Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Congo di Michael Crichton. Il romanzo è pubblicato in Italia da Garzanti con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Congo: trama del libro
1979, nella foresta pluviale del Congo imperversa sanguinosa la guerra civile tra l’esercito regolare e gli indigeni cannibali dell’interno. Una missione scientifica, segretamente finanziata da una multinazionale americana per ricercare i mitici «diamanti blu», da cui può dipendere il futuro della tecnologia dei computer, scopre suo malgrado l’esistenza di una misteriosa e intelligentissima razza di primati, anello di congiunzione nella catena biologica tra il gorilla e l’uomo. Poi scompare. Tra le rovine della leggendaria città perduta di Zinj, all’ombra della turbolenta catena vulcanica dei Virunga, Karen Ross è incaricata di fare luce sull’accaduto. Ma scoprirà ben presto di essere lei stessa esemplare di una specie a rischio di estinzione.
Approfondimenti sul libro
L’ebook di Congo (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di euro 3,99.
Il sole pallido bruciò il freddo del mattino e l’umida nebbiolina appiccicosa, rivelando un gigantesco mondo silenzioso. Alberi enormi con tronchi di dieci metri di diametro salivano ad altezze di sessanta metri, dove spiegavano la loro densa fronzuta tettoia, nascondendo il cielo e gocciolando perpetuamente. Tendine di grigio muschio, e rampicanti e liane, penzolavano aggrovigliate dagli alberi; orchidee parassite spuntavano dai tronchi. Al suolo, enormi felci, luccicanti d’umidità, crescevano all’altezza del petto di un uomo e racchiudevano la nebbia. Qua e là una macchia di colore: i fiori rossi dell’acanthema, veleno mortale, e il viticcio azzurro della dicindra che si apriva solo di primo mattino. Ma l’impressione di base era quella di un vasto, smisurato mondo grigio-verde, di un luogo estraneo e inospitale.
Jan Kruger posò il fucile e distese i muscoli indolenziti. L’alba spuntava rapida all’equatore; in un attimo faceva già chiaro, anche se ancora permaneva la nebbiolina. Diede un’occhiata al campo della spedizione cui aveva montato la guardia; otto tende di nylon colore arancione acceso, una tenda azzurra per la mensa, un’incerata legata sopra le casse dei rifornimenti nel vano tentativo di tenerli all’asciutto. Vide l’altra guardia, Misulu, seduta su una roccia. Misulu gli fece un cenno di saluto. Vicino c’era l’attrezzatura per trasmettere: un’argentea antenna parabolica, la nera cassetta del trasmettitore, i serpeggianti cavi coassiali che arrivavano sino alla videocamera portatile montata su un treppiede pieghevole. Gli americani si servivano di questa attrezzatura per trasmettere rapporti quotidiani via satellite alla loro sede centrale di Houston.
Kruger era il bwana mukubwa assunto per portare la spedizione nel Congo. Ne aveva già guidate altre: società petrolifere, équipe di cartografi, squadre in cerca di miniere e legname e gruppi di geologi come questo. Le aziende che mandavano squadre sul campo avevano bisogno di uno che conoscesse gli usi e i dialetti locali quanto bastava per trattare con i portatori e organizzare il viaggio. Kruger era abilissimo in questo lavoro: parlava lo swahili oltre al bantù e a un po’ di bagindi ed era stato più volte nel Congo, benché mai nei Virunga.
Kruger non riusciva a immaginare perché dei geologi americani volessero andare in questa regione dello Zaire, nell’angolo nordorientale della foresta pluviale del Congo. In fatto di minerali lo Zaire era il paese più ricco dell’Africa nera: il più grande produttore mondiale di cobalto e di diamanti industriali e il settimo paese al mondo per la produzione del rame. C’erano inoltre grandi giacimenti d’oro, stagno, zinco, tungsteno e uranio. Ma quasi tutti i minerali si trovavano nello Shaba e nel Kasai, non nei Virunga.
Kruger conosceva troppo bene il mondo per chiedere agli americani come mai volessero andare nei Virunga, e comunque lo aveva scoperto abbastanza presto. Una volta che la spedizione ebbe superato il lago Kivu e si trovò nella foresta pluviale, i geologi cominciarono a perlustrare il fiume e i letti dei torrenti. Il fatto che cercassero giacimenti alluvionali significava che speravano di trovare oro o diamanti. Risultò che si trattava di diamanti.
