Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Comici spaventati guerrieri di Stefano Benni. Il romanzo è pubblicato in Italia da Feltrinelli con un prezzo di copertina di 9,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Comici spaventati guerrieri: trama del libro
Comici spaventati guerrieri è ambientato in una calda estate cittadina e narra di alcune indagini “fai-da-te” da parte di alcuni bizzarri personaggi. La morte di Leo Leone con una fucilata da parte di ignoti nei pressi del ConDominio di Bessico scatena immediatamente la curiosità dei suoi amici che partono da un quartiere di periferia per attraversare la città con lo scopo di raccogliere più informazioni possibili. La polizia, dal canto suo, non ha indizi o non vuole trovarne dal momento che il ConDominio è abitato da personalità influenti. Il commissario Porzio ritiene che non sia il caso di turbare troppo la tranquillità delle persone per la morte di un ladruncolo e scoraggia in qualche modo anche la stampa ad occuparsene. Ma il professor Lucio Lucertola conosceva bene il suo ex allievo, per questo motivo decide di partecipare a questa traversata in compagnia del suo fedele scudiero Luca Lupetto. Nell’impresa parteciperanno anche altri amici tra i quali Lucia, la morosa di Leo, e Lee, esperto di kung-fu, che fugge dalla clinica psichiatrica e sarà, per altro, l’autore di un monologo molto commovente che, già da solo, racchiude il nocciolo del libro.
In ebook Comici spaventati guerrieri (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 6,99 euro.
Lucio Lucertola sta ora sospeso trenta metri sulla crosta terrestre, in un terrazzo aggrappato alla parete nord del Monte Tre nella catena dei Periferici, i cui seimila appartamenti si snodano con il loro carico di malinconie pensili dal quartiere Fagiolo a est al passo dei Quattro Benzinai a ovest. Il quartiere che Lucio sta esaminando in veduta aerea deve il suo nome al fiume Fagiolo, così chiamato per la purezza delle sue acque, le quali ricordano appunto la minestra che si ottiene strangolando detto legume. Questo fiume, ormai ridotto a rigagnolo, non ha altro compito se non di accogliere con pazienza lo sfregio delle spazzature, spargere ogni tanto all’intorno maestralate di fogna e ospitare qualche rana che finisce poi spalmata sull’asfalto dalle auto degli indigeni. Vi si pescano orrendi pesci bitorzoluti con occhi sbarrati che sembran dire: grazie di averci portato via di lì.
Oggi (luglio, estate) il quartiere è deserto. Sporgendosi giù, come nel dipinto cinese ove un uomo sul ponte guarda nell’altro mondo acquatico una carpa, Lucio scopre ben pochi animali aggirarsi nell’afa del mattino. Due cani randagi della specie salcicciometiccio, uno scarabeo stercorario che spinge davanti a sé un gran carretto di cartoni, un lavatore solitario di macchina, un Mottarello ambulante, negretto commerciante nel ramo elefantini di legno. Più lontano, su una panchina dei giardinetti Kennedy, un vecchio è sdraiato per un riposo non si sa se meridiano o eterno.
Il terrazzino di Lucio Lucertola è un regolare terrazzino da periferia con un basilico giallo e un canarino verde (mutazioni da inquinamento). Nel terrazzo sono in mostra diversi splendidi esempi di geranio condominiale, fiore che adeguatamente biberonato fin dalla nascita da un condomino amoroso arricchisce terrazze e giardini delle nostre cinture urbane. Su questi muri, d’inverno, la tramontana e il grecale gonfiano il petalo ruvido della Magliadilana, e d’estate mazzi di Mutande ingentiliscono il paesaggio. Su questi muri l’affetto per i gerani ha disegnato un lungo percorso verticale di lacrime: poiché si sa che in questi palazzi ognuno annaffia non i suoi gerani, ma quelli del piano di sotto.
Il piano del Reame di Lucio è l’undicesimo e penultimo. Nemmeno gli uccelli arrivano fin quassù. Solo qualche formica chiodata, o tegenaria parietina, ragno resistente come uno sherpa, si avventura talvolta sulle sue pareti: ma quasi mai arriva alla cima, là dove il vento si perde tra i labirinti dei lenzuoli e sbatte le antenne con rumore di scheletri. Talvolta per il caldo un moscone impazzito entra rombando nella casa di Lucio e si schianta rovinosamente contro un muro. Lucio prende i rottami aerei e li consegna in pasto al canarino. Non c’è tempo per piangere, come dice Dean Martin, e Lucio che vive da anni su queste altitudini lo sa bene. Ora dal terrazzo il suo sguardo effettua una lunga carrellata sui monti Quattro e Cinque ove altri Luci su terrazze lontane intrecciano carrellate analoghe, e ne sorprende due in pigiama a righe, come galeotti. Con gli occhi scende poi al ghirigoro di strade che collega i monti Periferici alla Grande Arteria e da lì al Cuore della Città, al fulgore dei suoi acquari ove nuotano branchi di scarpe, alla maestà dei vetri antiproiettile delle sue banche, ai suoi boleri di clacson.
“Tanti auguri a me,” sospira Lucio, e ritorna all’interno dei quaranta metri quadri ove è re. Anche se ogni giorno i suoi gesti sono pesanti, sempre più pesanti, egli coraggiosamente solleva una moca da caffè e la depone sul fuoco. Si siede fissando i serpentelli azzurri del gas che hanno tuttora il potere di ammaliarlo. La moca è una creatura strana col naso a punta. A differenza degli umani che lo fanno se raffreddati, essa fa uscire gocce dal naso una volta riscaldata. Questa stupefacente reazione è accompagnata da un borborigmo e dalla fuoriuscita di una bevanda corroborante di cui Lucio fa largo uso perché ha la pressione bassissima, un allenamento all’exitus.
