Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Cuori in Atlantide di Stephen King, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 12,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 7,99.
Cuori in Atlantide: trama del libro
Il romanzo, simbolico e allusivo gà a partire dal titolo – un popolare gioco di carte e il nome in gergo del Vietnam -, è composto da cinque episodi consequenziali e tra loro collegati, ambientati nei decenni che vanno dal 1960 al 1999. Ciascuno è profondamente radicato nel periodo iniziale e pervaso da fantasmi, quasi tutti di guerra. Ciascuno contiene occulte premesse che si sviluppano poi in maniera bizzarra e inaspettata. E un legame sottile e a tratti subliminale li percorre tutti, fino a un epilogo pacato e pacificatore.
Otto anni dopo la morte del padre, Bobby s’infiammò di violenta passione per la Schwinn nella vetrina della Western Auto di Harwich. Lanciò esche a sua madre sulla Schwinn in tutti i modi che sapeva, finché una sera, mentre rincasavano a piedi dal cinema (avevano visto Il buio in cima alle scale, che a Bobby, che pure non lo aveva capito, era piaciuto, specialmente la sequenza in cui Dorothy McGuire ricadeva all’indietro in una poltrona mettendo in mostra le lunghe gambe), gliel’aveva mostrata. Mentre passavano davanti al negozio, Bobby buttò lì che la bici in vetrina sarebbe stata di sicuro uno splendido regalo di undicesimo compleanno per qualche ragazzino fortunato.
«Non ci pensare neppure», rispose lei. «Non posso permettermi una bici per il tuo compleanno. Tuo padre non ci ha lasciati messi un granché bene, lo sai.»
Randall era già morto ai tempi della presidenza Truman e ora Eisenhower stava finendo il suo secondo mandato quadriennale, eppure «tuo padre non ci ha lasciati messi un granché bene» era ancora la risposta che comunemente otteneva da sua madre ogni volta che suggeriva iniziative che comportassero una spesa superiore al dollaro. Il commento era di solito accompagnato da uno sguardo di rimprovero, quasi che, più che morire, suo marito l’avesse piantata.
Niente bici per il suo compleanno. Così rifletteva malinconico Bobby tornando a casa e si dissolse in lui quasi del tutto il piacere per quello strano film confuso. Non discusse con sua madre, non cercò di blandirla, cosa che avrebbe istigato un contrattacco e, quando contrattaccava, Liz Garfield non faceva prigionieri; no, rimuginò sulla perduta bici… e il perduto padre. Certe volte arrivava quasi a odiarlo, suo padre. Certe volte a trattenerlo dall’arrivare a tanto era la sensazione, disancorata ma molto forte, che sua madre avrebbe voluto che lo odiasse. Raggiunto il Commonwealth Park, quando cominciarono a costeggiarlo – due isolati più avanti avrebbero svoltato a sinistra in Broad Street, dove abitavano – superò le sue solite apprensioni e le pose una domanda su Randall Garfield.
«Non ha lasciato niente, mamma? Proprio niente niente?» Una o due settimane prima aveva letto un giallo di Nancy Drew in cui l’eredità di un bambino povero era stata nascosta dietro un vecchio orologio in una villa abbandonata. Non che Bobby credesse che suo padre avesse accantonato in qualche nascondiglio monete d’oro o francobolli rari, ma se qualcosac’era, forse potevano venderlo a Bridgeport. Per esempio a uno dei monte di pegni. Bobby non sapeva bene come funzionava il meccanismo degli oggetti dati in pegno, ma sapeva che aspetto avevano i negozi: erano quelli con le tre sfere d’oro appese davanti. Ed era sicuro che quei negozianti sarebbero stati lieti di dar loro una mano. Naturalmente era solo un sogno da ragazzo, però Carol Gerber, quella che abitava poco più avanti di lui, aveva una collezione intera di bambole che le aveva mandato dall’estero suo padre, che era nella Marina militare. Se i padri regalavano le cose, e questo era un fatto accertato, aveva ragione di credere che qualche volta i padri ne lasciassero.
Quando Bobby fece la sua domanda, stavano passando sotto uno dei lampioni posti lungo quel lato del Commonwealth Park e vide la bocca di sua madre cambiare come sempre accadeva quando s’avventurava a interrogarla sul padre scomparso. Era un cambiamento che gli ricordava una delle sue borsette: quando tirava i lacci, tutta la parte superiore si arricciava.
«Ti dirò che cosa ha lasciato», gli rispose sua madre mentre attaccavano Broad Street Hill. Bobby già rimpiangeva di averglielo chiesto, ma ormai era tardi. Se le davi il via, non c’era più modo di fermarla, ecco dove stava il problema. «Ha lasciato una polizza di assicurazione sulla vita scaduta un anno prima della sua morte. Io sono cascata dalle nuvole quando lui non c’era più e tutti, compreso l’impresario delle pompe funebri, sono venuti a chiedermi la loro piccola parte di qualcosa che io non avevo. Ha lasciato anche una pila così di fatture da pagare, che ho smaltito quasi completamente ormai. La gente è stata molto comprensiva con noi, specialmente il signor Biderman, e mai mi capiterà di affermare il contrario.»
