Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il diavolo nel cassetto di Paolo Maurensig. Il romanzo è pubblicato in Italia da Einaudi con un prezzo di copertina di 13,50 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il diavolo nel cassetto: trama del libro
Quando la pace dei boschi è percorsa da un fremito improvviso di rabbia silvestre, e di notte le volpi sembrano mettere sotto assedio il villaggio, forse bisognerebbe credere a una premonizione. In quel villaggio svizzero che vive da sempre in armonia, tutti e mille gli abitanti si sentono scrittori. Ma l’uomo che sta arrivando è il diavolo in persona. Le sue sembianze, neanche a dirlo, sono quelle di un editore. «Tutte le volte che si prende una penna in mano ci si accinge a officiare un rito per il quale andrebbero accese sempre due candele: una bianca e una nera». La letteratura è un affare molto serio per questo borgo svizzero stretto in una vallata quasi soffocata dalle montagne: si narra che Goethe di ritorno dall’Italia vi trascorse una notte per via di un guasto alla carrozza su cui stava viaggiando. Addirittura tre locande, a lui intitolate, si contendono il vanto di averlo ospitato. Inoltre, dal prete anzianissimo che redige le sue memorie alla ragazzina un po’ sciocca autrice di filastrocche, passando per il borgomastro, tutti gli abitanti del paese si sentono scrittori e ambiscono a essere pubblicati. Spediscono romanzi per posta e per posta ricevono i rifiuti dagli editori. C’è poco da scommettere, quindi, sul talento di queste mille anime. Finché il diavolo fa il suo solenne ingresso in scena: «tutto nella sua persona pecca di eccesso, il suo riso è sgangherato, il gesto è teatrale, e la voce, la voce poi, dove sembra essere custodito il segreto del suo fascino, è rotonda, impostata, senza asperità, senza picchi, ma cela un sottofondo di sospiri e lamenti». Si professa grande editore e dice di voler aprire proprio lì una filiale della sua prestigiosa casa editrice. Chi non è disposto a un patto col diavolo pur di veder pubblicato il proprio romanzo? L’unico che sembra in grado di capire la pericolosità della situazione è padre Cornelius, mandato dalla diocesi in aiuto del vecchio parroco. Ma forse nasconde anche lui qualche ombra.
Approfondimenti sul libro
In ebook Il diavolo nel cassetto (in pdf, epub e mobi) può essere acquistato al prezzo di 7,99 euro.
Il titolo era: Il diavolo nel cassetto, e iniziava cosí:
«Tremo al solo pensiero di aver steso sulla carta questa storia. Per lungo tempo l’ho trattenuta dentro di me, ma alla fine ho dovuto liberarmi da un peso che rischiava di compromettere il mio equilibrio mentale. Perché di certo è una storia condotta sull’orlo della follia. Eppure l’ho ascoltata fino in fondo, senza mai dubitare delle parole di quell’uomo. Tanto piú che a parlare era un sacerdote».
Posso capire che agli occhi del lettore tutto ciò abbia la parvenza di un espediente narrativo, la letteratura pullula di manoscritti, di diari, di epistolari e memoriali ritrovati nei luoghi piú disparati e nei modi piú impensati. Ma, a pensarci bene, tutte le storie iniziano con l’essere tracciate o impresse sulla carta, tutto ciò che leggiamo comincia da una risma di fogli, o meglio, da un manoscritto, se non altro da uno dei tanti che si ammucchiano sulla scrivania di un editore, o di chi per lui è incaricato a leggerli. Non c’era nulla di straordinario, quindi, nel suo ritrovamento: quel fascio di fogli si trovava al posto giusto, solo che era sfuggito alla mia attenzione. L’unica stranezza era l’anonimato.
L’incipit sembrava promettente. Cosí, seduto nel bel mezzo di scartafacci di ogni genere, e lasciando a metà il mio lavoro di sgombero, proseguo nella lettura.
Se l’autore evita di svelare il proprio nome, in compenso colloca l’inizio della sua storia precisando luogo e data. Tutto risale infatti al mese di settembre del ’91, durante un suo breve soggiorno in Svizzera, e precisamente a Küsnacht, una piccola cittadina che si specchia nel lago di Zurigo, dove il nostro si è recato in occasione di un convegno di psicoanalisi.
