii dentro qualcosa di gelido e blu. Ci fu un momento, proprio quello, in cui pensai di tramortire Arnie e trascinarmelo via. Qualcosa mi colpì negli occhi del vecchio. Non solo lo scintillio. Qualcosa che stava dietro lo scintillio.
«Potevi dirlo subito», disse il vecchio ad Arnie. Gli tese la mano e Arnie gliela strinse. «Il mio nome è LeBay. Roland D. LeBay. Esercito degli Stati Uniti, in pensione.»
«Arnie Cunningham.»
Il vecchio gli afferrò con forza la mano e a me fece un vago cenno di saluto. Io ero fuori gioco: aveva trovato il suo pollo. Tanto valeva che Arnie gli consegnasse il portafogli.
«Quanto?» domandò Arnie. E qui si buttò allo sbaraglio. «Qualunque cifra chieda non è abbastanza.»
Io gemetti dentro di me invece di sospirare. Aveva appena tirato fuori anche il libretto d’assegni.
Per qualche istante il sorriso di LeBay si spense mentre i suoi occhi si stringevano in un’espressione sospettosa. Credo che stesse considerando la possibilità che lo si volesse gabbare. Studiò la faccia aperta e ansiosa di Arnie cercando di scovare qualche indizio di inganno e poi gli rivolse la domanda assassina: «Ragazzo, ha mai avuto una macchina?»
«Ha una Mustang Mach II», mi precipitai a spiegare io. «Gliel’hanno comperata i suoi. Ha un cambio Hurst e un compressore e si mangia la strada in prima. È…»
«No», confessò a voce bassa Arnie. «Ho preso la patente solo questa primavera.»
LeBay mi lanciò una breve ma significativa occhiata e poi tornò a dedicarsi al suo bersaglio. Si portò le mani al fondo della schiena e si stiracchiò. Mi arrivò alle narici una zaffata di sudore.
«Mi sono rovinato la schiena nell’esercito», spiegò. «Invalidità permanente. I dottori non sono mai riusciti a raddrizzarmela. Se qualcuno vi chiede che cosa c’è che non va nel mondo, ragazzi, ditegli che ci sono tre cose: i dottori, i comunisti e gli estremisti neri. Dei tre, i peggiori sono i comunisti, seguiti subito dai dottori. E se vogliono sapere chi ve l’ha detto, dite pure che è stato Roland D. LeBay. Sissignore.»
Toccò il vecchio cofano graffiato della Plymouth in un gesto un po’ assorto e affettuoso.
«È la macchina migliore che abbia mai avuto. La comperai nel settembre del 1957. A quei tempi era in settembre che uscivano i nuovi modelli. Per tutta l’estate vedevi foto di macchine nascoste da teloni finché morivi dalla voglia di sapere che cosa c’era sotto. Adesso non è più così.» Dalla sua voce trasparì il disprezzo per il decadimento dei tempi cui doveva assistere. «Nuova di zecca era. Aveva l’odore della macchina nuova di zecca e credo che sia l’odore più piacevole del mondo.»
Rifletté.
«A parte quello di figa.»
Guardai Arnie mordicchiandomi l’interno delle guance per impedirmi di rovinare tutto a suon di risate. Arnie si voltò fissandomi con aria stupita. Il vecchio era ormai partito per la tangente e continuava a parlare come se noi non ci fossimo.
«Trentaquattro anni color cachi», spiegò LeBay accarezzando il cofano dell’automobile. «Mi arruolai a sedici anni, nel 1923. Ho mangiato polvere nel Texas e ho visto granchi grossi come aragoste in certune di quelle tane di troia di Nogales. Ho visto uomini con le viscere che gli uscivano dalle orecchie durante la seconda guerra mondiale. In Francia. Gli intestini gli uscivano dalle orecchie. Ci credi, ragazzo?»
«Sissignore», rispose Arnie, ma non credo che avesse sentito una sola parola di quello che aveva detto LeBay. Continuava a spostarsi da un piede all’altro come se avesse un bisogno incontenibile di correre in bagno. «Per la macchina…»
«Andate all’università?» chiese all’improvviso LeBay. «Su a Horlicks?»
«No, signore, vado al liceo di Libertyville.»
«Bene», fece LeBay torvo. «State alla larga dalle università. Sono piene di leccanegri che vogliono dar via il canale di Panama. ‘Serbatoi di pensieri’, li chiamano. Serbatoi di merda, dico io.»
Guardò con affetto la macchina, con la sua gomma a terra e la sua vernice che maturava in ruggine nel sole del tardo pomeriggio.
«Mi feci male alla schiena nella primavera del ’57», spiegò. «L’esercito stava già andando alla malora a quei tempi. Ne venni fuori giusto in tempo. Tornai a Libertyville. Diedi un’occhiata in giro al parco macchine. Con calma. Poi andai dal concessionario della Plymouth, Norman Cobb, in fondo alla Main Street, dove adesso c’è la sala da bowling, e ordinai questa macchina. Gli dissi che la volevo rossa e bianca, modello dell’anno dopo. L’interno rosso come un’auto dei pompieri. Mi accontentarono. Quando la presi aveva fatto solo sei miglia. Sissignore.»
Sputò per terra.
Da sopra la spalla di Arnie lanciai un’occhiata al contamiglia. Il vetro era impolverato, ma riuscii lo stesso a leggere i numeri: 97.432. E sei decimi. Gesù pianse.
«Ma se vuole tanto bene a questa macchina, perché la vende?» gli chiesi.
Lui mi rivolse un sorriso al miele che mi mise la strizza addosso. «Stai cercando di mettermi sotto, ragazzo?»
Io non risposi, ma neppure abbassai lo sguardo.
Dopo esserci intensamente fissati per qualche momento, mentre Arnie, ignaro, passava lentamente una mano amorevole su una delle pinne posteriori, mi disse: «Non posso più guidare. La schiena è troppo malandata. E mi fanno cilecca anche gli occhi».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
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