Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Colorado Kid di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 8,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Colorado Kid: trama del libro
Fresca fresca di scuola di giornalismo, la ventenne Stephanie McCann sta facendo uno stage presso il minuscolo quotidiano di un’impervia isoletta del Maine, dove si occupa di picnic parrocchiali, sparizione di gatti e altre amenità. Ma sente che l’esame più importante deve ancora arrivare… E infatti un solitario pomeriggio i due anziani proprietari – nonchè unica forza lavoro – della testata, con il pretesto di raccontarle un vecchio caso di cronaca l’avviluppano nelle spire di una vicenda inspiegabile e intrigante. Una storia del passato che parla di una coppia di tenaci reporter e di un cadavere chiamato Colorado Kid, di una morte che forse era un omicidio, ma senza movente, senza alibi, con tempi impossibili e indizi assurdi. La loro storia. Il loro mistero. Accaduto proprio lì. In venticinque anni, ogni piccola, faticosa scoperta anzichè chiarire i fatti li ha ammantati di oscurità, ogni risposta anzichè esaurire le domande le ha moltiplicate. Perchè? Perchè? Riuscirà Steffi a risolvere l’enigma? E soprattutto, saprà coglierne il vero significato?
Andatosene il giornalista del Globe, Vince Teague s’allungò sul tavolo e sfilò le banconote, due pezzi da cinquanta, da sotto la saliera. Le fece scivolare in una tasca ad aletta della vecchia ma pratica giacca di tweed con un’espressione di indiscutibile soddisfazione.
«Ma che cosa fai?» domandò Stephanie McCann, sapendo quanto piacesse a Vince sorprendere le «sue giovani ossa», come diceva lui, (piaceva un sacco a tutti e due, per la verità), ma incapace in quel momento di dominare lo sconcerto nella voce.
«A te cosa sembra?» Vince sembrava più soddisfatto che mai. Fatto scomparire il denaro, lisciò l’aletta sulla tasca e mangiò l’ultimo pezzetto del suo panino all’aragosta. Quindi si tamponò le labbra con il tovagliolo di carta e con destrezza acchiappò al volo il piattino di plastica del giornalista quando una nuova folata di brezza salmastra cercò di portarlo via. La sua mano era quasi grottesca, deformata com’era dall’artrite, ma fulminea nonostante tutto.
«Sembra che tu abbia appena preso i soldi che il signor Hanratty aveva lasciato per pagare il nostro pasto», rispose Stephanie.
«Ayuh, la vista non ti fa difetto, Steff», confermò Vince e rivolse una strizzatina d’occhio delle sue all’altro uomo seduto al tavolo. Questi era Dave Bowie, che sembrava più o meno coetaneo di Vince Teague e invece aveva venticinque anni meno di lui. Era tutta questione dell’attrezzatura che vincevi alla lotteria, sosteneva Vince; la si faceva andare finché schiattava, rappezzandola quando serviva, e lui era sicuro che anche coloro che vivevano cent’anni, come sperava di fare a sua volta, alla fine avevano l’impressione che fosse trascorso più o meno un pomeriggio estivo.
«Ma perché?»
«Hai paura che abbia intenzione di piantare un chiodo al Gull e farci andare di mezzo Helen?» le chiese lui.
«No… chi è Helen?»
«Helen Hafner, quella che ci ha serviti.» Con un cenno della testa, Vince indicò la donna sulla quarantina, un po’ sovrappeso, che stava portando via piatti sporchi da un tavolo in fondo al patio. «Perché è la politica di Jack Moody… sto parlando del proprietario di questo lodevole luogo di ristorazione. Nonché di suo padre prima di lui, se ti interessa…»
«Mi interessa», disse lei.
David Bowie, direttore del Weekly Islander per poco meno degli anni che Helen Hafner aveva vissuto, si protese in avanti per posare la sua mano tozza su quella aggraziata e giovane di lei. «Lo so», commentò. «Anche Vince lo sa. È per questo che per raccontare la sta prendendo da Adamo ed Eva.»