Fin qui era tutta storia vecchia, tanto noiosa quanto era pervasa di acredine, ma a quel punto disse a Bobby qualcosa di nuovo. «Tuo padre», aggiunse mentre si avvicinavano alla casa situata alla metà circa di Broad Street Hill, «non ha mai incontrato una scala a incastro che non gli piacesse.»
«Che cos’è una scala a incastro, mamma?»
«Non ci pensare. Ma ti dirò una cosa, Bobby-O: che non mi succeda mai di sorprenderti a giocare a carte per soldi. Di questo ne ho avuto che mi basta e avanza per la vita intera.»
Bobby avrebbe voluto saperne di più, ma si guardò bene dal chiedere ancora; altre domande avrebbero dato la stura a una filippica. Ebbe il sospetto che il film, che trattava di mariti e mogli infelici, avesse rabbuiato il suo umore in qualche modo che a lui, che era solo un bambino, sfuggiva. Lunedì a scuola avrebbe chiesto della scala a incastro all’amico John Sullivan. Pensava che c’entrasse con il poker, ma non ne era del tutto certo.
«Ci sono posti a Bridgeport che si prendono i soldi degli uomini», disse lei quand’erano ormai vicini allo stabile nel quale abitavano. «Là ci vanno gli uomini stupidi. Gli uomini stupidi combinano pasticci e di solito tocca alle donne di questo mondo passare dopo a ripulire. La verità…»
Bobby sapeva che cosa stava per arrivare; era il ritornello preferito di sua madre.
«È che la vita non è giusta», finì Liz Garfield mentre estraeva la chiave e si preparava ad aprire la porta del 149 di Broad Street, Harwich, Connecticut. Era l’aprile 1960, la sera aveva il fiato profumato di primavera e accanto a lei c’era un ragazzino magro magro con i capelli rosso rischio del padre defunto. Lei non gli toccava quasi mai i capelli; le volte non frequenti in cui lo accarezzava, di solito erano il braccio o la guancia, che gli toccava.
«La vita non è giusta», ripeté. Aprì la porta ed entrarono.
Era vero che sua madre non era stata trattata da principessa ed era senz’altro un peccato che suo marito fosse spirato a trentasei anni d’età sul pavimento di linoleum di una casa vuota, ma a Bobby accadeva di pensare che sarebbe potuta andare anche peggio. Se ci fossero stati due figli invece di uno, per esempio. O tre. Diavolo, persino quattro.
E se sua madre avesse dovuto sgobbare in qualche lavoro pesante per il loro sostentamento? La mamma di Sully lavorava alla Tip-Top Bakery, la panetteria giù in centro, e nelle settimane in cui toccava a lei accendere i forni, Sully-John e i suoi due fratelli maggiori non la vedevano praticamente mai. Bobby aveva anche osservato le donne che al fischio delle tre (lui finiva la scuola alle due e mezzo) uscivano in fila indiana dalla Peerless Shoe Company, tutte donne che quando non erano troppo magre erano troppo grasse, donne con la faccia pallida e le dita macchiate di un raccapricciante color sangue vecchio, donne con gli occhi bassi che portavano i calzoni e le scarpe da lavoro nelle sporte della Total Grocery. Nell’autunno scorso, quand’era andato a una fiera parrocchiale con la signora Gerber, Carol e il piccolo Ian (che Carol chiamava sempre Ian-Candela), aveva visto gli uomini e le donne che raccoglievano le mele in campagna. Quando aveva cercato di saperne di più, la signora Gerber gli aveva spiegato che erano migratori, come certe specie di uccelli, sempre in viaggio per andare a raccogliere dovunque ci fossero messi mature. Sua madre sarebbe potuta essere come loro, ma non lo era.
Sua madre era invece la segretaria del signor Donald Biderman alla Home Town Real Estate, l’immobiliare per cui lavorava il papà di Bobby quando aveva avuto l’infarto. Secondo Bobby era possibile che all’inizio avesse ottenuto il lavoro perché Randall piaceva a Donald Biderman e perché provava compassione per lei, vedova con un figlio così piccolo da portare ancora i pannolini, ma sua madre lavorava bene e sodo. Spesso lavorava fino a tardi. C’era stata qualche occasione in cui Bobby si era trovato con sua madre e il signor Biderman, il ricordo più vivo era quello del picnic aziendale, ma c’era stata anche la volta in cui il signor Biderman li aveva portati in macchina dal dentista di Bridgeport quando in un partitella a scuola ci aveva rimesso un dente, e si era accorto del modo strano in cui si guardavano i due adulti. Qualche volta il signor Biderman le telefonava di sera e durante quelle conversazioni lei lo chiamava Don. Ma «Don» era vecchio e Bobby non gli dava molto peso.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore del Maine rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Stephen King.