Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Città di carta di John Green, romanzo edito in Italia da Rizzoli con un prezzo di copertina di 16,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto).
Città di carta: trama del libro
Quentin Jacobsen è sempre stato innamorato di Margo Roth Spiegelman, fin da quando, da bambini, hanno condiviso un’inquietante scoperta. Con il passare degli anni il loro legame speciale sembrava essersi spezzato, ma alla vigilia del diploma Margo appare all’improvviso alla finestra di Quentin e lo trascina in piena notte in un’avventura indimenticabile. Forse le cose possono cambiare, forse tra di loro tutto ricomincerà. E invece no.
La mattina dopo Margo scompare misteriosamente. Tutti credono che si tratti di un altro dei suoi colpi di testa, di uno dei suoi viaggi on the road che l’hanno resa leggendaria a scuola. Ma questa volta è diverso. Questa fuga da Orlando, la sua città di carta, dopo che tutti i fili dentro di lei si sono spezzati, potrebbe essere l’ultima.
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Di solito vado a scuola a piedi con il mio migliore amico, Ben Starling, ma quella mattina Ben era in orario, quindi niente da fare. “In orario” per noi significava trenta minuti prima dell’inizio delle lezioni, perché la mezz’ora che precedeva la campanella era il momento clou della nostra vita sociale, in cui ci piazzavamo a chiacchierare davanti alla porta laterale, da cui si entrava nell’aula della banda. Quasi tutti i miei amici facevano parte della banda, e nei giorni di scuola passavo gran parte del mio tempo libero a non più di sei metri da quell’aula. Io non ero nella banda perché quanto a orecchio musicale ero messo malissimo, praticamente sordo. Ero in ritardo di venti minuti, quindi tecnicamente ne avevo ancora dieci prima dell’inizio delle lezioni.
In macchina, mia madre si mise a farmi domande sulla scuola, sugli esami e sul ballo di fine anno.
«Sono contrario ai balli» le ricordai, mentre svoltava. Controllai con maestria i sobbalzi dei cereali, sfidando la forza di gravità. Ci ero abituato.
«Non c’è niente di male ad andarci con un’amica. Sono sicura che potresti invitare Cassie Fuk.» E in effetti avrei potuto andarci con Cassie, che era davvero carina, solare e simpatica, nonostante avesse un cognome terribilmente infelice.
«Non è solo che non mi piacciono i balli, è che non mi piacciono le persone che vanno ai balli» le spiegai. Non era vero, in realtà. Ben, per dire, era completamente rimbambito dalla prospettiva del ballo.
La mamma svoltò nel cortile della scuola e superammo un dosso artificiale a tutta velocità. Io strinsi la ciotola quasi vuota, reggendola con entrambe le mani. Scoccai un’occhiata al parcheggio degli studenti dell’ultimo anno. La Honda argento di Margo Roth Spiegelman era parcheggiata al suo solito posto. Mamma si lanciò nel vicoletto e mi salutò con un bacio sulla guancia. Vidi Ben e gli altri: erano già lì fuori, disposti in semicerchio.
Quando li raggiunsi, il cerchio si aprì spontaneamente per farmi spazio. Stavano parlando di Suzie Chang, la mia ex, che suonava il violoncello e che, a quanto pareva, aveva fatto molto parlare di sé da quando usciva con un giocatore di baseball, un certo Taddy Mac. Non sapevo se fosse il suo vero nome o un soprannome. Di certo Suzie aveva deciso di andare al ballo con lui, con questo Taddy Mac. Un’altra vittima.
«Fratello» mi disse Ben, che era di fronte a me. Mi fece un cenno con la testa e si voltò. Lo seguii fuori dal cerchio. Ben, un ragazzo minuto e dalla pelle olivastra, non ancora del tutto uscito dalla pubertà, era il mio migliore amico da quando, in quinta, ci eravamo arresi al fatto che nessuno dei due avrebbe mai potuto trovare un altro migliore amico. E in più lui ce la metteva tutta, cosa che mi piaceva… il più delle volte.