Ma non di diamanti qualsiasi. I geologi erano a caccia di quelli che chiamavano diamanti Tipo IIb. Ogni nuovo campione veniva immediatamente sottoposto a una prova elettrica. La conversazione che ne derivava era oltre la portata di Kruger – discorsi su divari dielettrici, ioni di reticolo, resistività. Comprese però che quelle che importavano erano le proprietà elettriche dei diamanti. Di sicuro come pietre preziose quei campioni erano inutili. Kruger ne aveva esaminati parecchi, ed erano tutti blu a causa delle loro impurità.
Per dieci giorni la spedizione era passata da un deposito alluvionale all’altro. Era la procedura normale: se trovavi oro o diamanti nei letti dei torrenti, proseguivi a monte verso la presunta fonte erosiva dei minerali. La spedizione si era spostata a un’altitudine maggiore, lungo i pendii occidentali della catena vulcanica dei Virunga. E tutto procedeva normalmente finché un giorno, verso il mezzodì, i portatori si rifiutarono recisamente di proseguire.
Questa zona dei Virunga, dissero, veniva chiamata kanyamagufa, che significa «il posto delle ossa». E sostenevano che chiunque fosse stato talmente temerario da proseguire sarebbe finito con tutte le ossa rotte, specie quelle del cranio. I portatori continuavano a toccarsi le mascelle e a ripetere che avrebbero loro schiacciato il cranio.
Erano tutti arawani di lingua bantù e venivano dalla grande città più vicina, Kisangani. Come quasi tutti gli indigeni che vivevano in città, erano pieni di credenze superstiziose sulla giungla del Congo. Kruger convocò il loro capo.
«Che tribù ci sono qui?» domandò, indicando la giungla.
«Niente tribù,» disse il capo.
«Niente tribù? Neanche i bambuti?» domandò Kruger riferendosi al più vicino gruppo di pigmei.
«Nessun uomo venire qui,» disse il capo. «È kanyamagufa.»
«Ma allora chi schiaccia i crani?»
«Dawa,» disse sinistramente il capo, usando il termine bantù che indica le forze magiche. «Forte dawaqui. Uomini rimanere lontani.»
Kruger sospirò. Come tanti bianchi, era profondamente stufo di sentir parlare di dawa. Dawaera dappertutto, nelle piante e nelle rocce e nelle tempeste e in ogni genere di nemici. Ma la fede in dawa era diffusa in gran parte dell’Africa e saldamente radicata nel Congo.
Kruger era stato costretto a sprecare il resto della giornata in tediosi negoziati. Alla fine, raddoppiò loro il salario e promise armi da fuoco per quando fossero tornati a Kisangani, ed essi accettarono di proseguire. Kruger considerò l’incidente un’irritante manovra degli indigeni. Si poteva star certi che prima o poi i portatori avrebbero fatto appello a qualche superstizione locale per farsi aumentare la paga, una volta che la spedizione si fosse talmente inoltrata sul campo da dover dipendere da loro. Ma aveva messo in bilancio questa eventualità e, una volta accettate le loro richieste, non ci pensò più.
Non si preoccupò neanche quando s’imbatterono in varie zone coperte di frammenti sparsi di ossa – che spaventavano molto i portatori. Dopo averle esaminate, scoprì che non si trattava di ossa umane ma di quelle piccole e delicate dei colobi, le belle e irsute scimmiette bianche e nere che vivevano sugli alberi. Era comunque vero che c’erano moltissime ossa, e Kruger non aveva idea del perché fossero così disseminate, ma viveva da tempo in Africa e di cose inspiegabili ne aveva viste tante.
Né si lasciò impressionare dai frammenti di pietra coperti di vegetazione da cui si poteva dedurre che in questa zona c’era stata un tempo una città. Si era già imbattuto altre volte in ruderi inesplorati. Nello Zimbabwe, nel Broken Hill, nel Maniliwi c’erano resti di città e di templi che nessuno scienziato del Novecento aveva mai visto e studiato.
La prima sera s’accampò nei pressi delle rovine.
