Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Dolceamaro di Danielle Steel, romanzo edito in Italia da Sperling & Kupfer con un prezzo di copertina di 10,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto). Il titolo è disponibile anche in eBook al prezzo di euro 6,99.
Dolceamaro: trama del libro
Il suo matrimonio comincia a dar segni di stanchezza, i figli sono ormai cresciuti e così India Taylor decide di riprendere l’attività di fotografa, interrotta anni prima: a convincerla è Paul Ward, «il leone di Wall Street», conosciuto in vacanza e che ora è in crisi per la perdita della moglie. Ma questo progetto non piace affatto a Doug, il marito di India, che continua a considerarla una specie di proprietà esclusiva. Divisa tra la lealtà verso Doug e la complicità che sente nascere con Paul, la donna dovrà fare chiarezza nei propri sentimenti.
Andava dappertutto con i figli: agli incontri di calcio e di baseball, alle gare di nuoto, alle lezioni di danza classica e di tennis. E non lo faceva soltanto perché tutti se lo aspettavano, ma anche perché le piaceva. La sua vita era una serie ininterrotta di trasferimenti in auto per accompagnarli e andare a riprenderli di qua e di là, e di attività extrascolastiche, disseminata di spedizioni dal veterinario, dal dentista e dal pediatra quando non stavano bene o avevano bisogno di un controllo. Con quattro bambini tra i nove e i quattordici anni, aveva la sensazione di vivere in macchina e di passare l’inverno spalando la neve per tirarla fuori del garage e aprirle un passaggio sul viale d’accesso alla casa.
India Taylor amava i figli, la sua vita, suo marito. Erano stati fortunati, e anche se tutto era diverso da quello che si era aspettata da adolescente, si accorgeva che le si adattava meglio di quanto avesse creduto. I sogni che aveva diviso con Doug tanto tempo prima non trovavano più spazio nell’esistenza che conducevano, loro stessi erano molto diversi da quando, vent’anni prima, si erano conosciuti nei Peace Corps, in Costa Rica.
La vita che dividevano adesso era quella che Doug aveva desiderato, il sogno che aveva fatto per loro, il luogo in cui era voluto arrivare. Una grande casa comoda e accogliente nel Connecticut, la sicurezza, una famiglia con tanti figli e un labrador, e tutto ciò gli andava a pennello. Usciva di casa per andare in ufficio, a New York, ogni giorno alla stessa ora, prendendo il treno delle 7.05 dalla stazione di Westport. Vedeva le stesse facce, parlava con le stesse persone, e si occupava della promozione degli stessi settori. Lavorava per una delle più grosse agenzie di marketing del Paese, e guadagnava molto bene. I primi tempi i soldi non erano stati una preoccupazione per India, anzi, si era accorta di poter essere ugualmente felice scavando fossi di irrigazione e vivendo in tenda in Nicaragua, in Perù e in Costa Rica. Aveva amato intensamente quei giorni, l’eccitazione, le difficoltà, la sensazione di fare qualcosa per aiutare l’umanità. Persino i pericoli che occasionalmente doveva affrontare l’avevano stimolata ancora di più.
Ma già molto prima, da adolescente, aveva cominciato a scattare fotografie, seguendo gli insegnamenti del padre, che era stato corrispondente per il New York Times e aveva trascorso lontano da casa gran parte degli anni dell’infanzia della figlia, svolgendo incarichi pericolosi in zone di guerra. Da piccola le piaceva infinitamente guardare le fotografie e ascoltare i suoi racconti, e sognare di poter fare un giorno una vita come quella. I suoi desideri erano diventati realtà quando aveva cominciato a lavorare come corrispondente free lance per alcuni quotidiani, mentre era in missione con i Peace Corps.
Gli incarichi che le erano stati affidati l’avevano portata a spingersi fra le montagne e a trovarsi a faccia a faccia con un’incredibile varietà di persone, dai banditi ai guerriglieri. Ma non aveva mai pensato ai rischi che correva. Il pericolo non significava niente, anzi lo amava. E amava la gente, i panorami, gli odori e i profumi, la pura e semplice gioia di ciò che faceva, il senso di libertà che provava. Una volta portato a termine il lavoro con i Peace Corps Doug era tornato negli Stati Uniti, ma India era rimasta parecchi mesi nell’America centrale e meridionale, poi era partita per l’Africa e l’Asia, continuando le corrispondenze giornalistiche. Non sapeva come, ma era riuscita a non perdere neanche un punto caldo: ogni volta che da qualche parte era successo qualcosa, India era arrivata, era stata presente, aveva scattato fotografie. L’aveva nel cuore, nel sangue, quel modo di vivere, ed era qualcosa che Doug non aveva mai provato, perché per lui era stata solo l’emozione di una stagione, prima di affrontare la «vera vita». Per India, quella era la vera vita, ciò che realmente desiderava.
Aveva seguito l’esercito rivoluzionario in Guatemala per due mesi, e il risultato era stato una serie di fotografie fantastiche, che a tratti ricordavano quelle di suo padre. Le erano valsi non solo gli elogi della stampa internazionale, ma anche alcuni premi, per i servizi d’informazione resi, per l’intuito, il coraggio.