«Mi trovavo sul posto in veste di consulente per una piccola casa editrice che intendeva inserire nel suo catalogo una collana dedicata a questa affascinante quanto controversa materia. Detta cosí, si potrebbe pensare che svolgevo un ruolo importante. In realtà, la casa editrice apparteneva a mio zio il quale, già proprietario di una tipografia, dopo aver stampato migliaia di volumi per conto terzi era stato colto dall’improvvisa ambizione di diventare editore in proprio, assumendomi piú per obblighi parentali che per meriti riconosciuti».
Poche frasi per raccontare qualcosa di sé. Svela subito la sua condizione di orfano: la madre morta nel darlo alla luce, il padre scomparso pochi anni piú tardi, vittima di un incidente sul lavoro, il nostro viene cresciuto dallo zio paterno. Scopriamo anche che è divorato dalla passione per la scrittura, e grazie a queste notizie siamo in grado di attribuirgli un’età: piuttosto giovane, si direbbe, dai venticinque ai trent’anni. Parlando in prima persona, l’autore non ha la necessità di rivelare il proprio nome, ma per evitare inutili giri di parole gliene assegnerò uno, lo chiamerò Friedrich: nome che penso prefiguri un pallido e biondiccio aspirante scrittore che si aggira per le valli della Svizzera.
Parlando dello zio, Friedrich dice testualmente:
«I libri erano l’unico punto che avevamo in comune: lui aspirava a pubblicarli, io a scriverli. Mi trovavo, infatti, in quel beato stato larvale che tutti noi attraversiamo non appena scopriamo (o ci illudiamo) di essere vocati a una delle arti. Per un certo periodo avevo fatto il galoppino presso un quotidiano locale in cambio di un compenso che a malapena mi bastava per le sigarette. Curavo la pagina dei necrologi e di tanto in tanto la cronaca spicciola. Era su quel foglio che avevo pubblicato qualche racconto breve, tanto per riempire la pagina. Se c’era scarsità di notizie e restava ancora dello spazio libero, ecco che il caporedattore mi incaricava di buttar giú un raccontino che non superasse le quattromila battute. Quindi, non avevo mai scritto qualcosa che andasse oltre la short story, mai pubblicato nulla se non sulla pagina di quel giornale di provincia, ma dentro di me coltivavo un sogno, vivevo quel periodo di inattività nell’attesa che un seme piantato nel terreno germogliasse fino a raggiungere in breve tempo le dimensioni di una pianta rigogliosa e fruttifera.
Quando in seguito fui assunto da mio zio in casa editrice, con il compito di leggere i manoscritti e di correggere le bozze di stampa, mi sembrò di aver fatto un passo in avanti. Vivevo in mezzo ai libri, respirando il profumo dell’inchiostro da stampa che mi inebriava come una droga. Mi atteggiavo a scrittore, con un taccuino e un lapis sempre in tasca, pronti all’occorrenza. Osservavo la gente cercando di leggere in ciascuno la sua storia individuale… E tuttavia dubitavo che un giorno a qualcuno potesse mai venire in mente di raccontarmela. Ad ogni buon conto, un impiego fisso in casa editrice l’avevo e, seppure scarsamente retribuito, me lo tenevo stretto. E questa era la prima e importante missione fuori porta. Mio zio mi aveva assegnato questo compito grazie alla padronanza della lingua tedesca – per quanto questa abbia ben poco da spartire con il parlato locale.
A Küsnacht è vissuto e si è spento Carl Gustav Jung, e in occasione del trentennale della scomparsa, quell’anno si svolgeva un convegno di tre giorni al quale partecipavano esperti di tutto il mondo. Ascoltando i relatori, famosi nel loro ambiente ma per me del tutto sconosciuti, avrei forse trovato qualche testo, non troppo pretenzioso, da poter pubblicare, inaugurando cosí la nuova collezione editoriale. Forse non avrei trovato alcunché di interessante, e in tal caso – pazienza! – mi sarei goduto una breve vacanza a spese della ditta.