«Perché è ora di scuola», disse lei sorridendo.
«Infatti», ribatté Dave. «E qual è il bello per dei vecchietti come noi?»
«Poter insegnare solo a chi ha voglia di imparare.»
«Proprio così», annuì Dave e tornò ad appoggiarsi allo schienale. «Questo è il bello.» Non indossava una giacca, né di abito né sportiva, bensì un vecchio maglione verde. Era agosto e, nonostante la brezza che veniva dall’oceano, secondo Stephanie sul patio del Gull faceva abbastanza caldo, ma sapeva che entrambi i suoi compagni erano particolarmente freddolosi. Nel caso di Dave, la meravigliava un po’; aveva solo sessantacinque anni e pesava almeno una decina di chili di troppo. Vince Teague, invece, sebbene non dimostrasse più di settant’anni (e una sorprendete agilità a dispetto delle mani deformate), ne aveva appena compiuti novanta ed era secco come un grissino. «Uno stecco farcito» lo chiamava la signora Pinder, segretaria part-time dell’Islander. Di solito con uno sprezzante arricciar del naso.
«La politica del Grey Gull è che le cameriere sono responsabili del conto dei loro tavoli fino al momento in cui quel conto non viene pagato», spiegò Vince. «È una cosa che Jack mette in chiaro con tutte quelle che gli si rivolgono in cerca di lavoro, in modo che poi non abbiano ad andare da lui a piagnucolare dicendo che non sapevano di doverne rispondere.»
Stephanie contemplò il patio, che era ancora pieno per metà all’una e venti, poi allungò lo sguardo nella sala da pranzo principale, quella che si affacciava su Moose Cove. Lì quasi tutti i tavoli erano ancora occupati e sapeva che dal Memorial Day fino alla fine di luglio, ci sarebbe stata una coda fuori del ristorante fin quasi alle tre del pomeriggio. Bolgia controllata, in altre parole. Aspettarsi che tutte le cameriere non perdessero il conto di ogni singolo cliente mentre si spaccavano il culo correndo di qua e di là con vassoi di aragoste e frutti di mare fumanti…
«Non mi sembra molto…» Lasciò la frase in sospeso, chiedendosi se quei due vecchi, che probabilmente stampavano il loro giornale già prima dell’esistenza del minimo salariale, avrebbero riso del suo commento se lo avesse portato a termine.
«Corretto è forse la parola che stavi cercando», mormorò asciutto Dave allungandosi a prendere un panino. Era l’ultimo nel cestino.
La parola corretto gli era uscita di bocca premasticata, storpiata dalla pronuncia yankee. Stephanie era di Cincinnati, Ohio, e quando era arrivata su Moose-Lookit Island per il suo internato al Weekly Islander era stata colta quasi dalla disperazione: come avrebbe potuto apprendere qualcosa quando capiva sì e no una parola ogni sette? E se avesse continuato a chiedere loro di ripetere, quanto tempo avrebbe resistito prima che concludessero che era un’idiota?
Era stata sul punto di abbandonare dopo i primi quattro giorni di un programma di apprendistato della durata di quattro mesi organizzato dall’Università dell’Ohio, quando un giorno Dave l’aveva presa in disparte e le aveva detto: «Non mollare, Steffi, vedrai che cliccherà». E così era stato. Di punto in bianco, le era sembrato, quell’accento le era diventato comprensibile. Era stato come se avesse avuto nell’orecchio una bolla che tutt’a un tratto, fosse scoppiata. Sarebbe potuta forse rimanere lì per il resto della vita senza mai parlare come loro, ma quanto a capirli… Ayuh, nessun problema.
«Era la parola che volevo», confermò.
«E che nel vocabolario di Jack Moody non è mai esistita, se non forse applicata al caffè», replicò Vince, quindi, senza cambiare tono di voce, aggiunse: «Molla quel panino, David Bowie, stai mettendo su ciccia a vista d’occhio, mangi come un porco, strano che non grufoli».
