Corredata da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Covo di vipere di Andrea Camilleri, romanzo edito in Italia da Sellerio con un prezzo di copertina di 14,00 euro (ma acquistabile online con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 9,99.
Covo di vipere: trama del libro
“Sognando, Montalbano è entrato in un sogno dipinto da Rousseau il Doganiere. Si è ritrovato, insieme alla fidanzata Livia, nel respiro di luce e nella convivenza innocente di un’edenica foresta. Gli intrusi riconoscono il luogo solo grazie a un cartello inciso a fuoco. Sono nudi. Ma portano addosso l’ipocrisia di foglie di fico posticce, fatte di plastica. L’armonia dell’eden, la sua mancanza di volgarità e violenza, è una finzione pittorica. Non appartiene a nessun luogo reale. E neppure ai sogni. Ciononostante, anche nella cieca e brutale realtà può sopravvivere la delicatezza del canto discreto e cortese di un uccello del paradiso saltato giù dai rami dipinti o sognati.
Montalbano viene svegliato dal fischiettare di un garbato vagabondo che intona II cielo in una stanza, con “alberi infiniti”, imponendosi sul fracasso di un temporale. La filologia congetturale del commissario deve applicarsi al fondo torbido e malsano di esistenze nascoste e incarognite dal malamore, dagli abusi e dalle sopraffazioni, dalla crudeltà e dalla sordidezza, dalle ritorsioni e dai ricatti, dalla gelosia e dal rancore: non meno che dall’interesse. Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto: ucciso con modalità che a prima vista appaiono inesplicabili, e addirittura insensate.
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A mano a mano che Montalbano procidiva, sempri cchiù si faciva pirsuaso che in quel posto c’era già stato ’na vota. Ma quanno? La testa di un lioni ’ntravista ’n mezzo all’àrboli, che non erano àrboli ma felci gigantesche, gli fornì la spiegazioni.
«Lo sai, Livia, dove ci troviamo?».
«Lo so, in una foresta vergine. C’era il cartello».
«Ma si tratta di una foresta dipinta!».
«Come dipinta?».
«Siamo dentro al “Sogno di Yadwigha”, il celebre quadro di Rousseau il Doganiere!».
«Ma ti sei ammattito?».
«Vedrai se non ho ragione, tra un poco dovremmo imbatterci in Yadwigha».
«E come mai conosci questa donna?» spiò Livia sospittosa.
E ’nfatti, doppo picca, s’imbattero in Yadwigha che, a vidirli, sinni ristò supra al divano, stinnicchiata nuda com’era, ma si portò l’indici al naso facenno ’nzinga di stari ’n silenzio e dissi:
«Sta per cominciare».
Supra a un ramo si posò ’n aceddro, forsi un usignolo. Fatto ’na speci d’inchino all’ospiti, attaccò Il cielo in una stanza.
L’usignolo era cchiù che bravo a cantare, ’na sdillizia, faciva modulazioni squasi ’mpossibbili macari a Mina, era chiaro che ’mprovisava, ma con una fantasia d’autentico artista.
Po’ ci fu un botto, un secunno, un terzo cchiù forti di tutti e Montalbano s’arrisbigliò.Santianno, accapì che era scoppiato un grannissimo temporali. Uno di quelli che segnano la morti della stati.
Ma com’è che ’n mezzo a tutta quella battaria continuava a sintiri, e da vigliante, all’aceddro che cantava Il cielo in una stanza? Non era possibbili.
Si susì, taliò il ralogio, erano le sei e mezza del matino. S’addiriggì verso la verandina, la friscata proviniva da quella parte. E non si trattava di ’n aceddro, ma di un omo che sapiva friscare come a ’n aceddro. Raprì la porta-finestra.
Nella verandina, corcato ’n terra, ci stava un cinquantino malo vistuto, la giacchetta strazzata, la varba longa che pariva Mosè, ’na massa di capiddri cinirini arruffati. Allato a lui, un sacco. Un vagabunno, era chiaro.
Appena che vitti a Montalbano, si susì a mezzo e dissi:
«L’ho svegliata? Mi scusi. Mi sono riparato qua per la pioggia. Se le do fastidio, vado via».
«Ma no, resti pure» fici il commissario.
Era ristato colpito da come parlava quell’omo. A parti il taliàno pirfetto, era la sò voci educata che gli aviva fatto ’mpressioni.
Gli parse malo chiuirigli la porta-finestra ’n facci, perciò la lassò mezza aperta e si annò a priparare il cafè.
Si era vivuta la prima cicarata, quanno gli venni ’na speci di rimorso. Ne inchì ’n’autra e la portò all’omo.
«Per me?» spiò quello sbalorduto, susennosi addritta.
«Sì».
«Grazie, grazie!».
Mentri s’arricriava sutta alla doccia, pinsò che forsi quel povirazzo va a sapiri da quann’era che non si lavava. Quanno ebbi finuto, tornò nella verandina. Chioviva della bella.
«Se la vuole fare una doccia?».
L’omo lo taliò ’mparpagliato.
«Dice sul serio?».
«Sul serio».
«Non sogno altro, sa? Lei non immagina quanto gliene sarò grato».