«Come andiamo?» gli chiesi. Eravamo al sicuro lì, coperti dalle voci degli altri.
«Radar andrà al ballo» mi disse cupo. Radar era l’altro nostro migliore amico. Lo chiamavamo così perché somigliava a un tizio piccolo e occhialuto di un vecchio telefilm, M*A*S*H*, a parte che 1. Il Radar della tivù non era nero e che 2. Dopo che gli avevamo dato quel soprannome, il nostro Radar era cresciuto di circa quindici centimetri e si era messo le lenti a contatto. La verità era quindi che 3. Il Radar di M*A*S*H* non gli assomigliava affatto, ma che 4. Dato che mancavano solo tre settimane alla fine della scuola non gli avremmo dato un altro soprannome.
«Con quella sua Angela?» ho chiesto. Radar non ci aveva mai parlato delle sue storie, ma questo non ci impediva di farci i fatti suoi.
Ben annuì. «Hai presente il mio piano geniale di invitare al ballo qualche pulzella di primo pelo perché sono le uniche che non conoscono la storia di Ben il Sanguinolento?» Annuii.
«Be’, stamattina una tenera pollastrella del primo anno è venuta a chiedermi se sono io Ben il Sanguinolento. Ho cominciato a spiegarle che era un’infezione renale, ma lei è scappata via ridacchiando. Quindi niente da fare, non ho speranze.»
In decima Ben è stato ricoverato per un’infezione ai reni, ma Becca Arrington, la migliore amica di Margo, ha sparso la voce che il vero motivo per cui Ben aveva sangue nelle urine era la sua cronica abitudine alla masturbazione. Questa storia, del tutto irrealistica dal punto di vista medico, ha reso la vita di Ben un inferno. «Che palle» dissi io.
Ben prese a espormi i suoi piani alternativi per trovarsi una ragazza per il ballo, ma io non lo ascoltavo quasi più perché, in mezzo alla fitta calca di ragazzi radunati in corridoio, avevo intravvisto Margo Roth Spiegelman. Era accanto al suo armadietto, insieme a Jase, il suo ragazzo. Indossava una gonna bianca al ginocchio e un top blu. Riuscivo a vederle la clavicola. Stava ridendo in modo isterico, piegata in avanti, con gli occhi strizzati e la bocca mezza aperta. Non sembrava che ridesse per qualcosa che aveva detto Jase, perché guardava lontano, verso una fila di armadietti dall’altra parte del corridoio. Seguii il suo sguardo e vidi Becca Arrington che pendeva da un giocatore di baseball come se fosse una decorazione e lui un albero di Natale. Sorrisi a Margo, anche se sapevo che non poteva vedermi.
«Fratello, devi farti avanti. Lascia perdere Jase. Margo è una pollastrella di primissima scelta.»
Continuai a lanciarle occhiate mentre camminavamo, una serie di istantanee intitolata La perfezione resta immobile mentre i comuni mortali le passano accanto. Man mano che ci avvicinavamo, iniziai a pensare che non stava proprio ridendo. Dovevano averle fatto una sorpresa, o un regalo. Non si decideva a chiudere la bocca.
«Già» dissi a Ben, sempre distratto e impegnato a guardarla il più possibile senza farmi notare. Non era solo carina. Era da urlo. Letteralmente. E un attimo dopo ero già troppo lontano, e c’erano già troppe persone a separarci. Non mi ero avvicinato abbastanza per riuscire a sentire che cosa diceva e capire quale fosse l’esilarante sorpresa in questione. Ben scosse la testa: mi aveva visto guardarla una marea di volte e ci aveva fatto il callo.
«Per essere sexy è sexy, te lo concedo, non poi più di tanto. Sai chi è davvero sexy?»
«Chi?» chiesi.
