Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di La città delle Bestie di Isabel Allende. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
La città delle Bestie: trama del libro
Alex ha 15 anni e vive in California: è un ragazzo come tanti, va a scuola, suona il flauto e ama scalare le montagne. All’improvviso la madre si ammala gravemente e la famiglia deve riorganizzarsi: Alex viene affidato alla nonna Kate, famosa giornalista sempre in giro per il mondo, ora in partenza per l’Amazzonia, alla ricerca di una creatura eccezionale avvistata nella foresta, una bestia di dimensioni mostruose e dai micidiali poteri che semina il terrore. I componenti della spedizione sono tutti personaggi fuori dal coune. C’è il severo professor Leblanc, l’affascinante dottoressa Torres, il taciturno fotografo inglese Timothy Bruce e il suo assistente messicano Gonzáles. Ci sono César, la guida brasiliana, e sua figlia Nadia che ha 13 anni, conosce molte bene le insidie della foresta e anche i trucchi per cavarsela, capisce gli indios, parla in una strana lingua con lo sciamano Walimai, sa comunicare con gli animali. Alex, invece, deve imparare a sopravvivere in una natura sconosciuta, immensa e insidiosa. Presto i due ragazzi, diventati amici inseparabili, sono costretti a porsi interrogativi sempre più inquietanti. Chi vuole sterminare gli indios? Qual è il mistero dell’acqua della vita e delle uova di cristallo? Chi è davvero la Bestaia? Uccide per crudeltà o sta tentando di difendere qualcuno? E dove vive il Popolo della Nebbia? La ricerca delle risposte porterà Alex e Nadia ad affrontare prove durissime: riusciranno a superarle?
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Guardò l’orologio: le sei e mezzo, ora di alzarsi. Fuori iniziava appena a schiarire. Decise che quella sarebbe stata una giornata orribile, una di quelle giornate in cui era meglio starsene a letto, visto che tanto sarebbe andato tutto storto. A volte, da quando la mamma si era ammalata, l’atmosfera in casa era pesante, come essere in fondo al mare. Allora l’unico sollievo era fuggire, andare a correre sulla spiaggia con Poncho fino a restare senza fiato. Ma non faceva altro che piovere da una settimana, un vero diluvio, e per giunta Poncho era stato morso da un cervo e non voleva saperne di muoversi. Alex era convinto che il suo fosse il cane più tonto del mondo, l’unico labrador di quaranta chili morso da un cervo. In quattro anni di vita, lo avevano attaccato orsetti lavatori, il gatto del vicino e adesso un cervo, per non contare tutte le volte in cui era stato spruzzato dalle moffette e si era dovuto fargli il bagno nella salsa di pomodoro per attenuare la puzza. Alex si alzò dal letto senza disturbare Poncho e si vestì tremando; il riscaldamento veniva acceso alle sei, ma non era ancora riuscito a intiepidire la sua camera, l’ultima del corridoio.
A colazione Alex era di cattivo umore, certo non dello spirito giusto per festeggiare gli sforzi del papà nel preparare le crêpe. John Cold non era esattamente quel che si dice un bravo cuoco: sapeva fare soltanto le crepe, che oltretutto gli venivano male, una specie di tortilla di caucciù. Per non offenderlo, i figli se le portavano alla bocca, ma alla prima occasione approfittavano per sputarle nella pattumiera. Avevano cercato inutilmente di allenare Poncho a mangiarsele: il cane era fesso, ma non così tanto.
“Quando starà meglio la mamma?” chiese Nicole, cercando di infilzare la crepe di gomma con la forchetta.
“Sta’ zitta, stupida” replicò Alex, stufo di sentire la sorellina ripetere la stessa domanda più volte alla settimana.
“La mamma morirà” commentò Andrea, la sorella più grande di Alex.
“Bugiarda! Non è vero che morirà!” strillò Nicole.
“Siete due mocciose e non capite niente di niente!” esclamò Alex.
“Su, ragazzi, calmatevi. La mamma guarirà…” li interruppe John senza convinzione.
Alex provò rabbia verso il padre, le sorelle, Poncho, la vita in generale e perfino la mamma, che aveva pensato bene di ammalarsi. Si allontanò dalla cucina a grandi passi, pronto a uscire di casa a stomaco vuoto, ma nel corridoio inciampò nel cane e cadde bocconi.
“Levati di mezzo, deficiente!” gli gridò e Poncho, allegramente, gli diede una sonora leccatona sulla faccia che gli lasciò gli occhiali coperti di saliva.