Ennò, quell’omo parlava troppo bono per essiri quello che appariva. Lo scanosciuto si calò a pigliari il sacco e seguì il commissario. Ma se era uno ’struito, aducato, come mai si era arriduciuto accussì?
Quanno niscì dal bagno, l’omo si era cangiato la cammisa, macari chista però coi polsini e il colletto sfilacciati. Sorridì a Montalbano.
«Mi sento ringiovanito».
E po’, facenno un mezzo ’nchino:«Permette? Mi chiamo Savastano».
«Piacere. Montalbano» fici il commissario pruiennogli la mano.
L’autro, prima di stringirgliela, fici un gesto ’stintivo: si passò il palmo supra ai cazùna, come per puliziarlo. Sorridì ancora, gli ammancava un denti di davanti.
«La conosco, sa? Una sera, in un bar, l’ho vista in televisione».
«Senta» tagliò Montalbano. «Io devo andare in ufficio».
L’omo accapì a volo. Si calò a pigliari il sacco, niscì nella verandina.
«Le dispiace, commissario, se resto ancora qua fino a che spiove? La mia diciamo abitazione è a due passi, ma con questa pioggia… Lei perciò chiuda pure».
«Senta, se vuole l’accompagno con la mia macchina».
«Grazie, ma le verrebbe difficile».
«Perché?».
«Abito in una grotta a mezza costa nella collina di marna proprio dietro la sua casa».
Certo, stari dintra a ’na grutta era sempri meglio che corcarisi cummigliato di cartoni sutta alle colonne del municipio.
«Resti quanto vuole. Arrivederla».
Cavò fora dalla sacchetta il portafogli, pigliò un biglietto di vinti euri, lo pruì all’omo.
«No, grazie, lei ha già fatto anche troppo per me» arrefutò quello arresoluto.
Montalbano non insistì.
Chiuienno la porta-finestra sintì che l’omo aviva ripigliato a friscari.
Per essiri bravo, era bravo. Squasi quanto l’usignolo del sogno.
Appena che misi pedi dintra al commissariato, Catarella posò il ricevitori del tilefono e sclamò:
«Ah dottori dottori! Propio a lei di vossia nella sò casa stavo per chiamando!».
«Che fu?».
«Un micidio ci fu! Fazio ura ura in loco annò! Voliva che macari lei vossia annasse in loco seco con lui in loco! Per questa scascione io le stavo per tilefonanno a lei nella sò casa in capo di matino!».
«Vabbeni, dov’è il loco?».
«Me lo scrissi supra a un pizzino. Eccolo quane. Villino Pariella, contrata Tosacane».
«E dov’è ’sto villino Pariella?».
«In contrata Tosacane, dottori».
«Sì, ma la contrada dov’è?»«Boh».
«Senti, chiamami a Fazio e passamillo».
Seguenno le ’struzioni di Fazio, arrivò al villino Mariella, Catarella non ce l’avrebbe fatta mai a diri un nome giusto, doppo un tri quarti d’ura di machina, pirchì c’era trafico assà e l’acqua di celo, che continuava a cadiri abbonnanti, rallintava la vilocità di tutti.
Il villino, a un piano, stava propio davanti alla strata che costeggiava la pilaja. Il cancello era rapruto e sutta al porticato, allato ad autre dù auto, ci stava quella della polizia. Siccome che non si voliva vagnare, continuava a chioviri a retini stise, trasì macari lui con la machina e la parcheggiò di scianco all’autre.
Stava scinnenno, quanno vitti a Fazio affacciarisi dalla porta.
«Buongiorno, dottore».
«Il giorno ti pari bono?».
«Nonsi, ma accussì si usa diri».
«Che successe?».
«Hanno ammazzato al propietario del villino, il raggiuneri Cosimo Barletta».
«Chi c’è dintra?».
«Gallo, il morto e il figlio Arturo che è stato lui che ha attrovato a sò patre ammazzato».
«Hai avvertito a tutti?».
«Sissi. Cinco minuti fa».
Trasì nel villino seguito da Fazio.
Nella prima càmmara, chiuttosto granni e chiaramenti adibita a càmmara di mangiare, ci stavano Gallo e un quarantino occhialuto, sicco e anonimo, vali a diri propietario di una di quelle facce che te le scordi un secunno doppo che l’hai vidute, bono vistuto, pirfettamenti in ordine, che si stava fumanno ’na sicaretta e che non pariva per nenti ammarraggiato per quello che era capitato al patre.
«Sono Arturo Barletta».
«Scusi, chi è Mariella?».
L’autro lo taliò ’mparpagliato.
«Non so… non saprei…».
«Mi perdoni, gliel’ho domandato perché dato che il villino si chiama così…».
Arturo Barletta si battì ’na mano supra alla fronti.
«Sa, in momenti come questi uno non… Mariella era il nome della mia povera mamma».
«È morta?».
«Sì. Cinque anni fa. ’Na disgrazia».
«Che disgrazia?».
«Annegò in mare. Ebbe forse un malore mentre nuotava. Proprio qui davanti».
«Dov’è?» spiò Montalbano a Fazio.
«In cucina. Venga».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore siciliano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Andrea Camilleri.
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