Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Cortesie per gli ospiti di Ian McEwan. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 10,00 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto) ed è in vendita in eBook al prezzo di euro 6,99.
Cortesie per gli ospiti: trama del libro
Due coppie si incontrano casualmente nella torrida atmosfera di una città di mare. Mary e Colin, turisti inglesi legati da un tranquillo rapporto in cui “il piacere stava soprattutto nell’amichevole mancanza di fretta, nella familiarità dei rituali e delle procedure”, si imbattono in un personaggio inquietante, Robert. Dai monologhi di lui, che si snodano lungo il filo di un crescendo inarrestabile, emerge un passato di sottomissione nei confronti del padre e di sottili crudeltà domestiche. Caroline, la fragile moglie di Robert, che sembra votata all’autodistruzione, è il quarto personaggio del romanzo e su di lei aleggia un presentimento: prigioniera, più che padrona, della casa in cui si preparano agli ospiti cortesie speciali.
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Si svegliarono simultaneamente, o questa fu la loro impressione, e restarono immobili sui letti separati. Per motivi che non era ormai possibile definire con chiarezza, Colin e Mary non si parlavano piú. Due mosche roteavano pigre attorno al lampadario, in corridoio una chiave girò nella serratura, dei passi si avvicinarono e si allontanarono di nuovo. Finalmente Colin si alzò, scostò le persiane e andò in bagno a fare una doccia. Ancora assorta nei postumi di un sogno, Mary si voltò su un fianco mentre lui passava, e fissò il muro. Lo scroscio regolare dell’acqua nella stanza accanto era un suono suadente e lei richiuse gli occhi.
Ogni sera, durante l’ora rituale che trascorrevano sul terrazzo prima di mettersi alla ricerca di un ristorante, ciascuno aveva ascoltato pazientemente i sogni dell’altro in cambio del lusso di raccontare i propri. I sogni di Colin erano del tipo raccomandato dagli psicanalisti, sognava di volare, diceva, di denti che si sbriciolano, di trovarsi nudo di fronte a uno sconosciuto seduto. Per Mary il materasso duro, l’insolita calura, la città a stento esplorata si coalizzavano e sguinzagliavano nel suo sonno un turbinio di sogni rumorosi e polemici che, si lamentava, intorpidivano le ore da sveglia: e le belle chiese antiche, le pale d’altare, i ponti di pietra sui canali, le cadevano scialbi sulla retina come su uno schermo lontano. Sognava soprattutto i suoi figli in pericolo, e che lei era troppo incompetente o intontita per aiutarli. La sua infanzia si confondeva con la loro. Suo figlio e sua figlia erano dei coetanei, che la spaventavano con domande insistenti. Perché te ne sei andata senza di noi? Quando torni? Ci vieni a prendere al treno? No, no, cercava di spiegare lei, siete voi che dovete venire a prendere me. Raccontò a Colin di aver sognato che i bambini si erano infilati a letto vicino a lei, uno per parte, ed erano rimasti lí tutta la notte a litigare sul suo corpo addormentato. Sono stata io. No, non sei stata tu. Te l’avevo detto. Non è vero… finché lei si era svegliata esausta, con le mani premute contro le orecchie. Oppure, disse, il suo ex marito la bloccava in un angolo e cominciava a spiegarle con pazienza, come aveva fatto una volta, il funzionamento della sua costosissima macchina fotografica giapponese, fermandosi a interrogarla sulle complicazioni di ogni fase. Dopo parecchie ore lei aveva cominciato a gemere e sospirare, supplicandolo di smettere, ma nulla poteva interrompere l’implacabile ronzio esplicativo.
Il bagno dava sul cortile che a quell’ora cominciava ad animarsi di rumori provenienti dalle altre stanze e dalle cucine. Nell’attimo in cui Colin chiuse l’acqua, l’uomo che faceva la doccia nella stanza di fronte cominciò, come la sera prima, a cantare un duetto da Il flauto magico. La voce sovrastava il fragoroso rimbombo dell’acqua e gli schiocchi e spiaccichii della pelle ben insaponata, e l’uomo cantava con l’abbandono assoluto di chi crede di non avere un pubblico, incrinando e gorgheggiando le note alte, trallalando le parole dimenticate, muggendo le parti orchestrali. – Mann und Weib, und Weib und Mann, cercano insieme la divinità.
Chiusa la doccia, il canto si affievolí in un fischiettio.
Colin restò in ascolto davanti allo specchio, e senza nessun particolare motivo cominciò a radersi per la seconda volta in quel giorno. Appena arrivati, avevano stabilito un minuzioso rituale di sonno, preceduto dal sesso in un’unica occasione, e seguito da un quieto, egocentrico interludio durante il quale si tiravano coscienziosamente a lucido prima del giretto serale. In questo periodo di preparazione, si muovevano lentamente e non parlavano quasi. Si cospargevano il corpo di polveri e profumi costosi, sceglievano i vestiti meticolosamente e senza consultarsi fra loro, come se da qualche parte fra la moltitudine di persone che stavano per raggiungere ci fosse qualcuno profondamente interessato al loro aspetto. Mentre Mary faceva i suoi esercizi di yoga sul pavimento, Colin preparò un joint di marijuana che avrebbero fumato sul terrazzo e che avrebbe reso piú intenso il delizioso momento in cui sarebbero passati dall’atrio dell’albergo all’aria cremosa della sera.