Quando le capitava di riflettere su quei giorni, India si rendeva conto di quanto fosse diversa allora, una persona alla quale pensava di tanto in tanto domandandosi dove fosse finita, che cosa le fosse successo. Dov’era andata quella donna, quello spirito libero, selvaggio, vibrante di passione? Continuava a riconoscerne l’esistenza e i meriti, ma sentiva anche di non avere più niente in comune con lei. A volte, quando si ritirava nella camera oscura, la sera tardi, si stupiva di essere soddisfatta di un’esistenza totalmente diversa da quella che una volta aveva adorato. Ma nello stesso tempo capiva di amare infinitamente la vita con Doug e i loro figli a Westport. Quello che faceva era significativo come lo era ciò che aveva fatto in passato; India non misurava il sacrificio, non lo riconosceva nemmeno, perché non le pareva di avere rinunciato a qualcosa che amava, ma piuttosto di averlo barattato con qualcos’altro, molto diverso, i cui vantaggi le erano sempre sembrati degni e preziosi. Quello che faceva per Doug e i ragazzi aveva una grande importanza per loro, ne era pienamente convinta.
Quando osservava le sue vecchie fotografie non poteva negare che il lavoro era stato un’autentica passione. Com’erano vividi alcuni di quei ricordi! Sarebbe stato impossibile dimenticare l’eccitazione, la sensazione angosciosa del pericolo, ma anche il brivido provato per essere riuscita a catturare il momento perfetto, quell’attimo unico, in cui aveva visto e immortalato qualcosa di eccezionale. Sapeva senza ombra di dubbio di avere ereditato quella passione dal padre, morto a Da Nang quando lei aveva quindici anni e dopo avere vinto l’anno prima il premio Pulitzer. Per lei era stato facile seguire le sue orme; era stata una scelta irresistibile, e non avrebbe mai voluto cambiarla. Aveva sentito l’esigenza di comportarsi così, i cambiamenti erano intervenuti solo in seguito.
Era passato un anno e mezzo prima che ritornasse a New York, come aveva già fatto Doug, e si era decisa solo quando lui le aveva posto un ultimatum, dicendole chiaro e tondo che se voleva un futuro insieme a lui avrebbe fatto meglio a «darsi da fare per tornare» e smettere di rischiare la vita in Pakistan o in Kenya. Era stata una decisione difficile. India si rendeva conto di avere aperta davanti a sé un’esistenza molto simile a quella del padre, magari premiata da un Pulitzer, un giorno, ma ne misurava anche il peso. A lui era costata la vita, e in parte anche la felicità, perché in fondo non gli era mai importato niente se non di quegli attimi in cui aveva sentito di dover rischiare tutto per la foto perfetta, mentre intorno esplodevano le bombe. Quando Doug le aveva chiesto se voleva non soltanto lui, ma anche il ritorno a una vita normale, aveva dovuto decidere e aveva rinunciato a quello che stava facendo.
A ventisei anni si era sposata, quindi aveva lavorato un paio d’anni per il New York Times, ma senza mai lasciare la città; poi il marito le aveva fatto capire di volere dei figli. Così, quando era nata Jessica, poco prima del suo ventinovesimo compleanno, India aveva rinunciato all’impiego, si era trasferita nel Connecticut e aveva lasciato per sempre la vecchia vita. Aveva sottoscritto un patto. Quando si erano sposati Doug le aveva spiegato a chiare lettere che, una volta nati i figli, lei avrebbe dovuto rinunciare alla sua carriera. E India non si era tirata indietro, sicura che, per quel giorno, sarebbe stata pronta. Ma, dopo essere diventata madre a tempo pieno, aveva dovuto ammettere di essersi accorta che era molto più duro di quanto si fosse aspettata. Nei primi tempi il lavoro le era mancato disperatamente; ora le capitava di ripensarci di tanto in tanto, con rimpianto, ma a dire il vero non avrebbe più potuto dedicarvisi. Con quattro figli in cinque anni, riusciva a malapena a respirare; non avrebbe avuto il tempo neanche di ricaricare la macchina fotografica! I pannolini, i dentini, l’allattamento, le febbri, i gruppi di gioco, e una gravidanza dopo l’altra… Le due persone che vedeva più spesso erano il ginecologo e il pediatra oltre, naturalmente, ad altre donne come lei, che conducevano un’esistenza identica alla sua, incentrata sui figli. Qualcuna aveva rinunciato alla carriera, come lei, alcune si dichiaravano pronte a dimenticare di avere una vita piena, da persone adulte, fino a quando i bambini fossero stati più grandi, esattamente come aveva fatto lei. Erano medici, avvocati, scrittrici, infermiere, artiste, architetti, e tutte avevano dato l’addio alla professione per occuparsi della famiglia. Alcune si lamentavano della scelta compiuta, mentre India, per quanto sentisse la mancanza del lavoro, in fondo non si ribellava a ciò che stava facendo. Era felice di stare con i figli, anche quando arrivava alla fine della giornata esausta, e magari era in attesa di un altro bambino, e Doug tornava a casa troppo tardi per aiutarla. Del resto, nemmeno lei avrebbe voluto lasciare i suoi figli per riprendere a lavorare. Di tanto in tanto, se trovava il tempo, ma ormai capitava assai di rado, metteva insieme il materiale per qualche articolo, ma si trattava sempre di argomenti di interesse locale e, come aveva spiegato al suo agente, non aveva la possibilità di farlo più spesso.
Per la biografia e la bibliografia completa della scrittrice newyorchese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Danielle Steel.
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