Poi Lucio si guarda attorno. Da tempo ormai non vede più le cose, ma di ogni cosa ha un ricordo. Guarda il cuscino ma non lo vede, vede una testa su quel cuscino. Guarda una poltrona e vede un gatto, un libro è un amico e così via.
“Non puoi continuare così, Lucio,” dice il canarino Caruso con cinguettio flebile (quando non canta si risparmia).
“Infatti non continuerà,” dice Lucio. “Perché io, Lucertola, sono uno degli animali più vecchi della terra, erede dei grandi rettili e delle creature del mare, sono un’aragosta preistorica in armatura medioevale, un trilobite, ho quattro milioni di anni. Un giorno gli archeologi, si spera del nostro pianeta, mi troveranno incastonato nel cemento di questi palazzi, un pensionato con caffettiera in mano, come un guerriero con la lancia. E dunque ho ben ragione di essere più stanco di te, o giovane verde amico che vivi pochi mesi cibandoti di precipitati. A volte anch’io mi sento come un insetto, dentro una bacheca di vetro e sotto il cartellino: Lucio, vecchio.”
Non parlare da solo.
Il canarino ammutolisce. La solitudine fa ora vagare Lucio Lucertola come un pesce rosso nel globo dei suoi quaranta metri quadri. Guarda dentro la tazza, nelle tenebre del caffè. Si siede a pensare. Milioni di anni fa sulla terra non si respirava. Poi alcuni batteri piano piano cominciarono. Inspirare, espirare. Dapprima lento, poi tutto il mondo fu pieno di quel rumore. Ora anche il palazzo respira piano: ed esso sopravviverà, grande cellula amortale, alle brevi vite dei condomini Ci pensi, Caruso?
“Dopo ogni pasto,” risponde quello.
Lucio Lucertola sbadiglia e ritorna sul terrazzo. Il suo sguardo corre a nord verso il Reame del Progresso, la grande Zona Industriale. Vede ergersi castelli di Concessionarie imbandierate che espongono splendidi modelli di Fiat Porcellino e Fiat Tartaruga. Su nuovi monti in costruzione domina un gigantesco gruosauro giallo. Più in là cataste di auto demolite, campi da calcio deserti come cimiteri e poi in strade diritte e polverose i capannoni delle Grandi Famiglie: la famiglia Infissi, la famiglia Catrami, i Profilati, i Corrieri, i Ricambi, gli Ondulati. E in stradine laterali le loro società segrete: la Sicam la Sidal la Sicra la Cedar, nomi che nascondono chissà quali segreti e brevetti e forse sudore e disoccupazione ma in stradine laterali appunto, lontano dalla grande trionfale Arteria del Progresso. Su cui ora corrono incanalate diverse Fiat Porcellino e Fiat Pecorina e Lancia Millepiedi, quasi le ultime rimaste in città verso il refrigerio delle vacanze intelligenti le spiagge ridenti le acque fetenti i votacanzoni i cantaraggiri le camere con vista sulle camere con vista, i densing gli ombrelloni le pizze i gamberoni presi seicento metri sotto il mar del Giappone surgelati trasportati sgelati comprati rigelati cucinati ingoiati digeriti cagati e così al mar tornati e il mondo continua e l’elicottero della Polstrada sorveglia perché continui con i soliti incidenti.
“E noi invece resteremo qui tutt’estate con un canarino verde e un basilico giallo,” sospira Lucio.
“Non l’ho chiesto io di starci,” protesta il canarino.
Anche questo è vero.
“Vuole che le canti qualcosa?”
“Apro per te il mio cuor dal Sansone e Dalila,” dice Lucio.
“Pronti,” dice il canarino, e come fosse niente intona.
Lucio Lucertola però diventa ancora più triste.
“Smetto prima che si ammazzi?” chiede il pennuto.
“Va’ avanti, Caruso. Al tuo canto mi sovviene della mia giovinezza e, chissà perché, della scuola dove insegnai. Come vorrei ora ritornare là, rivedere i cari volti varicellosi, gli sguardi gallinacei, risentire lo scricchiolio dei banchi, i balbettii di giustificazione, il terrore che scorre lungo l’alfabeto mentre scelgo sul registro chi interrogherò. E poi i massacri della sintassi e il mostruoso dilatarsi dei perimetri, e gli ululati di gioia al suono della campanella e leggere sui muri dei cessi i capolavori della metrica segaiola. Sì, vorrei tornare indietro.”
“Io no,” dice il canarino. Un uovo è più stretto di una gabbia.
Se avessi vent’anni, pensa Lucertola, sarei come Leone, Leone l’allegro, mio allievo preferito. Amante anche lui dei batteri e del concetto di inizio finale. Uscirei criniera al vento. Per andare dove? Il professore ora ricorda che su quel campo lontano, là nella pianura tra i Profilati e la Piscina Secca, c’è gente, si muovono maglie rosse e gialle, c’è la finale del torneo estivo Calcicaldi, e Leone certo partecipa (è un campione di palla-al-piede). In questo preciso momento si starà preparando alla gara. Batte il cuore di Leone, batte quello del professore che vorrebbe essere al campo pure lui. Guarda giù nel precipizio e vede in strada un bambino bruno, con un pallone bianco.
Quello sono io, pensa Lucio, e tra poco sarò là.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore bolognese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stefano Benni.
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