«Lacey» mi rispose. Lacey era l’altra migliore amica di Margo. «E poi tua mamma, fratello. L’ho vista stamattina che ti baciava sulla guancia e perdonami, ma ti giuro su Dio che… ho pensato cavolo, vorrei essere Q. E avere dei peni sulle guance.» Gli diedi una gomitata nelle costole, ma stavo ancora pensando a Margo, perché lei era una vera leggenda, l’unica leggenda che abitasse proprio accanto a me. Margo Roth Spiegelman, il cui nome di sei sillabe veniva spesso pronunciato e scandito tutto insieme con tono reverenziale. Margo Roth Spiegelman, i cui racconti di avventure epiche imperversavano sulla scuola come un temporale estivo. Margo Roth Spiegelman, a cui un vecchio che viveva in una casa diroccata a Hot Coffee, nel Mississippi, aveva insegnato a suonare la chitarra. Margo Roth Spiegelman, che aveva viaggiato per tre giorni insieme alla compagnia di un circo: era portata per il trapezio, a quanto pareva. Margo Roth Spiegelman, che aveva sorseggiato una tazza di infuso alle erbe nel backstage dei Mallionaires dopo un concerto a St. Louis, mentre loro bevevano whisky. Margo Roth Spiegelman, che era piombata al concerto dicendo al buttafuori di essere la ragazza del bassista e loro avevano detto che non la conoscevano e lei dai, ragazzi, sul serio, mi chiamo Margo Roth Spiegelman e se andate dal bassista e gli chiedete di darmi un’occhiata, lui vi dirà che sono la sua ragazza o che vorrebbe che lo fossi, e alla fine il buttafuori era andato dal bassista e lui aveva detto: “Sì, è la mia ragazza, fatela entrare” e poi ci aveva provato con Margo e lei aveva detto di no al bassista dei Mallionaires.
Questi racconti, che passavano di bocca in bocca, finivano inevitabilmente con Ti rendi conto? E noi il più delle volte no, non ce ne rendevamo conto e non ci credevamo, ma alla fine saltava fuori che erano proprio veri.
Arrivammo agli armadietti. Radar era appoggiato all’armadietto di Ben e digitava qualcosa su un palmare.
«Quindi andrai al ballo» gli dissi. Alzò gli occhi per riabbassarli un attimo dopo.
«Sto de-vandalizzando una pagina di Omnictionary su un ex presidente francese. La notte scorsa qualcuno ha cancellato tutta la voce rimpiazzandola con la frase “Jacques Chirac è gey” che è falsa, oltre che sgrammaticata.» Radar è uno dei principali editor di questa enciclopedia online, creata e gestita dagli utenti, che si chiama Omnictionary. Tutta la sua vita è dedicata all’aggiornamento e alla cura di Omnictionary. E questa è una delle tante ragioni per cui il fatto che si fosse trovato una ragazza per il ballo era alquanto sorprendente.
«Quindi andrai al ballo» ripetei.
«Mi dispiace» disse senza alzare lo sguardo. Era risaputo che non mi piacevano i balli. Non avevano nulla che mi attirasse: né i lenti né i balli veloci né i vestiti né tantomeno gli smoking noleggiati. Noleggiare uno smoking mi sembrava un sistema perfetto per contrarre un morbo orribile dal precedente locatario, e io non aspiravo certo a diventare l’unico vergine al mondo con i pidocchi sui genitali.
«Fratello» disse Ben a Radar, «le pollastrelle sanno la storia di Ben il Sanguinolento.» Radar mise finalmente via il suo palmare e annuì, solidale. «Quindi mi restano due sole possibilità» riprese Ben. «Comprare una ragazza su Internet o volare in Missouri e rapire una di quelle succulente pollastrelle venute su a granoturco.» Avevo provato a spiegare a Ben che “pollastrella” suonava più sessista e rozzo che retro-cool, ma lui non mi aveva dato retta. Chiamava così anche sua madre. Non c’era speranza.
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