Non mi ero premurato di prenotare un albergo, dovetti quindi accontentarmi di alloggiare alla Gasthof Adler, una linda e tranquilla locanda, un po’ fuori mano. Un luogo ideale per scrivere, pensai subito – a quel tempo valutavo ogni cosa con l’occhio dello scrittore rampante. La locanda distava qualche chilometro dal centro urbano, dove in una sala municipale si svolgeva il convegno. C’era l’autobus della posta che passava ogni ora, ma anche a farlo a piedi non era un tratto di strada molto lungo, e volendolo accorciare si poteva imboccare un sentiero che attraversava una folta abetaia. Il tempo era bello, l’aria lacustre tonificava i polmoni e alla luce del sole le tavolozze dei rosai che ornavano ogni casa – dalla villa alla piú modesta delle abitazioni – erano un incanto per gli occhi. Cosí, quella mattina avevo deciso di andare a piedi. Non potevo ancora sapere che qualcosa di lí a poco avrebbe offuscato l’immagine idilliaca che mi ero fatto del luogo. Fu un incontro che avvenne in circostanze particolari. Stavo scendendo verso il paese lungo il sentiero che attraversava il bosco, quando a un tratto udii un tramestio che proveniva dalla vegetazione. Mi fermai, incuriosito. Pensai subito a qualche animale spaventato – forse un cerbiatto – che sarebbe sbucato all’improvviso tagliandomi la strada, ma non tardai a scoprire che si trattava invece di un uomo dalla corporatura cosí massiccia da risultare perfino deforme. Con indosso un grembiule in crosta di cuoio, si aggirava tra gli alberi reggendo un secchio di plastica ricolmo di tritume rossastro che lui spargeva a piene mani sul terreno. Accortosi della mia presenza, levò lo sguardo su di me: il mento sfuggente e il labbro inferiore pendulo mi fecero pensare a un ritardato mentale al quale fosse stato affidato un compito che nessun altro avrebbe voluto svolgere. Non appena mi vide, l’uomo agitò il braccio come in segno di minaccia. Che cosa avrà voluto dirmi con quel gesto? Proseguii lungo il sentiero in preda a una crescente sensazione di disagio, come se avessi sconfinato in una proprietà privata. Non chiedevo altro che di allontanarmi al piú presto da quel luogo e di raggiungere l’abitato. Avrò percorso qualche centinaio di metri, quando udii alle spalle il passo affrettato di qualcuno che faceva la mia stessa strada. Per un attimo pensai si trattasse di quel tale che avevo appena visto aggirarsi nella boscaglia, ma l’incedere era troppo agile e spedito per una persona della sua mole. Tirai diritto e mi voltai solo all’ultimo momento, quando già lo sconosciuto stava per affiancarmi. Sul momento provai un senso di sollievo nel vedere che si trattava di un prete. Un prete cattolico: con tanto di tonaca e saturno. Piccolo e un po’ curvo – cosí mi ero sempre figurato padre Brown –, mi superò con passo veloce e dopo avermi rivolto un breve saluto mi mise subito in guardia: “Stia attento alle volpi”, disse con voce concitata, “non le lasci avvicinare: c’è in giro un’epidemia di rabbia silvestre”. Pronunciata che ebbe questa frase, proseguí il suo cammino, distaccandomi ben presto fino a sparire dietro la prima curva del tortuoso sentiero. Tale mi era sembrata la sua fretta – come se letteralmente avesse il diavolo alle calcagna – da farmi temere un pericolo imminente. Mi trovavo nel punto in cui il bosco si faceva piú fitto e le cime degli abeti piú alti oscuravano il pallido disco del sole. Sarà stata la suggestione causata da quello strano avvertimento, ma tutt’a un tratto sentii che stavo per essere assalito dal panico. Raccolsi da terra un robusto ramo secco, pronto a difendermi all’occorrenza, e cominciai a correre nel tentativo di raggiungere il prete che, con il suo passo da podista, si era ormai dileguato. Di lí a poco, però, nel vedere delinearsi tra gli abeti le prime abitazioni e il baluginare accecante del lago, riacquistai la calma».
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore italiano rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Paolo Maurensig.
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