«L’ultima volta che ho controllato, non eravamo sposati», rispose Dave e mangiò un altro boccone di panino. «Non sei capace di raccontarle quello che ti passa per quella cosa che pretendi di chiamare mente senza prendertela con me?»
«Che carino, eh?» lo apostrofò Vince. «Nessuno gli ha insegnato che non si deve parlare con la bocca piena.» Agganciò un braccio allo schienale della sedia e la brezza che veniva dall’oceano scintillante gli sollevò i sottili capelli bianchi sulla fronte. «Steffi, Helen ha tre figli tra i dodici e i sei anni e un marito che l’ha piantata in asso. Non vuole lasciare l’isola e se riesce a sbarcare il lunario, appena appena, facendo la cameriera al Grey Gull è solo perché le estati sono un po’ più grasse di quanto siano gli inverni. Mi segui?»
«Sì, assolutamente», rispose Stephanie e proprio allora la signora in questione si avvicinò al loro tavolo. Stephanie notò che il collant contenitivo non nascondeva del tutto le vene varicose e che aveva le occhiaie.
«Vince, Dave», disse la cameriera, limitandosi a un breve cenno di capo alla graziosa giovane donna di cui non conosceva il nome. «Ho visto che il vostro amico è scappato. A prendere il ferry?»
«Già», le rispose Dave. «Ha scoperto di dover tornare a Boston.»
«Ayuh? Qui avete finito?»
«Oh, dacci ancora un minuto», la pregò Vince. «Ma quando vuoi, portaci pure il conto, Helen. I ragazzi stanno bene?»
Helen Hafner fece una smorfia. «L’altra settimana Jude è cascato dalla sua casa sull’albero e si è rotto un braccio. Dovevi sentire come urlava! Mi ha spaventata a morte!»
I due uomini si scambiarono un’occhiata… poi risero. Smisero subito, con un’aria imbarazzata, e Vince le espresse la sua solidarietà, ma Helen non si lasciò incantare.
«Bravi gli uomini, che ci ridono sopra», disse a Stephanie con un sorriso stanco e un po’ maligno. «Da bambini, tutti sono caduti dalle case sugli alberi e si sono rotti un braccio e tutti ricordano che razza di piccoli pirati erano. Quello che non ricordano è la mamma che si alzava in piena notte a dar loro l’aspirina. Vi porto il conto.» Ciabattò via strisciando i piedi in un paio di scarpe da tennis con i calcagni distrutti.
«È una brava donna», mormorò Dave, che aveva il garbo di sembrare almeno un po’ mortificato.
«Senza dubbio», fece eco Vince. «E se ci ha tirati un po’ su di peso è perché ce lo siamo meritati. Comunque, ecco come funziona con il conto, Steffi. Non so che cosa possano costare a Boston tre panini all’aragosta, una portata completa di aragosta con verdure al vapore e quattro tè freddi, ma quel giornalista dev’essersi dimenticato che quassù noi viviamo in quella che un economista definirebbe ‘il capo della filiera’ e ha mollato sul tavolo ben cento dollari. Se Helen ci porta un conto di più di cinquantacinque, faccio un bel sorriso e bacio un maiale. Fin qui ci sei?»
«Sì, certo», rispose Stephanie.
«Ora, quello che fa il nostro amico del Globe sul traghetto, è annotare Colazione, Grey Gull, Moose-Lookit Island e Serie Misteri Inspiegati sul suo personale conto spese del giornale e se è onesto scriverà cento dollari e se invece nasconde nell’animo un briciolo di furfanteria, scriverà centoventi e userà gli extra per portare la sua ragazza al cinema. Ci sei?»
«Sì», rispose Stephanie e lo guardò con occhi colmi di rimprovero mentre finiva il suo tè freddo. «Credo che tu sia molto cinico.»
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.
Lascia un commento