Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti, romanzo edito in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 16,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Come Dio comanda: trama del libro
Rino ha trentasei anni, è ostinato, violento e xenofobo, ma adora suo figlio. Cristiano ha tredici anni, è timido, alto e sottile, e sa che quel padre ubriacone è la sola persona su cui può contare. Vivono in una periferia del Nord-est, tra desolazione e centri commerciali. Soli contro il mondo, hanno per amici due tipi poco raccomandabili, Quattro Formaggi e Danilo. È con questi che Rino programma la rapina che dovrà riscattare le loro vite: scassinare un bancomat con l’aiuto di un trattore. La notte del colpo, però, si scatena un furioso temporale, e una ragazzina bionda apparsa dalle tenebre e dal fango fa deviare i destini di tutti.
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Cristiano Zena aprí la bocca e si aggrappò al materasso come se sotto ai piedi gli si fosse spalancata una voragine.
Una mano gli strinse la gola. – Svegliati! Lo sai che devi dormire con un occhio solo. È nel sonno che t’inculano.
– Non è colpa mia. La sveglia… – farfugliò il ragazzino, e si liberò dalla morsa. Sollevò la testa dal cuscino.
Ma è notte, pensò.
Fuori dalla finestra era tutto nero tranne il cono giallo del lampione in cui affondavano fiocchi di neve grossi come batuffoli di cotone.
– Nevica, – disse a suo padre, in piedi al centro della stanza.
Una striscia di luce s’infilava dal corridoio e disegnava la nuca rasata di Rino Zena, il naso a becco, i baffi e il pizzo, il collo e la spalla muscolosa. Al posto degli occhi aveva due buchi neri. Era a petto nudo. Sotto, i pantaloni militari e gli anfibi sporchi di vernice.
Come fa a non avere freddo?, si domandò Cristiano allungando le dita verso la lampada accanto al letto.
– Non accenderla. Mi dà fastidio.
Cristiano si accoccolò nel groviglio caldo di coperte e lenzuola. Il cuore gli batteva ancora forte. – Perché mi hai svegliato?
Poi si accorse che suo padre stringeva in mano la pistola. Quando era ubriaco spesso la tirava fuori e girava per casa puntandola sul televisore, sui mobili, sulle luci.
– Come fai a dormire? – Rino si voltò verso il figlio.
Aveva la voce impastata come se avesse ingoiato un pugno di gesso.
Cristiano si strinse nelle spalle. – Dormo…
– Bravo –. Suo padre tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una lattina di birra, l’aprí e la finí in un sorso e si pulí la barba con un braccio, poi l’accartocciò e la buttò a terra. – Non lo senti, il bastardo?
Non si sentiva niente. Nemmeno le macchine che di giorno e di notte sfrecciavano davanti a casa e che se chiudevi gli occhi avevi l’impressione ti entrassero nella stanza.
È la neve. La neve copre i rumori.
Suo padre si avvicinò alla finestra e poggiò la testa sul vetro umido di condensa. Ora la luce in corridoio gli dipingeva i deltoidi e il cobra tatuato sulla spalla. – Dormi troppo pesante. In guerra a te ti bevono per primo.
Cristiano si concentrò e sentí lontano l’abbaiare rauco del cane di Castardin.
Ci si era talmente abituato che oramai le sue orecchie non lo percepivano piú. Stesso discorso per il ronzio del neon in corridoio e lo sciacquone rotto del cesso.
– Il cane?
– Ce l’hai fatta… Incominciavo a preoccuparmi –. Suo padre si girò di nuovo verso di lui. – Non ha smesso un minuto. Neppure sotto la neve.
Cristiano si ricordò cosa stava sognando quando suo padre lo aveva svegliato.
Giú in soggiorno, vicino alla televisione, in un grande acquario fosforescente c’era una medusa verde e gelatinosa che parlava una lingua stranissima, tutta c, z, r. E la cosa bella era che lui la capiva perfettamente.
Ma che ore sono?, si chiese sbadigliando.
Il quadrante luminoso della radiosveglia poggiata a terra segnava le tre e ventitre.
Suo padre si accese una sigaretta e sbuffò: – Ha rotto il cazzo.
– È mezzo scemo, quel cane. Con tutte le bastonate che ha preso…
Ora che il cuore aveva smesso di marciargli in petto, Cristiano sentí il sonno premergli sulle palpebre. Aveva la bocca secca e il sapore dell’aglio del pollo della rosticceria. Forse, bevendo, quello schifo se ne sarebbe andato, ma faceva troppo freddo per scendere giú in cucina.
Gli sarebbe piaciuto riprendere il sogno della medusa lí dove lo aveva lasciato. Si stropicciò gli occhi.
Perché non te ne vai a letto? La domanda gli scappava, ma la trattenne. Da come suo padre si aggirava per la stanza non sembrava molto intenzionato ad abbattersi.
Tre stelle.
Cristiano aveva una scala di cinque stelle per stabilire l’incazzatura di suo padre.
Anzi, fra le tre e le quattro stelle. Già in zona «stai molto attento», dove l’unica strategia era quella di dargli sempre ragione e stargli il piú possibile lontano dai coglioni.
Suo padre si voltò e diede un calcio violento a una sedia di plastica bianca che rotolò per la stanza e finí contro il mucchio di scatoloni in cui Cristiano teneva i suoi panni. Si era sbagliato. Quelle erano cinque stelle. Allarme rosso. Qui l’unica strategia era ammutolirsi e confondersi con l’ambiente.