I portatori, presi dal panico, sostenevano che le forze maligne li avrebbero attaccati durante la notte. La loro paura contagiò anche i geologi americani; e Kruger, per farli star tranquilli, aveva disposto per la notte due sentinelle, se stesso e Misulu, il più fidato dei portatori. La considerava una stupidaggine, ma gli era parsa una mossa politicamente opportuna.
E, proprio come si aspettava, la notte era trascorsa tranquilla. Verso mezzanotte c’era stato un po’ di movimento tra i cespugli, e qualche sommesso ansito sibilante che lui aveva attribuito a un leopardo. I grandi felini avevano spesso problemi respiratori, specie nella giungla. Per il resto, era andato tutto benissimo, e adesso era ormai l’alba: la notte era passata.
Attirò la sua attenzione una sorta di sommesso suono di clacson. Lo udì anche Misulu che rivolse a Kruger un’occhiata interrogativa. Sulla trasmittente lampeggiò una luce rossa. Kruger si alzò e attraversò il campo per avvicinarsi all’apparecchio. Sapeva farlo funzionare: gli americani avevano insistito perché imparasse, come «soluzione d’emergenza». S’accovacciò sulla nera cassetta del trasmettitore con il suo verde LED rettangolare.
Premette i pulsanti e comparve sullo schermo la scritta TX HX che annunciava una trasmissione da Houston. Premette il codice di risposta e lo schermo stampò CAMLOK. Ciò significava che Houston chiedeva di trasmettere con la videocamera. Diede un’occhiata alla macchina sul suo treppiedi e vide che sulla cassetta stava ancora lampeggiando la luce rossa. Premette il pulsante del portante e lo schermo stampò SATLOK ad annunciare l’arrivo imminente di una trasmissione via satellite. Ora ci sarebbe stata un’interruzione di sei minuti, il tempo richiesto per agganciare il segnale rimbalzato dal satellite.
Forse era meglio svegliare Driscoll, il capo geologo, pensò. Driscoll avrebbe avuto bisogno di qualche minuto prima che arrivasse la trasmissione. Kruger trovava divertente la mania americana di mettersi sempre una camicia pulita e di ravviarsi i capelli prima di presentarsi a far rapporto davanti alla telecamera. Proprio come i giornalisti televisivi.
In alto, i colobi stridevano e strillavano sugli alberi scuotendo i rami. Kruger alzò gli occhi, chiedendosi che cosa li avesse scatenati. Ma la mattina era normale che i colobi litigassero tra loro.
Qualcosa lo colpì leggermente al petto. Pensò dapprima che fosse stato un insetto, ma poi, abbassando lo sguardo sulla camicia kaki, vide una macchia rossa, e un succoso pezzetto di un frutto rosso rotolò giù per la camicia spiaccicandosi sul terreno fangoso. Quelle maledette scimmie stavano lanciando bacche. Si chinò a raccoglierlo. E si rese conto che non si trattava di un pezzo di frutto. Era un bulbo oculare umano, schiacciato e viscido al tatto, di un bianco rosato con un filamento del bianco nervo ottico ancora attaccato dietro.
Si girò con il fucile in mano e rivolse lo sguardo verso la roccia dove sedeva Misulu. Ma Misulu non c’era più.
Kruger riattraversò il campo. In alto i colobi erano ammutoliti. Udì i suoi stivali fare squisc nel fango mentre passava davanti alle tende dei dormienti. E poi di nuovo quella specie di ansito sibilante. Un suono strano, sommesso, trasportato dalla turbinosa nebbia mattutina. Kruger si domandò se non si era per caso sbagliato, se si trattava davvero di un leopardo.
Fu allora che vide Misulu. Misulu giaceva supino, in una sorta di aureola di sangue. Il suo cranio era stato schiacciato da entrambi i lati, le ossa facciali ridotte in frantumi, il viso ristretto e allungato, la bocca aperta in uno sbadiglio osceno, l’occhio superstite spalancato e sporgente. L’altro era esploso lontano per la forza dell’impatto.
Chinandosi a esaminare il cadavere, Kruger si sentì martellare il cuore. Si domandò che cosa potesse aver provocato un tale disastro. Poi udì di nuovo il sommesso ansito sibilante e stavolta era praticamente certo che non si trattava di un leopardo. Allora i colobi cominciarono a stridere e Kruger balzò in piedi urlando.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore e regista statunitense rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Michael Crichton.
Descrizione precisa e di suspence