Mentre erano fuori, e non solo al mattino, veniva una cameriera a rifare i letti, o a cambiare le lenzuola, se lo riteneva necessario. Non abituati alla vita d’albergo, questa intimità con un’estranea che non vedevano quasi mai li inibiva. La cameriera portava via i fazzolettini di carta usati, sistemava in file precise le loro scarpe nell’armadio, piegava i vestiti sporchi facendone una pila ordinata su una sedia e distribuiva gli spiccioli in tanti mucchietti sul comodino. Eppure molto in fretta si trovarono a dipendere da lei, e diventarono pigri con le loro cose. Erano ormai incapaci di badare a se stessi, incapaci, con questo caldo, di sprimacciarsi il cuscino, o di chinarsi a raccogliere un asciugamano caduto. Nello stesso tempo erano divenuti meno tolleranti del disordine. Una volta erano tornati nella tarda mattinata e avevano trovato la loro stanza cosí come l’avevano lasciata, semplicemente inabitabile, e non avevano avuto altra scelta se non uscire di nuovo e aspettare finché qualcuno avesse provveduto.
Le ore che precedevano il sonnellino pomeridiano erano altrettanto ben definite, per quanto meno prevedibili. Si era in piena estate, e la città rigurgitava di visitatori. Colin e Mary si mettevano in cammino tutte le mattine dopo colazione con i soldi, gli occhiali da sole e le cartine, e si univano alla folla che sciamava sui ponti e lungo tutte le piú anguste stradine. Eseguirono doverosamente i molteplici compiti turistici che l’antica città imponeva, visitando chiese piú o meno importanti, musei e palazzi, tutti stipati di tesori. Passavano molto tempo davanti alle vetrine dei negozi nelle vie eleganti, discutendo eventuali regali da comprare. Per ora, non erano ancora entrati in un negozio. Nonostante le cartine, si perdevano spesso, e passavano anche un’ora girando a vuoto avanti e indietro, consultando (una trovata di Colin) la posizione del sole, per ritrovarsi poi di fronte a un punto di riferimento familiare raggiunto da una direzione inaspettata, e restando comunque perduti. Quando il percorso era particolarmente faticoso, e il caldo piú opprimente del normale, si ripetevano l’un l’altro, sarcasticamente, che erano «in vacanza». Dedicavano molte ore alla ricerca del ristorante «ideale» o di quello dove erano stati due giorni prima. Spesso i ristoranti ideali erano pieni o, se erano passate le nove, stavano chiudendo; se si ritrovavano davanti a uno disponibile, a volte mangiavano molto prima di aver fame.
Da solo, forse, ciascuno di loro avrebbe esplorato la città con piacere, seguendo i propri capricci, libero da mete e quindi contento o ignaro di essersi perduto. C’era molto su cui fantasticare qui, bastava essere attenti e pronti. Ma ciascuno conosceva l’altro almeno quanto se stesso, e la loro intimità, un po’ come un bagaglio eccessivo, era qualcosa di cui preoccuparsi costantemente; insieme si muovevano lenti, goffi, mettendo in pratica lugubri compromessi, facendo attenzione ai piú delicati mutamenti di umore, sanando fratture. Individualmente non si offendevano facilmente; ma insieme riuscivano ad offendersi l’un l’altro in modi imprevedibili e sorprendenti; allora l’offensore – era successo due volte da quando erano arrivati – si irritava per la nauseante suscettibilità dell’altro, e continuavano a esplorare i vicoli tortuosi e le improvvise piazzette in silenzio, e a ogni passo la città si allontanava, man mano che loro si chiudevano nella reciproca presenza.
Mary smise di fare yoga e, dopo aver attentamente esaminato la propria biancheria, cominciò a vestirsi. Attraverso la finestra socchiusa vedeva Colin sul balcone. Tutto vestito di bianco, era stravaccato sulla sdraio di plastica e alluminio, il polso oscillante a sfiorare per terra. Inspirò, gettò indietro la testa e trattenne il respiro, poi soffiò il fumo attraverso i vasi di geranio allineati sul parapetto del balcone. Mary lo amava, anche se non in quel particolare momento. Si infilò una camicetta di seta e una gonna bianca di cotone e, mentre si sedeva sul bordo del letto per allacciarsi i sandali, prese una guida turistica dal comodino. In altre zone di quel paese, secondo le fotografie, c’erano prati, montagne, spiagge deserte, un sentiero che si snodava da una foresta a un lago. Qui, nell’unico mese libero di tutto l’anno, era impegnata con musei e ristoranti. Sentendo scricchiolare la sedia di Colin, andò davanti alla toilette e cominciò a spazzolarsi i capelli con colpi brevi ed energici.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore inglese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Ian McEwan.
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