Era da una settimana che a suo padre rodeva il culo. Qualche giorno prima se l’era presa con la porta del bagno che non si apriva. La serratura era rotta. Per un paio di minuti aveva provato ad armeggiare con un cacciavite. Se ne stava lí, in ginocchio, a bestemmiare, a insultare Fratini, il ferramenta che gliel’aveva venduta, i fabbricanti cinesi che l’avevano costruita con la latta, i politici che permettevano d’importare quella merda, ed era come se fossero tutti lí, proprio davanti a lui, e niente, quella porta non ne voleva sapere di aprirsi.
Un pugno. Uno piú forte. Un altro. La porta sussultava sui cardini, ma non si apriva. Rino era andato in camera, aveva preso la pistola e aveva sparato contro la serratura. Ma quella non si era aperta. Aveva solo prodotto un botto assordante che aveva rintronato Cristiano per mezz’ora.
Una cosa buona c’era stata: Cristiano aveva imparato che è una stronzata quella che si vede nei film, dove se spari alle serrature le porte si aprono.
Alla fine suo padre l’aveva presa a calci. L’aveva sfondata urlando e strappando pezzi di legno con le mani. Quando era entrato nel bagno aveva dato un pugno allo specchio e le schegge erano finite dovunque e lui si era aperto una mano ed era rimasto un sacco di tempo a sgocciolare sangue seduto sul bordo della vasca, fumandosi una sigaretta.
– E a me cosa me ne frega se quel cane è scemo? – riprese Rino dopo averci pensato un po’ su. – Mi ha rotto i coglioni. Io domani devo lavorare…
Si avvicinò al figlio e si sedette sul bordo del letto. – La sai una cosa che mi dà veramente fastidio? La mattina, quando faccio la doccia, uscire fuori tutto bagnato e mettere i piedi a terra, sulle mattonelle gelate, rischiando pure di rompermi l’osso del collo –. Gli sorrise, caricò la pistola e gliela porse reggendola per la canna: – Stavo pensando che ci vorrebbe proprio un bel tappetino di cane.
2.
Alle tre e trentacinque di notte Cristiano Zena uscí di casa indossando stivali di gomma verdi, i pantaloni a scacchi del pigiama e la giacca a vento di suo padre. In una mano stringeva la pistola, nell’altra la torcia elettrica.
Cristiano era un ragazzino esile, alto per i suoi tredici anni, con i polsi e le caviglie sottili, le mani lunghe e scheletriche e il quarantaquattro di piede. In testa gli cresceva un cespo ingarbugliato di capelli biondicci che non riuscivano a nascondere le orecchie a sventola e che proseguivano sulle guance con due basette poco curate. Gli occhi grandi e azzurri divisi da un nasino piccolo e all’insú, e una bocca troppo larga per quel viso smilzo.
La neve scendeva giú fitta. L’aria era ferma. E la temperatura era di qualche grado sotto lo zero.
Cristiano si cacciò in testa un cappello di lana nera, sbuffò una nuvoletta di condensa e puntò la luce sul cortile.
Uno strato di neve copriva la ghiaia, il vecchio dondolo arrugginito, i cassonetti della spazzatura, un mucchio di mattoni, il furgone. La statale, che passava proprio davanti alla casa, era una lunga e immacolata striscia bianca. Nemmeno un segno di pneumatici a rovinarla. Il cane continuava ad abbaiare lontano.
Chiuse la porta di casa e s’infilò meglio il pigiama negli stivali di gomma.
«Vai, forza. È una stronzata. Che ci vuole? Gli spari in testa, mi raccomando in testa se no si mette a guaire e ti tocca sparargli un’altra volta, e te ne torni a casa. Tra dieci minuti sei di nuovo a letto. Dài, guerriero». Il discorsetto che suo padre gli aveva fatto quando l’aveva tirato fuori dal letto gli risuonò in testa.
Alzò lo sguardo. La sagoma scura di suo padre era dietro la finestra e gli faceva segno di muoversi. S’infilò la pistola nelle mutande. Il freddo dell’acciaio gli raggrinzí lo scroto.
Fece un cenno al padre e si avviò con il suo passo incerto verso il retro della casa mentre il cuore lentamente cominciava a salire di ritmo.
3.
Rino Zena guardava dalla finestra suo figlio uscire di casa sotto la neve.
Aveva finito la birra e la grappa. E questo è un bel guaio di per sé, ma se in piú hai un fischio acuto come un punteruolo che ti trafora i timpani diventa un vero problema.
Quel sibilo era cominciato quando Rino aveva sparato alla porta del bagno e anche se era passata una settimana non diminuiva.
Forse mi sono rotto un timpano. Dovrei andare da un medico, si disse accendendosi una sigaretta.
Ma Rino Zena si era giurato che sarebbe entrato in un ambulatorio solo a zampe in avanti.
Lui non ci finiva nella trappola.
Quei bastardi incominciano col dirti che ti devi fare una serie di analisi cosí entri nel tunnel e grazie e arrivederci. Se non ti stronca la malattia, ci pensano i debiti che devi fare per curarti.
Rino Zena aveva passato la sera accasciato su una sedia a sdraio davanti alla televisione, ubriaco fradicio. Con due fessure al posto degli occhi, la mandibola appesa e una lattina in mano aveva tentato di seguire un programma assurdo, che ogni tanto gli si sfocava davanti.
Da quello che era riuscito a capire c’erano due mariti che accettavano di scambiarsi le mogli per una settimana e lo sapeva solo Iddio perché.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore romano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Niccolò Ammaniti.
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