Sì, era decisamente una giornata nera. Poco dopo suo padre scoprì che aveva una ruota della jeep a terra e Alex dovette aiutarlo a cambiarla, ma persero comunque minuti preziosi e arrivarono tardi a scuola. Nella precipitosa uscita da casa, Alex si era dimenticato i compiti di matematica e ciò contribuì a peggiorare i rapporti col professore, quell’ometto patetico che, così gli sembrava, si era messo in testa di rendergli la vita impossibile. Come se non bastasse, aveva lasciato a casa anche il flauto e quel pomeriggio aveva una prova con l’orchestra della scuola; era il solista e non poteva certo mancare.
Fu proprio per il flauto che Alex dovette tornare a casa durante l’intervallo di mezzogiorno. La tempesta era cessata, ma il mare era ancora mosso e così lui non poté prendere la scorciatoia lungo la spiaggia perché le onde superavano la scogliera allagando la strada; prese quella lunga, di corsa, perché aveva solo quaranta minuti a disposizione.
Durante le ultime settimane, da quando la mamma era peggiorata, veniva una donna delle pulizie, ma aveva avvisato che quel giorno, a causa del temporale, non sarebbe andata. Comunque, non serviva a granché visto che la casa era perennemente sporca. Persino da fuori era evidente lo stato di degrado, come se tutto fosse diventato triste: già dal giardino, si coglieva un senso di abbandono, che si estendeva poi per tutte le camere, fino al più remoto degli angoli.
Alex aveva la sensazione che la sua famiglia era sul punto di sfasciarsi. Andrea, che era sempre stata piuttosto diversa rispetto alle sue coetanee, ora andava in giro travestita e si perdeva per ore in un suo mondo di fantasie in cui le streghe vigilavano dagli specchi e gli extraterrestri nuotavano nella minestra. Non aveva più l’età per queste cose, a dodici anni si sarebbe dovuta interessare ai ragazzi o ai buchi nelle orecchie, immaginava Alex. Dal canto suo, Nicole, la più piccola della famiglia, stava mettendo insieme uno zoo quasi a compensare le attenzioni che non poteva ricevere dalla mamma. Dava da mangiare a diversi orsetti lavatori e moffette che gironzolavano intorno alla casa; aveva adottato sei gattini e li teneva nascosti nel garage; aveva salvato la vita a un uccellaccio con un’ala rotta e custodiva una biscia lunga un metro in una scatola. Se la mamma l’avesse trovata sarebbe morta sul colpo dalla paura, ma era improbabile che ciò potesse succedere perché, quando non era all’ospedale, Lisa Cold passava le giornate a letto.
Fatta eccezione per le crepe di suo padre e per qualche tramezzino al tonno e maionese, specialità di Andrea, nessuno in casa cucinava da mesi. Nel frigorifero c’erano solamente succhi d’arancia, latte e gelati; per cena ordinavano al telefono pizze o cucina cinese. All’inizio sembrava quasi una festa, perché ognuno mangiava all’ora che voleva quel che gli pareva, più che altro dolci, ma ormai sentivano tutti la mancanza della dieta sana dei tempi normali. In quei mesi Alex aveva potuto capire quanto grande fosse la presenza della mamma e quanto pesasse ora la sua assenza. Gli mancavano le sue risate e il suo affetto, ma anche la sua severità. Era più rigida del papà e anche più furba; era impossibile ingannarla perché sembrava dotata di un terzo occhio in grado di vedere l’invisibile. Ora non si sentiva più la sua voce canticchiare in italiano, non c’erano né musica né fiori, e neanche quel tipico profumo di biscotti appena sfornati e di colori a olio. Prima sua madre riusciva a lavorare diverse ore nel suo laboratorio, a tenere la casa in modo impeccabile e ad accogliere i figli con i biscotti; ora a malapena si alzava e si aggirava per le stanze con aria sconcertata, come se non riconoscesse la sua casa, smunta, con gli occhi incavati e cerchiati da ombre. I suoi quadri, che prima sembravano autentiche esplosioni di colore, ora giacevano dimenticati sui cavalletti e i colori si seccavano nei tubetti. Lisa sembrava rimpicciolita, non era che un fantasma silenzioso.
Alex non aveva più nessuno a cui chiedere di grattargli la schiena o di tirargli su il morale quando si svegliava sentendosi uno straccio. Suo padre non era tipo da coccole. Andavano insieme a scalare montagne, ma parlavano poco; e poi John era cambiato, come tutti in famiglia. Non era più l’uomo sereno di prima, perdeva spesso la pazienza, non solo con i figli, ma anche con la moglie. A volte gridava rimproverando a Lisa di non mangiare abbastanza o di non prendere le medicine, ma immediatamente si pentiva dei suoi scatti e le chiedeva scusa, angosciato. Queste scene lasciavano Alex profondamente scosso: non tollerava di vedere la mamma priva di forze e il papà con gli occhi pieni di lacrime.
Arrivando a casa, quel mezzogiorno, si stupì di trovare la jeep di suo padre che in genere, a quell’ora, era a lavorare in ospedale.
Entrò dalla porta della cucina, che era sempre aperta, con l’intenzione di mangiare qualcosa, prendere il flauto e uscire a razzo per tornare a scuola. Diede un’occhiata in giro e vide solo i resti fossilizzati della pizza della sera prima. Rassegnato a tenersi la fame, si diresse verso il frigorifero alla ricerca di un bicchiere di latte. In quel momento sentì piangere. In un primo momento pensò che fossero i gattini di Nicole nel garage, ma si rese subito conto che il suono proveniva dalla camera dei suoi genitori. Senza intenzione di andare a spiare, in modo quasi automatico, la raggiunse e spinse dolcemente la porta socchiusa. Quel che vide lo lasciò di sasso.
In mezzo alla stanza c’era la mamma, in camicia da notte e scalza, seduta su uno sgabello, con il viso tra le mani, in lacrime. Il padre, dietro di lei, impugnava il vecchio rasoio da barba del nonno.
Lunghe ciocche di capelli neri coprivano il pavimento e le fragili spalle della mamma; la sua testa rapata brillava come marmo nella pallida luce che filtrava dalla finestra.
Per qualche secondo il ragazzo rimase paralizzato dallo stupore, incapace di raccapezzarsi in quella scena, senza capire cosa significavano i capelli per terra, la testa calva e quel rasoio nelle mani di suo padre che riluceva a pochi millimetri dal collo chino della mamma. Quando tornò in sé, un grido terribile gli salì dai piedi e un’ondata di follia lo scosse interamente. Si scagliò contro John e con uno spintone lo buttò a terra. Il rasoio fece un arco nell’aria, nel volo gli sfiorò la fronte e si conficcò di punta nel pavimento. La mamma iniziò allora a chiamarlo, tirandolo per i vestiti per separarlo dal padre, mentre lui sferrava colpi alla cieca, senza vedere dove andavano a parare.
“Basta, Alex, calmati, non è niente” supplicava Lisa trattenendolo con le sue poche forze mentre il padre si proteggeva la testa con le braccia.
Alla fine la voce della madre si fece largo nella sua mente e l’ira si spense in un attimo, cedendo il passo allo sconcerto e all’orrore per quel che aveva fatto. Si alzò in piedi e iniziò a indietreggiare barcollando; poi si mise a correre e si chiuse in camera sua. Trascinò la scrivania e sbarrò la porta, tappandosi le orecchie per non sentire i genitori che lo chiamavano. Rimase a lungo appoggiato al muro, a occhi chiusi, cercando di controllare l’uragano di sentimenti che lo scuoteva. Subito dopo cominciò a distruggere in modo sistematico tutto quello che c’era nella stanza. Staccò i poster dalle pareti e li sminuzzò uno a uno; impugnò la mazza da baseball e si avventò contro i quadri e le videocassette; polverizzò la sua collezione di macchinine antiche e di aerei della Prima guerra mondiale; strappò le pagine dei libri; squarciò con il coltellino svizzero il materasso e i cuscini; tagliuzzò i vestiti e le coperte e infine calpestò la lampada fino a ridurla in pezzi. Portò a compimento l’opera di devastazione senza fretta, con metodo, in silenzio, come chi realizza un compito fondamentale; si fermò solamente quando gli vennero meno le forze e non c’era più niente da distruggere. Il pavimento era ricoperto di piume e imbottitura del materasso, vetri, carta, stracci e pezzi di giocattoli. Annientato dalle emozioni e dalla fatica, Alex si buttò in mezzo a quel disastro raggomitolandosi come una chiocciola, con la testa tra le ginocchia, e pianse finché si addormentò.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice di origine cilena rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Isabel Allende.
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